Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

SP8DIZIONE IN ABBONAMENI'O POST AUl 50% • VIA GAFFUR.10 4 - 20124 MILANO

"RICONOSCENDO L ORME DICHIClHAPRECEDUTO SIVAVAN

FINCHÉ SISCORGE INNANZI ANOIUNA Perquesto tichiedeiabbonarti. Perché 1 • 1

COMEABBONARSI A Hanno pubblicato su ''Linea d'ombra": Acheng, Shamuel Y. Agnon, Altari, Jean Améry, Giinther Anders, Hanna Arendt, W.H. Auden; Ingeborg Bachrnann, Peter Bichsel, Romano Bilenchi, Heinrich Boll, Massimo Bontempelli, Kazimierz Brandys, Luis Bunuel, Albert Camus, Aldo Capitini, Giorgio Caproni, Paul Celan, Louis-Ferdinand Céline, Stig Dagerman, Giacomo Debenedetti, Antonio Delfini, Thomas S. Eliot, William Faulkner, Rafael Ferlosio, Leslie Fiedler, Francis Scott Fitzgèrald, Edward M. Forster, Carlo EmilioGadda,GilnterGrass,GrahamGreen,Jerzy Grotowski,Joào GuimarilesRosa, ChristophHein, Bohumil Hrabal, TadeuszKantor,KarlKraus,Stanley Kubrick,CarloLevi, Malcolm Lowry, MarioLuzi, · AntonioMachado,HerbertMarcuse,HermanMelville,Lorenzo Milani,ElsaMorante,GiacomoNoventa,George0rwell,Cynthia0zick, Flannery0'Connor,JoséEmilioPacheco,AldoPalazzeschi,Raniero Panzieri,PierPaoloPasolini,BorisPasternak,GeorgesPerec,Fernando Pessoa, AridrejPlatonov,Vasco Pratolini,RaymondQueneau, FabriziaRamondin.o,RobertoRossellini,HenryRoth,SalmanRushdie,JuahRulfo,LeoriardoSciascia,NathalieSarraute,AlanSillitoe, IgnazioSilone,OaudeSimonIsaacB. Singer,GertrudeStein,George Steiner,WallaceStevens, JonathanSwift, Lev N. Tolstoj,Tzvetan Todorov,GeorgTrakl,AmosTutuola,MarioVargasUosa, Manuel VazquezMontalban,PaoloVolponi,HugovonHofmannsthal,Kurt Vonnegut,SimoneWeil, ChristaWolf, VirginiaWoolf,WilliamB. Yeats,AvrahamB. Yehoshua,Andrea2.anzotto. Per sottoscrivere l'abbonamento utilizzate ·----------------------------------- SÌ sottoscrivounabbonamento annuale(11nùmeri)aLinead'ombraperunimportot taledi L. 85.000. NOME ________________ COGNOME _______________ _ INDIRIZZO ---------------------------------- CITTÀ____________________ e~------------- PROFESSIOtE ETÀ ____________ _ Segnalounamicointeressatoricevereunacopiaomaggio diLinead'ombra(incasodirispostaffermativaprolungherete di 3 mesi il mioabbonamento) NOME_______________ _ COGNOME ______________ _ INDIRIZZO ______________ _ _____________ (Ap __ _ CITTÀ_______________ _ Indicolamodalitàdipagamento (senzaggiuntadispesepostali) D Assegno(bancarioopostalen.________ _ banca___________ inbustachiusa) D Versamento sulc/cpostalen. 54140207 intestatoaLinead'ombra □ Viautorizzoadaddebitarmi lacifradi L. 85.000 sucartadicredito D CartaSì □ Visa □ Mastercard □ Eurocard I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I N. SCAD. POTETEMANDAREANCHEUN FAXALN. 02-6691299 FIRMA_____________ _ I I L---------------------------------------J

Direttore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Gruppo redazionale: Mario Barenghi, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Francesco Binni, Marisa Bulgheroni, Gianni Canova, Marisa Caramella, Grazia Cherchi, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacchè, Filippo La Porta, Gad Lemer, Marcello Lorrai, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Marco Nifantani, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Fabio Rodrfguez Amaya, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Emanuele Vinassa de Regny. Collaboratori: Damiano D. Abeni, Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Livia Apa, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Marilla Boffito, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Giovanna