Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

dei muri e dei regimj, vede l'insorgere diffuso di identità primarie, etniche e religiose, e nel nostro paese, dopo una breve illusione di indolore riforma della politica, uno scontro elettorale tutto teso a occupare il vuoto lasciato dalle dissolte appartenenze attraverso processi di identificazione ideologica o pubblicitaria, fino a resuscitare a destra i vecchi fantasmi dell'anticomurusmo. Quasi che appartenenze e alterità simboliche fossero condizione e criterio - e non ragionevole conseguenza - di riconoscimento dei programmi e delle parti politiche in competizione. Vale la pena ancora di considerare come l'orizzonte teorico delineato da Pizzorno escluda qualunque immagine semplificata della "società civile" come sistema di interessi autonomi che si confronta, sul versante della domanda, con l'offerta presentata dal sistema politico. Né questo pare adeguatamente interpretato dal "modello schumpeteriano dei professiorusti della politica come imprenditori volti ad acquisire clienti". Fra la sfera sociale e la sfera politica non è pensabile, per Pizzorno, alcuna forma di reciproca autonomia, come non si può tracciare una linea netta di separazione: le identità collettive degli attori sociali si trasformano continuamente nell'interazione conflittuale nella sfera politica e, a sua volta, l'attività politica, selezionando, ignorando, promuovendo determinati interessi, interviene a modificare la struttura dei bisogni e gli stili e i valori di riferimento della sfera sociale. In questo quadro la democrazia si conferma come valore, non nel senso "della libertà di scelta di politiche (che abbiamo dimostrato illusorio), ma ... della libertà di identificazioni collettive. Cioè il diritto che queste non vengano annullate, o anche solo determinate, dallo stato nazionale" (p. 184). E su questo punto potremmo raccogliere, con un azzardo di speranza su possibili identità e stili futuri della politica, l'invito racchiuso nelle parole conclusive del libro: "In Italia si può dire che lo stile ideologico si sia esaurito lungo gli anni Settanta. E, superati i momenti drammatici, ha lasciato il posto allo stile consumatorio. Occorrerebbero indagini occhiute per accertare in quali recessi fuori mano della società italiana lo stile civile è sopravvissuto alle tentazioni e agli attentati". SOLIDARIETÀ IL1.1COME"DELLAPOLITICA. ' SOLIDARIETA,PAROLACHIAVE GiancarloGaeta "Parolechiave" è il titolo dato alla nuova serie della rivista "Problemj del socialismo" fondata nel 1958 da Lelio Basso; parole che stanno al cuore del la questione sociale di ieri e di oggi, ma rese sempre più incerte nel loro significato da un uso spesso tanto frequente quanto restio a testimoniarne l'effettivo valore culturale e politico. Tra queste parole galleggianti sullo stagno della nostra cultura politica un posto d'onore tocca sicuramente di questi tempi alla parola "solidarietà", tanto nominata, per affermarla o per negarla, quanto per lo più ignorata per quel che essa sta ad indicare, concettualmente e storicamente. In effetti, che uso si può fare, che non sia strumentale, di una parola non sentita nella sua profondità di significato etico-politico, nel suo valore antropologico, e quindi non sofferta come bisogno insoddisfatto? In fondo l'odio viscerale del la "destra" verso di essa non SOLIDARIETÀ15 è più grave del riferimento ad essa puramente predicatorio da parte di molta "sinistra", che in realtà sa bene quanto sia inattuale e quale dura battaglia politica comporterebbe una sua effettiva applicazione; non certo meno dura di quanto abbia comportato la lotta per l'idea socia I ista. Anzi, solidarietà finisce col sostituire socialismo, parola al momento impraticabile, per via di una sua più moderata suggestione rinviante a impegnative scelte personali piuttosto che a un rivoluzionario progetto socio-politico. A questa parola, alla sua storia, alle sue interpretazioru, alle sue espressioni storiche, ai suoi modelli, è dedicato il secondo fascicolo della rivista (Donzelli Editore, Roma 1993). Un fascicolo a più voci, che col pisce per la ricchezza e insieme l'omogeneità della trattazione. Ogni contributo illumina un tratto dell'oggetto in questione integrandosi senza sforzo nell'insieme della ricerca, che così si dispiega come un racconto coerente dalla cui lettura si esce con una consapevolezza nuova del l'ideale solidaristico, e quindi con una più concreta possibilità di interrogarsi seriamente sulla sua praticabilità. Nel riferirne non è dunque indispensabile soffermarsi sui singoli contributi, è più utile mettere in evidenza gli aspetti salienti della problematica su cui spesso gli autori tornano per coglierli da angolature particolari. Nel lontano 1933, quando dominava la scena lo statalismo . delle dittature di destra e di sinistra e si andava ovunque instaurando i I predominio della burocrazia e del la tecnocrazia, Simone Weil dava una definizione di democrazia che ho tenuto presente leggendo questo libro: "La subordinaziqne della società all'individuo è la definizione della autentica deinocrazia, ed è anche quella del socialismo". In altri termini, non v'era a suo avviso altro modo di opporsi al predominio del sociale, analogo a quello che un tempo fu il dominio della natura sull'uomo, se non opponendovi la capacità degli individui a padroneggiare il meccanismo sociale sottomesso allo spirito umano, cioè all'individuo. Simone Weil non amava Durkheim, nel sentimento sociale essa vedeva un pericoloso surrogato del sentimento religioso, nel collettivo una incarnazione diabolica; era del tutto contraria a una solidarietà pensata come "progetto politico fondato sulle organizzazioni partitiche e sindacali quali istituzioni cardine della società moderna" (M. Salvati, p. 12). Nel 1933 evidentemente non si poteva più essere nello spirito di fine Ottocento; come mediare tra individuo e società, quando il primo sa sperimentalmente di contare sulla bilancia quanto il grammo opposto al chilo? Si poteva solo stare sul piatto del chilo oppure opporsi con la sola forza del pensiero in attesa di essere schiacciati. Oggi la situazione non è certo sostanziai mente di versa; chiunque s'interroghi a fondo sa in definitiva di essere solo e di essere inerme di fronte al meccanismo sociale, ma avverte meno o più confusamente l'esigenza di un mutamento radicale anche a motivo della scarsa fiducia nelle organizzazioni che dovrebbero presiedere al cambiamento. Così l'idea stessa e la pratica possibile della solidarietà nell'ultimo mezzo secolo si è profondamente trasformata; sempre meno si è incarnata in strutture forti: partito, sindacato, cioè in soggetti unitari che solidarizzano contro altri soggetti in nome del principio di classe, e dunque di interesse, ma si è in certo senso individualizzata: "La solidarietà quotidiana nasce dal le macerie della solidarietà operaia. (...) Il suo scopo è l'abolizione della concorrenza, che non ne è più il fondamento. Si basa ormai sulla comunicazione libera da qualsiasi controllo e tende a far sparire i limiti insiti nella solidarietà operaia. Ha un carattere universale, che supera le frontiere. Sua condizione è la tendenza totalizzante del capitalismo che mira a dominare sia la totalità della terra che la totalità dell'individuo. Ora, questa tendenza incontra una resistenza nella ricerca di una

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==