Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

30 "GIALLO" /DE CATALDO Giancarlo De Cataldo L'ALTROVEDELMISTERO. ITALIA:LAFUGA DALGRANDEDELITTO l. Il romanzo poliziesco italiano nasce verso la fine del secolo scorso. I primi autori (Zena, Farina) si richiamano al la tradizione del romanzo giudiziario, ossia a quel genere letterario, in origine di largo consumo, fio1ito intorno ai più celebri processi penali nei p1imi annj dell'Ottocento. È interessante notare, anche per quanto si dirà dopo, che le cronache in margine ai casi giudiziari costituiscono uno degli elementi tradizionali (insieme all'epos delle gesta dei banditi di strada) che, successivamente sviluppati e amalgamati da Poe e uniformati in un canone da Conan Doyle, daranno vita alla lunga storia del giallo moderno 1 • Senonché, il romanzo giudiziario aveva già prodotto, nel XIX secolo, capolavori riconosciuti come Teresa Raquin di Zola e Delitto e castigo di Dostoevskij, per non parlare di quel prototipo assoluto del moderno romanzo poliziesco rappresentato dal dittico balzacchiano Illusioni perdute - Splendori e Miserie delle cortigiane. Lo stesso Dostoevskij fu appassio- . nato spettatore di processi celebri, cui dedicò pagine memorabili nel suo monumentale Diario dello Scrittore. Richiamarsi all'archetipo del romanzo giudiziario significava, per Zena e Farina, 1inverdire una tradizione sì popolare, ma sulla quale si era già innestato un filone "nobile": il poLiziesco italiano, dunque, nasce già01ientato verso modelli narrativi "alti"2 • Nel 1914 l'editore Sonzogno dà vita ad una collana di romanzi polizieschi, e quando a metà degli anru Trenta, il protezionismo culturale fascista, imponendo agli editori una quota fissa di firme nazionali, obbliga la collana del "Giallo" Mondado1i (nata nel 1929) ad aprire agli auto1i nostrani, il terreno è già fertile perché non mancano né gli autori, né, in qualche misura, il pubblico. Per quanto il fascismo dia un impulso involontario a questo genere, le regole del gioco impongono che i delitti avvengano in ambienti rarefatti e possibilmente in terra straniera, che le avventure abbiano un tocco d'inverosimiglianza, che si capisca, insomma, che il crimine pe1tiene alle democrazie co1Tottee parolaie, restando estraneo alla mistica del regime. Gli scritto1i di polizieschi, dunque, sono chiamati a pagare un prezzo elevato al Minculpop: le loro storie devono necessariamente appa1ire astratte e irreali, essi non possono tener conto - almeno in apparenza-di quanto sta accadendo da oltre dieci anni inAmerica, da quando Hammet e Burnett (Piccolo Cesare è del 1928) hanno cominciato a scavare nel le pieghe di una società cotTottae dominata dal crimine organizzato. Tuttavia, se si considerano i migliori gialListi italiani dell'epoca, si converrà, con Raffaele Crovi3 , che già a metà degli anni Trenta "emergono gli elementi che caratterizzano il thrilling all'italiana: il gusto dell'ironia, il progetto intellettuale della contestazione del genere, l'attenzione alle situazioni di emarginazione sociale. I romanzi di Alessandro Varaldo si giovano di colpi di scena alla Wallace, ma emerge in essi un contrappunto demjstificante dei decadenti eroismi sentimentali della nanativa dannunziana. I romanzi di Alessandro De Stefani (...) risultano piacevoli per il falsetto da vaudeville alla Lubitsch con cui il romanziere e commediografo fa il verso al mystery all'inglese". Qualcuno, come Augusto De Angelis, poi ucciso dai fascisti nel 1944, si spinge oltre, e disegna col commissario De Vincenzi (ricordate la trasposizione televisiva con l'indimenticabile Paolo Stoppa?) un tipo di poliziotto amaro e decadente che richiama assai da vicino il contemporaneo modello americano, la scrittura appare permeata da una malinconia a tratti disperata, l'interesse per il