Calabrò, Silvia Calamandrei, Isabella Camera d'Afflitto, Rocco Carbone, Caterina Carpinato, Bruno Cartosio, Cesare Cases, Alberto Cavaglion, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Giovanni Galli, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Maria Maderna, Maria Teresa Mandatari, Edoarda Masi, Roberto Men in, Renata Molinari, Diego Mormorio, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Armando Pajalich, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Sandro Portelli, Dario Puccini, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Restelli, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Alberto Rollo, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Luigi Sampietro, Paolo Scarnecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Francesco Sisci, Joaqufn Sokolowicz, Paolo Soraci, Piero Spila, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Redazione: Lieselotte Longato Abbonamenti: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Letizia Battaglia, Peggy Boyers e la rivista "Salmagundi", Giovanna Busacca, Barbara Galla, Erica Mazzotti del Goethe lnstitut di Milano, Michele Neri, Marco Antonio Sannella, Barbara Verduci, la casa editrice Longanesi, le agenzie fotografiche Contrasto e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl - Via Gaffurio 4 20124 Milano Te!. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie POE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Te!. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo lll/70%-Numero92-Lire9.000 LINEA D'OMBRA anno XII aprile 1994 numero 92 4 6 9 11 12 13 15 Piergiorgio Giacchè Joaqu[n Sokolowicz Unionof ConcernedScientists Franco Carnevale Filippo La Porta Santina Mobiglia Giancarlo Gaeta CONFRONTI 17 Goffredo Fofi 19 Roberto Koch 36 Barbara Lanati 37 Marisa Caramella 39 Maria Nadotti 41 Paolo Bertinetti 60 Oreste Pivetta 61 G. De Mauro, G. Fofi 62 Alberto Rollo 66 L. Mosso, A. Saibene 67 Giuseppe Pollice/li 69 Giuseppe Pontremoli Dopo le elezioni Dopo Hebron Monito all'umanità a cura di Enrico Alleva e Daniela Santucci Come sono gli scienziati Ricordo di Christopher Lasch Il sociale e il politico secondo Pizzorno Parole chiave: Solidarietà La grande mostra di Salgado Inserti fotografici Ricordo di Angela Carter Sesso e potere nel romanzo di Crichton Puritanesimo e Aids nel film di Demme Il labirinto indiano di Arun Joshi La geografia milanese di Lorenzo Fantini "Internazionale", un settimanale diverso Le riviste per adolescenti Il 1993 in video · Tiziano Sciavi tra fumetto e romanzo Su alcuni recenti libri per ragazzi RIFLESSIONI SUL 11GIALLO11 21 23 25 28 30 Geoffrey O'Brien Jim Thompson Paco lgnacio Taibo Il Didier Daeninckx Giancarlo De Cataldo POESIA Sujata Bhatt INCONTRI 45 Edgar Reitz 47 Senel Paz 49 Ibrahim Samuel RADIOTEATRO 5 I Wolfdietrich Schnurre SAGGI 72 James Miller ----- I fantasmi del "noir" La notte di un lungo giorno La continuazione della politica Incontro con Fabio Gambaro Morte sull'isola. Racconto Italia: la fuga dal grande delitto In cerca della lingua a cura di Paola Splendore Riflessi del tempo Incontro con Luca Mosso L'uomo nuovo, dov'è? Incontro con Marco Nifantani Tra un'onda e l'altra Incontro con Isabella Camera d'Affl.itto L'incontro La politica in Foucault La copertina di questo numero è di Pedro Scassa. Abbonamento annuale: ITALIA L. 85.000, ESTERO L. 100.000a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra o tramite carta di credito SI. I manoscrilli non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi.

