Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

ILSOCIALEEILPOLITICO SECONDOPIZZORNO SantinaMobiglia "Oh gran bontà dei cavalieri antiqui!/ Eran rivali, eran di fé diversi .../ eppur per selve oscure e calli obliqui/ insieme van ..." I versi dell'Ariosto fanno da pungente epigrafe a un recente saggio di Alessandro Pizzorno sul consociativismo, dedicato a ricostruire i rapporti ambigui fra maggioranza e opposizione comunista nella vicenda italiana dal dopoguerra ad oggi, in contrasto con i modelli interpretativi polarizzanti del sistema politico italiano e della sua crisi attuale, accusati di cadere nella "trappola di considerare gli attori della politica per quello che dicevano di essere e non per quello che realmente facevano" (p. 285), come, per metafora, suggerisce l'immagine dei paladini ariosteschi: avversari irriducibili sotto le mura di Parigi e quatti quatti a braccetto col favore delle ombre. La dicotomia tra politica palese e politica coperta, che nel saggio in questione è applicata a vicende di immediata e suggestiva attualità, sorregge sul piano dell'intento metodologico l'intera raccolta di scritti teorici recentemente pubblicata da Pizzorno (Le radici della politica assoluta, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 325, L. 45.000). Il saggio sul consociativismo (del 1993) ne costituisce l'ultima parte ( Categorie per una crisi), mentre le parti centrali sono dedicate a La partecipazione e la scelta e Identità, interesse, conflitto e il saggio iniziale - che dà il titolo al libro - indaga retrospettivamente, nella storia del Medioevo europeo, i caratteri costitutivi e fondanti della "politica che ha conosciuto l'Occidente. Che è poi di questa, e non della politica in generale, che siamo in grado di fare teoria" (p. 14).Si tratta di scritti in parte inediti (almeno in Italia), in parte già noti e significativi nel dibattito politico (come quello sullo scambio politico sul finire degli anni Settanta), in qualche caso ora riveduti e ampliati, ordinati secondo un percorso tematico che mostra una linea di pensiero di tenace continuità e coerenza lungo un arco di tempo di oltre venticinque anni (punto di partenza è un saggio sulla partecipazione politica del 1966). Il libro offre stimoli sostanziosi ed istruttivi anche per il lettore non specialista che, superando l'asciuttezza del linguaggio e del ragionamento, voglia interrogarsi sulle categorie della politica nel dissestato contesto presente. Non vi troverà certezze ideologiche né indicazioni rassicuranti, programmaticamente escluse dal discorso dell'autore, ma un'articolata lezione teorica capace di istituire nessi e significati penetranti anche nella movimentata fenomenologia dell'agire politico di cui siamo soggetti e testimoni. Pizzorno rivendica con forza la sfida di una teoria riflessiva tesa a "porre incessantemente l'interrogativo critico sui significati" sottesi alle azioni e ai discorsi che si recitano sulla scena della politica "come l'analista di fronte al suo paziente", senza consigli al Principe né al popolo, con l'esclusivo intento di indurre l'uditorio a "ben comunicare", a conoscere meglio se stesso e gli altri, e non già ad agire in vista del giusto e del bene, che implica un'inevitabile commistione di ruoli tra l'analista e il suo oggetto, tra la teoria e l'ideologia. Se l'atto di nascita della teoria politica- in tutti i grandi classici, da Machiavelli a Hobbes, da Marx a Pareto - si presenta come rottura con il linguaggio giustificazionistico o persuasivo dell'ideologia per imboccare la via del realismo politico, ed è questa la strada che permette di costruire categorie disvelative come quella di "scambio politico" o del "livello coperto" come opposto al "livello palese" dell'agire politico, percorrendola fino in fondo Pizzorno mette in luce le aporie esplicative del suo approdo a una teoria realistica degli interessi, quali moventi effettuali, in vista dell'utile, celati dai fini dichiarati ed espressi dell'agire politico. La nozione di interesse, sia esso riferito a una nazione, a una classe, a un partito, a un elettore, presuppone l'identità stabile del soggetto che ne è portatore e la sua capacità di calcolo razionale del rapporto costibenefici, ma è proprio qui che l'osservazione realistica scopre dimensioni irriducibili alla razionalità strumentale, deve ammettere il carattere fluido e polimorfo delle identità individuali e collettive, come le rigidità che esse manifestano (ad esempio nell' appartenenza, nella fedeltà a un'organizzazione) anche al di là del venir meno dell'obiettivo inizialmente perseguito. La versione moderna di tali modelli interpretativi della politica è indicata nelle teorie "economiche" o "neoutilitarie" della democrazia (da Schumpeter a Downs) che non solo esercitano una forte egemonia culturale in campo specialistico ma appaiono radicate anche in un diffuso senso comune, postulando il principio della "scelta razionale" dell'individuo, capace di coniugare armoniosamente egoismo e bene comune, come già nella teoria del mercato. Pizzorno le sottopone a critica mostrando alcuni paradossi che discendono dal ricorso a tali premesse: perché mai qualunque cittadino dovrebbe partecipare a un'attività politica, militare in partiti e sindacati, aderire a uno sciopero, o persino andare a votare o impiegare il proprio tempo a tenersi informato, se l'unico criterio delle sue azioni fosse ispirato a un calcolo costi-ricavi? Meglio conseguirebbe il suo particolaristico interesse dedicando tempo ed energie ad altre imprese, al lavoro o al guadagno, oppure semplicemente standosene a casa propria, visto che comunque- in presenza dei grandi numeri - il contributo del singolo è irrilevante e i benefici eventuali toccherebbero anche a lui. La risposta ovvia: "Ma se tutti facessero così ..." già mette in luce un orientamento normativo di carattere extra-economico, rivela un principio di appaitenenza e di identificazione in una collettività che si intende con quell'atto confermare. Ugualmente perché sindacati e partiti promuovono lotte e mobilitazioni che non hanno nessuna speranza di risultare vittoriose? E perché trovano seguito e consenso? E la politica non mostra forse innumerevoli esempi di atti fine a se stessi, che hanno carattere di testimonianza, di fedeltà o "conversione" a una causa, di "devozione" a un capo o a un'idea, fino all'entusiasmo e alla disposizione al sacrificio, secondo attitudini che siamo soliti riferire alla sfera religiosa? Proprio lo "sguardo realistico" -argomenta Pizzorno-mette in crisi il modello economicistico della razionalità strumentale e costringe alla ricerca di una spiegazione più comprensiva, che egli fonda su una teoria dell'identità. Sono i processi di identificazione collettiva, di espressione e rafforzamento dei legami di solidarietà e di appartenenza (di gruppo, classe, nazione), il terreno decisivo dei comportamenti politici, in cui la logica del l'interesse gioca un ruolo parziale e subordinato. Per essere percepito come un valore da perseguire, l'interesse necessita di un riconoscimento sociale e, dunque, di un'identità collettiva che lo legittimi: l'attività politica, nel modello ermeneutico di Pizzorno, è il luogo peculiare di affermazione e difesa delle identità collettive e di garanzia degli interessi di lungo periodo che agli attori sociali appaiono più sfuggenti e difficili da valutare.

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