Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

38 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE numero del 17 febbraio, un'inserzione a pagamento molto significativa: la National Association of Scholars, un organismo che riunisce gli esponenti della professione accademica, invita i lettori a riflettere sulla questione "molestia sessuale e libertà accademica". Con toni pacati, ma fermi, l'associazione sottolinea come la confusione tra la molestia vera e propria e atti di vario genere, assai meno gravi, e perfino tra atti, parole e intenzioni, finisca con il creare un inutile conflitto tra politica anti-molestie e libertà di insegnamento. Con il risultato di sminuire "l'ignominia che deve accompagnare il comportamento molesto". Il testo dell'inserzione mette in evidenza la fragilità, la aleatorietà della linea di confine tra giusta indignazione e reazione eccessi va di fronte ai comportamenti dichiaratamente o velatamente sessuali di chi detiene il potere nei confronti di chi non lo ha e invita le istituzioni accademiche a l. definire con precisione la molestia sessuale, 2. stabilire ragionevoli limiti alla possibilità di presentare denunce per molestia sessuale, 3. distinguere i ruoli di investigatore, accusatore, giudice e giuria ... e ·assicurare all'accusato una difesa adeguata, 4. punire coloro che scientemente presentano denunce false di molestia, 5. adottare misure energiche contro i veri molestatori, licenziandoli, se necessario, invece di limitare la libertà di espressione e di opinione. I corsivi (miei) rivelano una necessità, un'ansia di precisare, limitare, distinguere che tradisce disagio, esasperazione, irritazione, più che paura. Perché da quando il concetto di molestia si è allargato a comprendere quella verbale, o indiretta, non si tratta più, per l'accusato, di difendersi sostenendo che quando ha appoggiato una mano sulla spalla della studentessa intendeva semplicemente rassicurarla o incoraggiarla, ma di spiegare che se, raccontando l'Odissea ha parlato di "ninfe discinte", non lo ha fatto per imbarazzare, intimidire o insidiare indirettamente le studentesse, ma perché la precisione era necessaria alla comprensione del testo. Come si vede, un atteggiamento tipo quello del rettore dell'università "La Sapienza", che denuncia come un tentativo di infangare il buon nome dell'istituzione le timide proteste di alcune studentesse sottoposte da certi insegnanti a ricatti sessuali, sarebbe impensabile negli Stati Uniti, dove ormai da anni è stato appurato e vituperato che tali atteggiamenti molesti o peggio esistono, sono frequenti, e devono essere arginati. E dove ormai si pone il problema opposto, quello di evitare che ogni riferimento, anche verbale, anche indiretto, al sesso in sede accademica venga denunciato come molestia. Ovviamente, se è possibile per chi detiene il potere approfittarne, è possibile anche per la "vittima" mettere in difficoltà il "molestatore" accusandolo falsamente. Ma è proprio sui concetti di "vera" molestia e "falsa" accusa, o viceversa, che la confusione diventa totale, e che si manifesta la difficoltà di regolare la materia sessuale, di imprigionarla dentro un linguaggio, quello legale, che è espressione del potere dominante, e cioè quello del "terrorizzato" maschio bianco. Due processi famosi, entrambi trasmessi per televisione, hanno evidenziato a livello di massa l'impossibilità di fare giustizia quando l'accusatrice e il presunto innocente parlano due linguaggi diversi. Il caso Kennedy, che ha visto un rampollo della famiglia "reale" Usa imputato di stupro e il caso Thomas-Hill, che ha visto un candidato alla Corte Suprema imputato di molestia verbale, hanno avuto, un paio di anni fa, lo stesso esito: quando a esprimersi in un'aula di tribunale è la differenza sessuale, riguardo al linguaggio con cui i sessi comunicano (o non comunicano), e proprio su questioni di Foto di Giovanni Giovannetti. sesso, di violenza, fisica o verbale, la confusione, l'equivoco, il fraintendimento sono la regola. Se quindi è praticamente scontata la vittoria di chi parla il linguaggio dominante, non altrettanto scontata è la reazione del pubblico, composto almeno per metà da "diverse", da donne. Lo spettacolo di Anita Hill sottoposta anche in tribunale alla tortura di un linguaggio "molesto", ha fatto sì che milioni di donne si siano organizzate per sostenere, durante la campagna elettorale immediatamente seguente il processo, il candidato democratico alla presidenza che garantiva maggiore attenzione ai loro problemi e prometteva una più cospicua rappresentanza al femminile nelle istituzioni. Quali difficoltà abbia poi avuto Clinton a mantenere la promessa è stato, ancora una volta, evidente alla massa delle elettrici: una dopo l'altra, le candidate della presidenza al ministero della Giustizia sono state "bruciate" dall'opposizione. Ma ad alimentare il rogo non erano certo i (mancati) pezzi di carta con cui le due donne (non) avevano messo in regola le loro collaboratrici domestiche: la "paura", l'ostilità diffusa, di genere, che ha permesso l'eliminazione delle candidate, aveva piuttosto a che fare con il loro aspetto fisico (molto avvenente), la loro età (giovane), la loro vita sessuale (manifesta: entrambe madri, che per di più affidavano i figli ad altre). L' appointment della più matura e "neutra" Janet Reno alla stessa posizione, infatti, ha avuto miglior successo. Quello che suscita, più che paura, disagio, ostilità, avversione, negli americani, riguardo alle schiere di nuove streghe che insidiano le posizioni di potere maschili, sono proprio i mezzi "misteriosi" della comunicazione, della seduzione femminile, proprio quel linguaggio, espresso con il corpo prima ancora che con le parole, che il maschio americano bianco (e non) percepisce, anche inconsciamente, come minaccioso, come fonte di guai. Proprio perché incomprensibile, e quindi incontrollabile, refrattario alle briglie delle

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