' 4 DOPO LEELEZIONI ,. CORAGGIO, ITALIA! PiergiorgioGiacchè "Forza Italia", ha appena finito di trasmettere i risultati definitivi della vittoria di Canale 5 e all'improvviso ci si accorge che finalmente "è passata 'a nuttata" ed è già mattina. Primo giorno. (dalla Bibbia della Seconda Repubblica; Genesi, 29, 3-94) "La sinistra come al solito è stata sconfitta", titola più o meno il "Giornale" di Feltri. Ed ha ragione. La lunga marcia delle amministrative trionfanti di giugno e di dicembre, la costruzione di un polo tanto moderato da far sognare un governo futuro uguale al presente, l'aggregazione ragionevole ed estesa che teneva insieme Del Turco e Orlando, Adornato e Berti notti - che cioè andava dalle estremità dei rifondatori alle teste pensanti di Alleanza Democratica (vero cervello di ricambio!)- non è servita ad altro che a contarsi. Come al solito. Ma come mai? Qualcuno dirà che questo riuscito tentativo di tranquillizzare tutti ha funzionato per davvero da tranquillante. Qualcun' altro lamenterà che sono stati scelti male i candidati, ritornando alle logiche e alle famiglie di partito, invece di insistere con gli outsiders e i tecnici del vero rinnovamento. In molti si lamenteranno di essere stati ancora una volta a votare "per paura delle destre" più che per fiducia nelle sinistre. In pochi si accorgeranno che da vari anni le sinistre non hanno né grandi idee né grandi uomini (A proposito, il 30% garantito alle donne?). Tutto vero, ma basta a spiegare una sconfitta? E basta a spiegare una vittoria dell'altra parte? Come ha fatto Berlusconi, mettendo in piedi in tre mesi non un partito ma appena un colossale movimento di paninari, a prendere il posto della DC e del Psi? Come ha fatto Fini a portare il Msi in zona governo e a rendersi credibile appena rimpicciolendo la fiamma nel nuovo simbolo, quando ad Occhetto una ben più drastica operazione di rinnovamento e di riduzione non è mai giovata? Come hanno fatto i Lombardi alla prima crociata a conquistare subito Roma, mentre quelli che sono in cammino da anni - anzi da secoli tanto che "la storia sono loro" - sono ancora attestati in Umbria e non si muovono di lì? "Quante vicende, tante domande", diceva Brecht, buona anima. Ma nella storia o nella cronaca politica di questi ultimi anni non ci sono risposte né spiegazioni convincenti: il fattore K è caduto, il craxismo è passato in giudicato, la DC si è sfasciata, la crisi economica attanaglia anche i padroni e perfino la mafia non si sente troppo bene. Quale momento migliore e quale spazio maggiore per un governo di sinistra? Il fatto è che la Storia non spiega gran che e soprattutto non insegna mai nulla a nessuno. Per quanto possa sembrare irragionevole e triste, è così che (non) funziona. Sarebbe il caso di dirselo, invece che fare della storia un valore o addirittura un inno. Anzi, se si smettesse di inneggiare, forse si scoprirebbe che qualche colpa ce l'hanno proprio le canzoni. E le feste e le televisioni, gli spettacoli e le comunicazioni, con cui la sinistra ha prolungato ben oltre la decadenza il suo impero culturale. Non ci si vuole aggiungere al coro infido di chi durante la campagna elettorale si è lamentato della sua straripante egemonia, di chi l'ha accusata di controllare la Raie di orientare metà della stampa, di influenzare la scuola e l'università e l'associazionismo ... ma è anche vero che - se fosse un media - si potrebbe dire che la sinistra non ha mai avuto tanta diffusione e un così grande indice di ascolto, pari soltanto all'insipienza dei suoi programmi; e - se fosse una moda - si potrebbe riconoscere che un lungo periodo di intenso sinistrese, edonista reaganiano e nostalgico kennediano, ambientalista e gastronomo, pacifista e dissoluto, ha siglato o sottoscritto tutte le tendenze, tutti i mercati, tutte le occasioni che hanno contato negli "infiniti" anni Ottanta. Il problema è venuto fuori quando si è riproposta la Sinistra come forza politica. A quel punto la questione culturale, quella dei principi e dei valori ma anche delle norme e dei comportamenti "giusti", è stata sottovalutata e si è messa in moto un'unione delle sinistre che stava sì in cielo e in terra, ma non nelle teste dei suoi