plot è sacrificato allo scavo nel lato oscuro dell'uomo4. Ezio D'Errico, il più proLifico e fortunato di questa generazione, autore di una ventina di romanzi di ambientazione francese, crea il personaggio del commissario Richard, di diretta derivazione simenoniana: un investigatore che "demitizza l'amatore di enigmi", reagendo ali' eccessi va stilizzazione del detective che gioca col crimine per puro gusto intellettuale5 . Dietro la maschera dell'intrattenimento e del disimpegno, dunque, affiorano i sintomj di una consapevolezza narrativa e del riferimento a un modello alternativo a quello del giallo classico all'inglese. Tra le maglie della censura non sarà passato Hammett, ma di sicuro i migliori giallisti degli anni Trenta e Quaranta sono nipotinj di Simenon: e a Simenon va il merito di aver inventato il moderno romanzo poliziesco psicologico. Nel I 941 il fascismo decreta la soppressione del giallo perché nocivo per la gioventù, e sino al 1955 è il silenzio; poi Alberto Tedeschi, il padre di tutti i giallisti in tricolore, riapre agli italiani. Da allora, gialli italiani ne sono stati scritti e pubblicati in gran numero: il periodo aureo coincide con gli anni Sessanta e Settanta, allorché, a riprova di un momento di grande fortuna del genere, il cinema saccheggia gli autori di polizieschi nostrani dando vita ad un vero e proprio "filone" che bissa o amplifica il successo di libri già bestsel lers o deterrnina un favorevole effetto dj ritorno su testi che erano stati trascurati dal grande pubblico6 . 2. È negli anni Sessanta che il giallo italiano assume una fisionomia ben delineata: se Enna, Moretti, Donati (ma anche Ciabattinj, col suo pittoresco barbone lumbard Tresoldi che sa tanto di Zavattini) avevano già djmostrato di voler, in qualche modo, "mordere" il sociale, la vera svolta la dobbiamo, infatti, ai romanzi di Sciascia e di Scerbanenco 7 • Di Scerbanenco si potrebbe dire quello che Chandler disse di Hammett, che, cioè, grazie alle storie di Duca Lamberti, il delitto è ritornato alla sua sede naturale, la strada, laddove gli uomini soffrono e muoiono e la città vive le mille storie disperate delle sue strade popolate di avidi e potenti criminali e di eroi senza patria né bandiera. Con Scerbanenco si assiste a una radicalizzazione degli elementi già individuati da Crovi: sparisce il progetto intellettuale di contestazione del genere, gli eroi smettono la veste superomistica dell'investigatore dandy e l'attenzione per le situazioni di emarginazione sociale si sposa ali' enfatizzazione del lo spazio metropoljtano come scemuio ideale per le moderne sto1ie di detection. Emergono ritratti impietosi di città caotiche, cinjche e spersonalizzanti e l'isolamento dell'investigatore, troppo moralmente "puro" (ad onta del suo passato oscuro e dell'ostentato disincanto) per accettare le regole del gioco. Scerbanenco, e gli altri che seguiranno (tra loro spiccano Enzo Russo, Veraldi, Felisatti e PittoITu), operano un raccordo con la grande tradizione del poliziesco d'azione americano. Parallelamente a Scerbanenco (Il giorno della civetta è del 196L) esplode il "caso Sciascia". Sciascia scrive polizieschi, almeno sino a Todo Modo del 1974: dirlo potrà fare scandalo, ma i suoi romanzi questo (anche questo) sono: polizieschi. Per la prima volta la letteratura nazionale affronta la Mafia, e, con la Mafia e attraverso le metafore sulla Mafia, penetra nella nostra cultura quella diffidenza per il Potere che troppo spesso sta dalla parte sbagliata e che diventerà, nei capolavori di Fruttero e Lucentini, aperta critica sociale e politica. Prendiamo atto grazie a Sciascia del tema, ricorrente e ossessivo nel mondo contemporaneo della confusione dei Poteri: i rackets legali e quelli illegali tendono ad

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