14 SU PIZZORNO Fotodi Marco Pesaresi/Contrasto Pizzorno rintraccia le radici del p1imato dell"'attività identificante" (volta a costituire e rafforzare identità collettive) sull' "attività efficiente" (volta a soddisfare interessi e bisogni già'esistenti) della politica occidentale nel carattere di assolutezza che la connota fin dalle sue origini storiche, nella contesa tra laChjesa e i poteri laici per la determinazione e il controllo dei "finj ultimi" del governo della società. Su questo punto Pizzorno propone una tesi non ovvia: il conflitto medievale fra potere spirituale e potere temporale non configura l'antagonismo tra due funzioni contrapposte, religiosa e civile, per la supremazia sulla società cristiana, ma la dicotomja tra "fini ultimi" (ovvero di lungo periodo) e "fini prossimi" (temporali nel senso di temporanei, immediati) espressa per la prima volta dal grande progetto teocratico del la riforma gregoriana dell 'XI secolo, teso a rivendicare il primato nella determinazione dei fin_iun_iversali e di lungo periodo del mondo cristiano all'autorità politica della Cruesa, unica depositaiia dei criteri di verità e di valore assoluti e vincolanti per l'intero corpo sociale. Dunque se la politica "modermunente intesa", come autonoma dalla religione e dalla morale, risale a Machiavelli e Hobbes, "le radici della politica assoluta" nelle istituzion_ioccidentali nascono dentro, e non fuo1i e contro, la sfera religiosa, che vi lascerà impresso il suo marchio. Lo stato moderno, nella sua formazione, assume il monopolio della "produzione delle identità collettive ultime", trasferendo su ru sé, in quanto "corpo giuridico" peren_ne,i connotati asso I uti e sacrali della poi itica di trascendenza attraverso l'esercizio della giustizia e il potere di identificazione dei nemici. Con la fine dell 'Ancien Régimee la crisi delle identità ascritti ve (di ceto, professione, appartenenza etnico-religiosa), gli albori dello stato liberale, abolendo ogni forma di rappresentanza speciale, sembrai·ono superare la dissociazione tra politica "bassa" (legata ai "fini prossimi" degli interessi corporativi) e politica "alta" (tesa ali' identificazione dei "fini ultimi"), per dar luogo a una nuova sfera politica fondata sul rapporto diretto fra i cittadini-proprietai·i e lo Stato. Ma la componente "assoluta" della politica, ovvero trascendente i fini immediati e i benefici attesi dalle parti in gioco, riemerge con forza negli sviluppi della fase post-liberale, con l'allargamento del suffragio e la creazione di robusti corpi intermedi fra i cittadini e lo Stato, e non accenna ad estinguersi nelle moderne società industrializzate, non solo nei movimenti e partiti a carattere manifestamente totalizzante - come quelli nazionalisti o comunisti - in cui la pretesa di verità nell'identificazione del bene comune è più evidente, ma anche nelle dinamiche conflittuali del pluralismo democratico, in cui gli agenti della scena politica, partiti e movimenti, devono continuamente ricorrere alla produzione di ideologie, linguaggi simbolici, rituali partecipativi, per rinnovare la fiducia e l'impegno degli aderenti, facendo leva sui meccanismi dell'identificazione collettiva capace di durare nel tempo, al di là degli alterni risultati dell'azione. Pizzorno ne trova nuove conferme nell'analisi dell'evoluzione dei sistemi rappresentativi del secondo dopoguerra. Con la crescita dei vincoli economici internazionali e l'espansione dell'amministrazione pubblica nella vita sociale si assiste a una progressiva perdita di autonomia delle auto1ità centrali di governo, le cui decisioni tendono a riflettere automatismi sempre più rigidi, dettati dalla struttura del bilancio e dagli andamenti del ciclo economico, mentre si dilata enormemente la discrezionalità e la tendenza negoziale a tutti i livelli dell'azione pubblica, sempre più frammentata, sul piano amministrativo, nei mille rivoli degli interessi settoriali, corporativi e p1ivati. In questo nuovo contesto di difficoltà ad elaborare alternative politiche reali, i partiti mostrano una tendenza all'indistinzione dei programmi e si assiste al sorgere dei catch-all-parties che concorrono a rappresentare gli stessi gruppi sociali, mentre gli elettori sono chiamati vieppiù a dare il loro consenso in condizioni di ignoranza. Di qui ancora la tendenza a distinguersi mediante i richiami ideologici o simbolici, il riferimento a una tradizione o all'immagine di singole personalità, che mirano a compattare le identità e sfuggono alla ve1ifica dei fatti, mentre nuovi soggetti non inclusi dalla rappresentanza (come è accaduto in tempi recenti per i giovani, le donne, gli ecologisti) irrompono ciclicamente sulla scena politica per poi rifluire o convergere sugli scrueramenti preesistenti. Le conclusioni di Pizzomo sul funzionamento dei sistemi politici contemporanei risultano molto pessimistiche, tirando le somme dello "spreco di attività edi impegno politici", delle usure di identità personali faticosamente costruite e destinate a dissolversi o a mortificarsi: "Ogni volta che i I sistema si ristabi lizza ci appaiono più insopportabili lo spreco e la perdita di ricchezza umana, quasi gli anelli del feedback.di riequilibrio operassero con maggior durezza e, dissipando sempre più preziose energie, si allontanassero a spirale dal terreno di una democrazia accessibile a tutti. L'orgoglio dell'invenzione politica occidentale, il pluralismo, ci appare destinato ad accrescere il cinismo fra i potenti, la segretezza fra i governanti e l'indifferenza fra i membri della città" (p. 282). Non ho colto fin qui che alcune parziaLissime linee tematiche su cui riflette, da varie angolature, il libro di Pizzomo e, per quanto sia improprio piegarne i contenuti a una lettura contingente e postdatata, non si può fare a meno di associai·e le sue considerazioni sulla sfera politica come luogo di interazione "espressiva", prima e più che "economica", dei soggetti allo scenario attuale che, nel crollo
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==