componenti. E non si vuole certo parlar male dell'eccessiva eterogeneità come se il problema fosse l'unione, ma al contrario proprio dell'omogeneità anzi della pasoliniana omologazione che affligge e debilita l'identità che si intende esprimere quando si dice sinistra: la stessa facilità e rapidità con cui si è riusciti ad organizzare un cartello la dice lunga sulla leggerezza del dibattito, su quanto sono flebili le differenze e quanto sono ancora poche le minoranze che dovrebbero comporre una sinistra non ideale ma appena funzionale. La sinistra può invece distinguersi e contare e contrapporsi solo se riesce a moltiplicare prima, e a incarnare poi, quelle minoranze a cui è affidata la definizione stessa di democrazia. Sempre che non si creda che "democrazia è il governo della maggioranza" - cosa che è riuscita perfettamente anche a Luigi XIV e a Mussolini che governavano, checché se ne dica, con il massimo del consenso - anziché "tutela e sviluppo delle minoranze". Stavolta ha votato e ha vinto la maggioranza. Che scoperta, si dirà. Eppure non sempre vince e nemmeno sempre vota la maggioranza che è fuori e dentro di noi. Spesso si sente che è la minoranza quella che ci spinge, ci condiziona, ci entusiasma. Soltanto allora la sinistra vince, qualunque sia il risultato. Il deficit culturale e politico della sinistra è dunque tutt'uno, anche se molti preferiscono credere che si tratti di questioni separate o di ingredienti inversamente proporzionali, e che si possa rispondere alla carenza di proposta e di intervento culturale attraverso la presenza e l'iniziativa politica. Oppure se altri, più moderni yuppies, pensano che curare l'immagine culturale possa compensare un vuoto sostanziale e politico. Non è in fondo questa la ricetta vincente della destra? Anche se fosse, la sinistra non funziona così: se c'è una ragione per tenere ancora in piedi questi due termini distinti e speculari di 'destra' e 'sinistra', è proprio perché funzionano a rovescio, perché i meccanismi e i dispositivi che realizzano e rendono efficiente una politica più privatistica e il gioco degli interessi più egoisti e meno lungimiranti è l'esatto contrario di quello che occorre per le aperture altruistiche e per gli investimenti a più lunga e alta scadenza. Da un lato invece la cultura politica della sinistra si è appiattita sui diritti e si è viziata con le rivendicazioni, si è impegnata su un

amministrativismo condominiale e si è logorata nelle infinite ancorché doverose lotte difensive; non una parola sui 'doveri' se non chiamandoli 'sacrifici', non una attenzione agli 'altri' se non quando d trattava di 'diversi' che comunque vivono con noi e pensano come noi. Troppo poco per rilanciare una sinistra "dei valori", come dice Orlando; troppo poco per promuovere una 'sfida', che è l'unico modo in cui la sinistra - vincente o perdente che sia - realizza se stessa. Dall'altra poi la politica culturale delle distrazioni e degli intrattenimenti, delle provocazioni e delle liberazioni di costume, ha puntato sulla facilità (già qualità) della vita e sul turismo spettacolare, ha allenato al consumismo televisivo e ha trascurato la scuola, proprio come è successo a Pinocchio ... Una cultura di sinistra che è stata una coltura delle destre. Come fermare adesso il sogno di un illimitato consumismo e cambiare le abitudini di un esercito di teledipendenti nutriti persino con gli Avanzi? A questo punto non una destra qualsiasi, ma quella che sugli avanzi della Rai ha costruito la più grande televisione commerciale del mondo, quella che del programma di intrattenimento e del successo dei programmi ha fatto la sua naturale bandiera, quel la che può promettere un milione di posti di lavoro perché nell'attesa regala milioni di gettoni d'oro, quella che sostituisce i pietosi bollini della sanità con i moderni buoni sconto per la scuola ... quella destra è per davvero vincente. Per la semplice ragione che ha già vinto, perché non è la novità, ma la continuità di una cultura che tutti hanno contribuito a creare. L' "uomo ricco" è solo l'altra faccia - ma la faccia opposta - dell'Uomo Forte della destra nostalgica: non è prepotente ma potente, non è rassicurante ma è già sicuro. non ha