46 INCONTRI/REITZ sono in grado di prevedere quale direzione prenderà. Le soluzioni che immagino quando comincio a girare arrivano profondamente modificate alla versione definitiva del film. Il film è quindi un percorso di ricerca? Sì, À la recherche du temps perdu ... Lo stesso procedimento di adattamento lo applica anche agli ambienti? Gli ambienti nei suoi film sono molto vivi, vengono rispettati dalla messa in scena e appaiono qualcosa di più che un semplice sfondo. Questo è un aspetto decisivo del mio lavoro. Sono pochissime le scene che ho girato in studio. Preferisco utilizzare ambienti che già esistono, perché questa è una grossa sfida alla fantasia dei miei collaboratori. Quando si arriva in uno studio, non c'è niente. Perciò si può costruiTe tutto alla perfezione. Dove ci sono già delle cose, invece, non c'è perfezione: ci sono sempre nuovi problemi che si pongono e sempre nuove soluzioni ai problemi. Se c'è una porta, bisognerà assolutamente passare di lì per entrare; non posso collocarla in un altro posto, non posso disporre tutto in un modo più logico o più semplice. È quanto avviene anche nella pratica quotidiana: i problemi non si possono risolvere a priori, ma solo mano a mano che si presentano. Sulla base di quanto ha detto, immagino quindi che nonsiponga a priori alcun problema di stile. No, se per stile s'intende un principio astratto, un'idea cui subordinare ogni cosa. Penso che questa sia una falsa concezione dell'arte, tipica del nostro tempo. L'arte ha sempre un rapporto con la vita. Se penso alla mia esperienza, trovo sempre le stesse premesse: infiniti dettagli di cui devo cercare il segreto. Solo a questo punto può nascere qualcosa definibile come stile, ma allora lo stile coinciderà proprio con la giusta soluzione trovata. La campagna, una strada al centro, un uomo che cammina. Questa immagine ricorre spesso in Heimat, e apre e chiude Heimat. Le partenze e gli arrivi sono i punti nodali dei suoi film. Che significato hanno, per lei, questi momenti? Inizialmente è un'emozione molto intensa. Non significa andare e tornare, ma separarsi e ritrovarsi. Non è soltanto una situazione simbolica. L'amore, che forse è l'emozione fondamentale dell'uomo, arriva sempre alla separazione. La separazione è, in questo senso, il dolore più grande, e contemporaneamente la più fotte sensazione di vivere. Chi si separa si mette sulla strada per la vita. La partenza di Hermann in Heimat è particolare: Hermann, come per esempio Antoine Doinel nei 400 colpi di Truffaut, vivrà nel film successivo. L'idea della continuazione ci viene dalla letteratura. Ne abbiamo grandi esempi, come la Comédie humaine. Penso che nell'idea della continuazione ci sia la speranza, la speranza che si possa continuare a vivere. Karl Valentin, un famoso comico che viveva negli anni Trenta a Monaco, disse una volta "Finché vivrò dovrò calcolarechedevocontinuarea vivere". Mi sembra una frase molto bella. Heimat 2 è costruito su una serie di opposizioni: il presente è il "luogo" in cui passato e futuro si combattono: da una parte le radici, lafamiglia, la prima Heùnat, dall'altra l'orizzante aperto delle possibilità. Tutti gli episodi riproducono questa struttura, l 'orizzante narrativo prima si apre e quindi si chiude, e tutto ilfilm prima si apre epoi, dopo ilsestoepisodio(quellodiAlex, i/filosofo), comincia a chiudersi. Si mette in scena il conflitto fra bisogno di stabilità e voglia di libertà, tensione il cui esito è sempre incerto, in equilibrio instabile e dinamico. Pensa che il cinema sia l'unico luogo in cui praticare l'utopia della riconciliazione di queste opposizioni? È una domanda interessante. Per rispondere dovrò improvvisare. Quel che io trovo affascinante del cinema è che ha un presente, il tempo in cui la peliicola passa attraverso la macchina di proiezione e la luce cade in un certo modo sullo schermo, alla presenza del pubblico. È il tempo della vita. Contemporaneamente non possiamo ignorare che le immagini che vediamo sono state girate nel passato: niente di quello che vediamo sullo schermo è successo in questo momento. Tutto è nel passato. La percezione è diversa da quella che c'è in letteratura, o nella pittura. Un dipinto non conosce la dimensione del tempo. Nella pittura il tempo non ha alcun ruolo; sono la superficie e lo spazio ad avere un ruolo. È un'arte che si sviluppa nellospazio.L'unicaaltraartechesi sviluppa nel tempo è la musica. Ci sono molte analogie con la musica, ma neppure la musica ha questo passato. Nella musica non viene conservato nulla del passato; la musica, in questo senso, è un mondo di simboli, mentre il cinema è un gioco con la realtà passata. È qualcosa di completamente nuovo. Penso quindi che il fascino del cinema consista nel fatto che nella storia dell'umanità non si sia mai arrivati a questo punto. Abbiamo sempre usato soltanto i nostri sensi normali - la vista, l'udito - e quindi abbiamo dovuto collegare la vista e l'udito al presente dell'esperienza. Per esempio, se una persona si allontana, anche la sua voce si allontana, e anche il suo corpo. Se uno muore, il suo corpo scompare e la sua voce ammutolisce. Questa sembra essere una legge naturale, di cui il film si appropria per superarla. La nostra partecipazione al mondo, che viene determinata dai sensi, non si gioca soltanto sulle tre dimensioni, ma viene estesa alla quatta, quella del tempo. Ma era soltanto una risposta improvvisata alla sua domanda. Direi di no. Anzi, spiega bene le sensazioni che provano gli spettatori dei suoi film, in particolare di Heimat 2. lo penso che si tratti di una legge generale del cinema. Che non tutti i film esprimono altrettanto bene, però. Molti film ignorano cosa sia il cinema. Abbiamo detto della struttura narrativa che caratterizza Heimat 2, dell 'orizzante che si apre alle possibilità e ai progetti per poi gradualmente richiudersi nel ripiegamento, dell'equilibrio, instabile e dinamico, fra il passato e ilfuturo, la memoria e il progetto. Sia negli anni Sessanta, sia in quelli seguenti 1'89, il periodo in cui è ambientato il film che sta preparando in questi mesi, l'orizzante della Storia si è come aperto per poi richiudersi. Come se ci fosse una drammaturgia della Storia. È per questo che le interessava trattarli? In fondo sono d'accordo, anche se preferirei dirlo in un modo un po' diverso. Ci sono periodi che creano un sentimento collettivo e periodi in cui prevale l'individualismo. Naturalmente i primi sono i più interessanti da raccontat·e. Sono periodi in cui anche talenti mediocri diventano dei geni. Invece oggi viviamo in un momento che non concede aiuti, da questo punto di vista. Secondo lei qual è il ruolo dell'intellettuale, del regista, oggi, in Europa? La testimonianza o l'azione? Gli intellettuali sono sempre lo specchio del tempo. Hanno una grande libe1tà spirituale, grazie alla loro cultura e alla capacità analitica. Ma, allo stesso tempo, sono fra le persone più infelici, perché dubitano sempre di tutto. Non conoscono la stabilità.D'altra patte non potrei vivere se dovessi affidarmi unicamente alle mie possibilità intellettuali. Credo che il lavoro artistico apra un'altra
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==