8 DOPO HEBRON Le contraddizioni degli israeliani "L'assassino era estraneo alla famiglia di Israele e si è formato al di fuori dei valori dell'ebraismo", ha detto Rabin in Parlamento, alludendo alla provenienza americana di Goldstein. Anche i settori politici di opposizione che considerano i negoziati con l'OLP un tradimento della patria sono d'accordo sull'estraneità dell'eccidio dal carattere della società nazionale, ma rovesciano il ragionamento naturale: invece di puntare il dito contro i guerrafondai degli insediamenti, accusano il governo di non garantire la loro sicurezza e così lasciare le porte aperte a reazioni estreme per autodifesa. È ciò che ha detto ai deputati, subito dopo il discorso del primo ministro, il capo del maggiore partito di opposizione, il Likud, Beniamin Nettanyahu. In realtà la destra contraria ai negoziati ha oggi una minore aderenza tra l'opinione pubblica di quanto indichi la sua proporzione in Parlamento (legislatura eletta prima che fosse avviato il processo di pace dal governo formato all'indomani della stessa consultaziohe). I deputati si dividono praticamente a metà nell'appoggio o l'opposizione alla politica del governo per risolvere il problema palestinese, mentre i rilevamenti d'opinione indicano che quasi un 60 per cento della società israeliana è nettamente favorevole ai negoziati con l'OLP. E tuttavia sono in molti, tra questa stessa maggioranza della popolazione, quelli che esitano davanti ali' eventualità di una spinta forte e fino in fondo nella direzione che pure convinti sostengono di volere. Conseguenza della lunga vita passata sotto la minaccia di aggressioni e delle nuove preoccupazioni per il terrore diffuso dalle bande di integralisti islamici armati. Chi garantisce - è una domanda che si sente fare spesso - che nei territori da cui ritireremo i nostri soldati sarà in grado la polizia Leggi? la Rivisteria Librinovità • riviste • video Ogni mese tutte le novità di libri, riviste, video e tutto ciò che si dice sui libri. Richiedeteci una copia saggio: nomee cognome ___________ _ indirizzo e numero città __________ CAP __ _ professione _____________ _ La Rivisteria - Via verona, 9 - 20135 Milano tel. 02/58301054 - fax 02/58320473 palestinese di soffocare il terrorismo antiisraeliano? È anche il contesto in cui convivono questi sentimenti contraddittori a frenare la marcia del governo verso la conclusione delle intese con l'OLP, a parte i contrasti su problemi obiettivi. Per superare le difficoltà create dai partiti il governo usa i metodi della lotta politica: è bastato che il ministro degli esteri, Peres, minacciasse di cancellare la norma che esclude dall'obbligo del servizio militare i seminaristi dei collegi rabbinici perché i partitini religiosi polemici nei confronti dei negoziati di pace smettessero di prospettare crisi nella maggioranza. Meno semplice è combattere le paure della gente comune. Le novità, tutte in direzione della pace Arafat ha sostanzialmente ripreso il controllo della situazione in campo palestinese. Già alcune settimane prima la sua guida era stata fatta bersaglio di critiche anche dei fedelissimi. Contestazioni a un suo presunto metodo assolutistico di gestire i negoziati che rispondono a una realtà: dopo decenni di conduzione tendente all'unanimismo dell 'OLP, il vecchio leader si comporta non più come il capo di un movimento ma come il mandatario di uno Stato in formazione. Era stato anche diverso il Kenyatta comandante della lotta per la liberazione da quello diventato presidente di un paese liberato. Sia il governo d'Israele, sia gli Stati Uniti, fanno ogni sforzo per salvare la leadership del presidente dell'OLP e quindi assicurare la sopravvivenza del processo di pace. Ammette il dirigente laburista israeliano Nissim Zvili (che per parecchio tempo fu l'intermediario di contatti segreti traRabin-Perese Arafat): "È con lui che dobbiamo trattare, non c'è alternativa". A metà marzo, per la prima volta nella storia, una delegazione dell'OLP è stata accolta alla Knesseth e un esponente di AI-Fatah, Sufian Abu Zaideh, ha pronunciato un discorso davanti ai deputati. Intanto a Washington il Dipartimento di Stato annunciava che i due gruppi razzisti ebraici appena messi fuori legge in Israele sarebbero stati probabilmente inclusi nel1' elenco dei promotori di terrorismo nel mondo. Un annuncio, questo, che tra l'altro doveva essere gradito a Damasco: il regime siriano ha sempre protestato perché figura in quella lista da cui invece mancavano i gruppi armati di coloni dei territori occupati. Anche per la prima volta nella storia, a Damasco è stata ricevuta una delegazione di parlamentari israeliani guidati da un deputato arabo (uno, cioè, di quelli che la Siria aveva sempre considerato spregevoli traditori). Si potrebbe pensare (è solo una congettura, beninteso) che il presidente Assad provi ora a competere con Arafat, visto che non riesce a scalzarlo, nella corsa verso una nuova sistemazione del Medio Oriente in cui svolgere un ruolo centrale. Addirittura si coglie qualche pur esile segnale nella stessa direzione proveniente dai fondamentalisti islamici dei territori occupati, che si battono contro qualsiasi ipotesi di compromesso che possa lasciare in vita lo Stato ebraico. A Hebron, nei giorni seguiti al massacro della moschea, alcuni esponenti locali dell'organizzazione Hamas dichiaravano ai giornalisti stranieri che non ci si poteva fidare del governo israeliano ma che bisognava riconoscere che "il ministro Peres è un uomo sincero". E - ancora una novità - un neonato gruppo fondamentalista tra i palestinesi cittadini di Israele tenta di attirare verso le proprie posizioni favorevoli alla coesistenza con questo Stato quegli altri islamici dei territori occupati. I dirigenti del nuovo gruppo hanno partecipato, e uno è stato tra gli oratori, alla grande manifestazione popolare organizzata dal movimento pacifista Shelom Ahshav la sera di sabato 5 marzo a Tel Aviv. Le cose si muovono, insomma, e non pare proprio che vadano in direzione opposta al traguardo prefigurato da Arafat e da Rabin.
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