bisogno di voti per il suo successo perché è lui il "successo". non ha bisogno di rubare ma semmai Io ha già fatto ... E si potrebbe continuare, ma a che pro? Tanto ormai si è capito che il nuovo che ha fatto vincere la destra non è il quattrino, ma il fatto che ha potuto contare su un voto uno e trino. Il Ricco, il Bruto e il Castigo (visti da sinistra) hanno potuto offrire all'elettorato un vantaggioso Foto di Pietro Crocchioni. scambio di tre fustini al prezzo di uno: la Forza, la Protesta e la Storia della destra in un colpo solo. Cosa si poteva chiedere di più? E così, una volta che la cultura di sinistra è riuscita a liberare dai suoi scrupoli retrivi e dalle sue irragionevoli paure l'elettorato di centro, una volta che la politica di sinistra ha ricevuto in premio e in pagamento quei suoi quattro sindaci di altrettanto prestigiose città, la grande maggioranza non più silenziosa né retriva ha potuto esprimersi come meglio credeva, ponendo a sua volta in libera uscita i propri sani e moderni istinti commerciali e facendoci uscire tutti da un equivoco. Sì, perché il primo grande risultato di queste elezioni sta nella fine di un'illusione ottica: l'Italia è di destra, Io è sempre stata anche quando si chiamava democristiana o socialista, anzi quei partiti (nonostante i furti e i figuri) hanno sempre cercato di spingere o di DOPOLEELEZIONI 5 mascherare un po' a sinistra le vere aspirazioni e le vere intenzioni della maggioranza degli italiani. Quando tutti si sforzavano di indicare, come risorsa o come minaccia, il fiume della grande tradizione di sinistra come una peculiarità del nostro paese, magari sottolineando quel Partito Comunista d'Occidente più grande d'Europa (che, indirettamente, è stato peraltro la fonte primaria del credito finanziario e politico di cui s'è goduto fino all'89!), si scordavano di vedere in quale popolosa vallata di destra scorreva quel fiume. Adesso il presepe è ridiventato normale: un ruscello un po' inquinato scorre ancora sotto i ponti della storia, ma sappiamo come la pensano i pastori e quale miracolo attendono guardando dentro il televisore del Salvatore. Non si illuda l'opposizione progressista di cogliere in castagna l'avversario: il miracolo sta già tutto nella composizione delle attese e non nella soddisfazione delle promesse. A noi non resta che rinnovare una forse semplicistica proposta e dall'altra produrci in una davvero semplice profezia: l'invito è ancora quello che dalle pagine di questa rivista Luigi Manconi rivolgeva all'allora PCI perché "saggiamente si sciolga"; la proposta di allora riguardava I' inconsistenza e l'inutilità di una organizzazione in qualche modo concentrata e congelata sull'azione politica (sempre più solamente e chiaramente elettorale), invece che diluita nel sociale e impegnata nelle tante occasioni e situazioni dove serve svolgere attività di solidarietà - attività "altruistiche alla lettera" scriveva Manconi. Oggi questo stesso invito potrebbe diventare più politico e controbattere la tendenza ad arroccarsi e a perfezionare le organizzazioni e gli schieramenti, la tentazione dei partiti e partitini a contare sui propri zoccoli duri con i quali, come si è visto, non si galoppa lontano. "Sciogliersi" vuol dire liberare e lasciar proliferare le minoranze attive e le correnti di pensiero, riaprirsi alla realtà sociale e rilanciare un più ampio e più rigoroso dibattito culturale. La facile profezia è che ci si guarderà bene dal farlo, anzi, al contrario - e come sempre - i Progressisti riveleranno la loro anima conservatrice anzi l'istinto a tesaurizzare, a "capitalizzare" il risultato ottenuto. Si cercherà di produrre un controllo e un accentramento maggiore, si combatterà la dispersione del voto in quelle listarelle che non arrivano al quattro per cento, si richiamerà il mito e la necessità del grande partito di massa, che ancora oggi - già lo dicono in troppi - è riuscito ad essere il secondo partito d'Italia, con in più stavolta la garanzia di essere l'insostituibile polo della moderna e agognata Alternanza Democratica. Un polo magari non vincente, ma - quel che più conta - confermato in eterno. Vincerà magari sempre la Forza ma noi sapremo essere il Coraggio!

