Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

è quanto più impressiona in Salgado, è quanto dà vigore addirittura giottesco, michelangiolesco, alle sue figure (quando non sono da antica pittura orientale o da primitiva conquista della figura). Informare diventa così dare o ridare forma, costruire forme con i corpi e la materia che la natura offre, per il tramite della luce. Minerale, vegetale, è il mondo. E in esso l'uomo di Salgado conduce la sua guerra insieme ad altri uomini, ritrovandosi dentro scene, dentro quadri che sembrano volta a volta quelli della tradizione religiosa: le passioni, le vie crucis, le fughe in Egitto, i disastri biblici, senz' altri trionfi che quelli della comunità, del lavoro ben fatto celebrato da chi l'ha condotto a termine. Il bianco e nero di Salgado è un bianco e nero ricchissimo-vario quanto è varia la luce lungo i giorni e le notti del pianeta là dove uomini insieme si mettono "all'opera". L'essenziale sacralità dell'impresa (ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte, secondo la Bibbia, ma anche, con Marx, è attraverso il lavoro che potrai conquistare il tuo riscatto) esige una sorta di essenzialità, che non vuol dire nudità, non vuol dire austerità dell'immagine bensì ricchezza (anche barocca, se necessario, se la realtà l'impone; ma anche tante altre cose a seconda dei luoghi e delle fatiche), una ricchezza cui però il colore avrebbe tolto forza, che il colore avrebbe impastato di una teatralità estetizzante, strappandogli sacro e tragedia, e dunque solidarietà e riscatto. Oltre le forme sbandate e corrotte, disordinate e disumanate del la pittura e della scultura attuali, la fotografia ci si rivela centrale per l'esperienza estetica e conoscitiva del nostro tempo. Allo stesso modo è il grande reportage oggi (e penso a lmperium di Kapuscinski, per esempio) a ridarci il senso della necessità non narcisistica, non corrotta del la scrittura, della narrazione. Anche lì informare vuol dire, di nuovo, dare e ridare forma alle cose, renderle presenti, permettere loro di agire su di noi. INSERTIFOTOGRAFICI. UNA POLEMICA RobertoKoch È da poco uscito da Einaudi il primo volume della nuova Storia d'Europa, dedicato all'Europa d'oggi, a cura di Perry Anderson, Maurice Aymard, Paul Bairoch, Walter Barberis e Carlo Ginzburg. Mi interessa qui, per evidenti ragioni di interesse professionale, esaminare l'inserto fotografico che il volume dedica agli europei, a cura di Uliano Lucas. È un fatto che ogni volta che la Cultura con la C maiuscola in ltalia si occupa di fotografia scivola immancabilmente in una serie di sconcertanti leggerezze ed errori che in qualsiasi altro paese dove la fotografia venga considerata con maggiore rispetto non passerebbero sotto silenzio. Ci troviamo in questo caso di fronte ad un volume che si ripromette di proseguire la grande e prestigiosa tradizione del laEinaudi nel le grandi opere ed enciclopedie, e fornire al lettore, con la collaborazione di studiosi e analisti di prim'ordine una documentazione unica sull'Europa e la sua storia. La lettura, già dalle prime pagine, sembra voler mantenere queste promesse, a conferma che si tratta di un'opera di assoluto valore. L'inserto fotografico (a cui unicamente dedicherò le mie osservazioni), a giudicare dal titolo e dal contesto, dovrebbe riassumere in 42 immagini il meglio della fotografia sull'Europa, dei nostri giorni. Innanzitutto sai ta ali' occhio la e.attiva qualità della stampa delle fotografie: si tratta qui di una grave contraddizione linguistica. Di linguaggio si tratta infatti, dato che una fotografia è leggibile correttamente se gli elementi nella quale è strutturata, e cioè forme e linee e densità di grigi, di bianchi e di neri, vengono riportati con esattezza. Nessuno invece si preoccupa del fatto che alcune immagini vengano presentate come impasti quasi informi di una monotonalità grigia che lascia poco spazio ad una lettura precisa. Sarebbe come se un testo venisse stampato con caratteri poco nitidi, o addirittura sfocati o fuori registro; qualunque redattore segnalerebbe il problema e il visto di stampa verrebbe negato. Andrebbe qui aggiunto che in Italia operano attualmente alcuni tra i migliori stampatori del mondo in relazione alla fotografia, e quindi le competenze sono facilmente disponibili. Alcune immagini sono poi riproduzioni in bianco e nero di originali a colori, senza che questo venga segnalato in didascalia o nell'elenco delle illustrazioni. Non si comprende peraltro il motivo di questa scelta. Non mancano certo, infatti, lavori fotografici realizzati all'origine inbianco e nero cui attingere, e anzi direi senza dubbio che siano la grande maggioranza, e questo passaggio provoca una ulteriore perdita di qualità che si poteva evitare. Se viene fatta la scelta del bianco e nero si dovrebbe pretendere che venga perseguita con coerenza e non approssimazione come in questo caso. Ma veniamo ora alle fotografie: qui il quadro si fa se possibile ancora più deprimente. La scelta alla base dell'inserto corrisponde esattamente alla peggiore tradizione culturale della sinistra italiana in relazione alla fotografia. Le immagini fotografiche sono sempre state viste esclusivamente come strumenti didascalici, di propaganda e di informazione di parte. Il fotografo non è colui che autonomamente racconta la realtà secondo un suo personale e insostituibile modo di vedere, ma un "operatore" nelle mani dell'intellettuale che lo illumina con le sue idee e ne utilizza a scopo ideologico le opere. Innumerevoli esempi si possono citare di questa umiliazione della fotografia, soprattutto quella di reportage, in Italia, e le scelte editoriali della cultura di questo paese (in particolare di quella della sinistra) sono responsabili del disfacimento e del mancato sviluppo di una scuola e una tradizione fotografica più autorevole, e comparabile alla qualità degli autori che qui operano. OltTe che della totale e conseguente assenza di una critica che possa chiamarsi tale. In questo caso si assiste ad un inserto fotografico che, non diversamente da una mostra fotografica allestita in pochi minuti in un comitato di quartiere o in una aula universitaria, si propone di distrarre il lettore dall'impegno intellettuale mantenendo al tempo stesso ben chiaro l'obiettivo di continuare ad indottrinarlo anche nel momento della "ricreazione". Perché di questo, e purtroppo, si tratta. Basterebbe citare gli autori assenti per comprendere come questa rassegna fotografica manchi di qualunque autorevolezza: dove sono le fotografie di Henri · Cartier-Bresson, o quelle di William Klein su Roma e Mosca. o le straordinarie immagini di Praga di Josef Koudelka, o le grandi feste popolari della Spagna e dell'Italia? on troviamo BerengoGardin, néGiacomelli, né Riboud né Ronis né Salgado, e si potrebbe continuare per molto. Non basta la presenza di tre immagini, tutte bellissime, di Robert Doisneau (particolarmente felice la scelta della copertina), o qualche altra foto particolarmente significativa, perrendere meno brutto questo inserto, che sembra debba piacere, se non altro per la presenza di ben tre sue immagini, soltanto al suo curatore. Un'altra occasione perduta, dopo il fascicolo di Aperture sulla fotografia italiana e altre rassegne non proprio felici: potremmo sperare che sia l'ultima?

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==