Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

16 SOLIDARIETÀ comunicazione libera da ogni forma di controllo e nella pratica della solidarietà quotidiana. La tendenza delle strutture capitaliste a dominare tutto, a permeare in modo totale il mondo esterno e quello interiore, a colonizzare il vissuto, provoca una forte controtendenza universale che si basa sulla comunicazione e la solidarietà" (R. Zoll, p. 54). Dunque, solidarietà come controparte al predominio dell'efficienza e del mercato, da esercitarsi attraverso aggregazioni non partitiche per fare fronte a quella nuova forma di miseria, psicologica e soggettiva, che si è in larga misura sostituita, ma in molti casi anche aggiunta, alla miseria economica nelle società a capitalismo avanzato (fenomeno già rilevato da R. Michels ali' inizio del secolo; P. Ferraris, pp. 39-40). La diffusa conflittualità contro donne, asilanti, disoccupati, giovani, e d'altra parte l'isolamento in cui si svolge il lavoro sia operaio che impiegatizio, sono altrettanti incentivi a cercare forme nuove e flessibili di solidarietà, soprattutto al di fuori del mondo del lavoro, nel "vissuto esterno", laddove sembra ancora possibile "l'ideale della comunicazione libera da dominio" (R. Zoll, pp. 52 sg.). Solidarietà in questo senso significa allora possibilità di vedersi riconosciuti i propri bisogni nel!' atto stesso di riconoscere i bisogni altrui, in contesti da scoprire o da creare in cui la socialità come valore umano sia ancora praticabile. Si tratta in definitiva di una scelta individuale in controtendenza: rifiuto di sottomettere la totalità della propria vita alla logica degli interessi separando in se stessi il tempo morto, consegnato alla macchina produttiva, e il tempo vivo condiviso socialmente. Momenti di compensazione e di resistenza, ma anche occasioni per prendere coscienza di una contraddizione che può caricarsi politicamente, fino al rifiuto, non più solo individuale ma collettivo, del sistema sociale vigente. In definitiva solidarietà negli ultimi decenni ha spesso voluto dire scelta di comunità di elezione più o meno opposte alle collettività di appartenenza: gruppo, classe, famiglia, vissute come embrioni di un sistema sociale alternativo, radici di un mondo nuovo che potrà crescere solo scalzando quello vecchio, ovvero ricreando le collettività di appartenenza non più sulla base della distinzione, bensì della uguaglianza di appartenenza, di opportunità, di riconoscimento, di cittadinanza. In questo senso è inevitabile che, come sosteneva A. Pizzorno, "sistemi di interesse" e "sistemi di solidarietà" si contrappongano (G.P. Cella, pp. 24-25), e non solo oggettivamente ma nei soggetti stessi divisi tra i mondi della costrizione produttiva e quelli della libera partecipazione e comunicazione. Cosicché la grande questione è come vincere questa scissione, ovvero come far sì che l'impegno morale della coscienza individuale possa incidere sui meccanismi sociali del potere amministrativo, economico, tecnologico; come far sì che la volontà di comunicazione possa penetrare nelle istituzioni fino a renderle effettivamente capaci di servire il bene pubblico. Questione di difficilissima soluzione, tanto più che ogni elaborazione teorica è destinata a scontrarsi con la scarsa o nulla recettività di una cultura politica che si risolve ampiamente nell'amministrazione, a sua volta perfettamente in grado di autoprogrammarsi. Così non meraviglia che oggi e sempre più si faccia strada una idea "debole" di solidarietà, finalizzata a "sottoporre l'interesse al vaglio di criteri di valore e a sollecitare la gestione lungimirante di interessi essenziali attraverso un sistema di garanzie di reciprocità, allargato nello spazio e proiettato nel tempo" (p. 10). Vale a dire che l'accento cade sulla convenienza, anche economica, che la società avrebbe a fare propria una prospettiva solidaristica. Insomma ci si trova oggi a sostenere una concezione della solidarietà speculare a quella corrente alla fine del secolo scorso, cioè come principio di interesse applicato non più a comunità definite da identità di interessi, ivi compresa la "classe", bensì all'insieme della società (Salvati, p. 19). Si scopre così che "se come criterio e come valore la solidarietà è soprattutto etica, essa non è solo questo" poiché "appartiene a quel genere di beni come la lealtà o la sincerità che hanno una grande funzione economica pur non avendo un prezzo", aumentano cioè l'efficienza del sistema, rendono possibile produrre più merci (Cella, p. 29). Da questo punto di vista diventa facile rilevare per un verso "la fragilità delle ragioni classiche di separazione fra economia ed etica, fra etica e politica", e per l'altro opporre l'adozione di comportamenti ispirati dal criterio della solidarietà a "l'elenco clamoroso dei fallimenti a cui va incontro la logica degli interessi individuali, o del comportamento generalizzato di mercato" (Cella, pp. 29, 31). Ciò che resta difficile è trovare un mobile punto di equilibrio tra utilitarismo e solidarietà, in modo che i meccanismi del mercato e del potere amministrativo risultino costantemente sotto controllo. Che è, più o meno, quel che oggi angustia la nuova sinistra, alla "ricerca dei confini e dei contenuti di una nuova centralità strategica del soggetto pubblico, che sappia cooperare con le risorse della società civile in uno sforzo di arricchimento e di adeguamento degli schemi di tutela dell'individuo, per rifondare su basi nuove una 'solidarietà di cittadinanza"' (U. Ascoli, p. 107). È probabile che per come oggi stanno le cose non si possa, politicamente, proporre molto di più. Ma forse l'idea stessa di solidarietà raggiunge qui il suo stesso limite concettuale, ovvero misura la sua incapacità a trascendere l'orizzonte dell'interesse, e quindi a costituire una pratica in grado di condurre davvero "oltre l'oppressione", per usare una espressione felice di I. Dominijanni, dal cui intervento mi sembra si possa trarre una indicazione importante. La sua riflessione sulla storia della solidarietà al femminile la conduce infatti a questa significativa conclusione: "Se il pensiero della differenza sessuale consiste in primo luogo nell'uscita dal mutismo delle cose senza parola e senza significato, il processo di presa di coscienza e di parola non domanda manifestazione di solidarietà ma lavoro di mediazione; non domanda dichiarazione, ma relazione e scambio. Cambiano dunque le forme del la poi itica del le donne" (p. 149). E questo vale ovviamente allo stesso titolo per le donne come per qualsiasi altra situazione di oppressione, comprese quelle determinate oggi dalle differenze etniche, territoriali, culturali, religiose. Dunque, non tanto solidarietà quanto relazione, perché solo quest'ultima "consente di .entrare in rapporto fecondo ed efficace" con gli altri soggetti del proprio universo di oppressione e con la realtà, producendo una forma realmente nuova della pQlitica. In effetti ciò che viene così posto in questione è la validità stessa della classica antinomia solidarietà-egoismo, superata da una modalità di scambio sociale che comporta il cambiamento dei soggetti nel processo stesso della trasformazione, attraverso la presa di coscienza e di parola (p. 15 l ). Il cambiamento di prospettiva è profondo quanto significativo, e infatti da essa risulta evidente che "non la conquista di diritti ma il potenziamento della libertà, non gli obiettivi della politica ma il come della politica" è ciò che veramente conta (p. 152). Ma si tratta, temo, di evidenze che sfuggono alle teorie; solo l'esperienza di una condizione di oppressione vissuta consapevolmente può consentirne la manifestazione. Ma è ciò che accade sempre di meno; è più facile proiettarsi nelle antinomie, è più facile dar voce ai propri interessi-diritti.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==