6 DOPOHEBRON , ', . , , 1 LAPACENON SI FERMA J oaqufnSokolowicz Appena dieci giorni dopo la strage di Hebron, ripartendo da Israele, si aveva la sensazione netta che le trattative di pace fra Israele e l'OLP- che erano sembrate irrimediabilmente compromesse - sarebbero riprese in un modo o nell'altro. Stavano perdendo colpi, nei due campi, i nemici delJa coesistenza dei rispettivi popoli su territori separati, gli uni e gli altri decisi a sfruttare a vantaggio dei propri e coincidenti propositi il momento di furore scatenato da quel massacro di decine di palestinesi inermi. Infatti mentre scriviamo si prospetta (non è ancora una certezza) la ricomposizione del meccanismo diplomatico secondo la logica. Che per il Medio Oriente non è per forza- la nostra logica politica - una base solida di previsioni sull'esito di qualsiasi crisi. Gli interessi particolari e quelli generali, le divisioni di ogni tassello del mosaico regionale e le solidarietà autodifensive di fronte ad agenti esterni, le antiche rivalità fra i componenti diversi della famiglia musulmana e la comune avversione nei confronti di altre religioni presenti nell'area, la brutalità di dittature peraltro considerate realtà naturali nel mondo arabo e le spinte democratiche di settori avanzati in alcune delle società soggiogate, oltre alle convenienze di questa o quella amicizia internazionale, rendono mutabili le posizioni più ferme. Tra i palestinesi dei territori occupati, dall'elezione di un consiglio universitario ad un'altra del direttivo di una camera di commercio, nel giro di pochi mesi o addirittura di settimane spesso si rovesciano radicalmente le proporzioni dei settori politici; i pragmatici moderati dell'OLP passano dalle stelle alle stalle ed i fondamentalisti islamici radicali risorgono dalle ceneri per essere collocati sugli altari, anche perché il voto è determinato da successi o insuccessi contingenti. Se tuttavia valesse per questa realtà la logica da società occidentale-laica-economicamente sviluppata, il "processo di pace" mediorientale si dovrebbe riannodare. Ecco le ragioni: i palestinesi non hanno alternative a scadenza prevedibile per evitare ulteriori sconfitte belliche; gli israeliani non hanno alternative nella ricerca di una sicurezza stabile e di uno sviluppo economico non più assoggettato ali' ipoteca delle necessità militari; la Siria non ha più la protezione dell'ex Unione Sovietica (poco e incerto è quello che si può ottenere dalla nuova Russia) e quindi è costretta ad accostarsi agli Stati Uniti mentre dipende sempre dall'assistenza finanziaria di quell'altra promotrice dei negoziati israeliano-palestinesi che è l'Arabia Saudita; la minaccia del dilagante integralismo islamico sostenuto daH'Iran spinge tutti questi protagonisti della scena mediorientale a costruire alleanze strategiche prima impensabili. Se poi la Siria si associa pienamente al processo di pace, i regolamenti arabo-israeliani diventano globali mentre quasi tutti i gruppi palestinesi estremisti perdono il suo determinante sostegno. Qualche parola filtrata dalle stanze dei frenetici contatti diplomatici intrapresi appena interrotte le trattati ve di pace ha incoraggiato la previsione che alla fine questa logica sarebbe stata rispettata. In conversazioni con il segretario di stato americano, Warren Christopher, il leader palestinese Yasser Arafat rassicurava l' interlocutore dicendo che nonostante le dichiarazioni lapidarie dell 'OLP si trattava di "attendere un po' di tempo" perché le cose si rimettessero a posto, mentre il ministro degli esteri siriano Al Charaàh usava a proposito dell'interruzione dei negoziati la tranquillizzante definizione "pausa" invece di ripetere il termine "rottura" dei proclami lanciati per il consumo dell'opinione pubblica interna e aJlo stesso tempo per ottenere dalla diplomazia internazionale - in cambio di un contributo decisivo alla soluzione deJla crisi- l'affidamento al presidente Hafez el-Assad del ruolo di protagonista del processo di pace già svolto dall'inviso (ad Assad) capo dell'OLP. In quelle ore Arafat era stato messo in minoranza nel comitato esecutivo della sua organizzazione dagli oppositori alla ripresa dei negoziati, e si era dovuto far portavoce delle condizioni poste dai duri per riannodarli. Si è poi visto nei fatti un ridimensionamento di quelle condizioni nel giro di pochi giorni: dall'esigenza di smantellamento totale degli insediamenti ebraici nei territori occupati si è passati a parlare quasi solamente di queJlo, Kyriat Arba, da cui proveniva l'assassino di Hebron; e si è registrato un graduale avvicinamento tra le posizioni di partenza riguardanti la forza multinazionale reclamata da]]' organizzazione palestinese per proteggere la popolazione dei territori occupati: un contingente militare dispiegato su tutti i territori (voluto dall'OLP) o un corpo di osservatori civili soltanto nella Striscia di Gaza e a Gerico (come ribatteva Israele). E non risulta che ci siano state repliche di intransigenza provenienti dall'OLP di fronte alle offerte israeliane di procedere entro pochi giorni al previsto ritiro delle forze d'occupazione da queste due aree, dopo mesi di rinvii, in cambio del ritorno dell'organizzazione palestinese, senza troppe esigenze, al tavolo dei negoziati. I fondamentalisti ebrei armati Lo stabilimento di nuclei di popolazione israeliana a Hebron, uno nel cuore stesso e un altro su una collina a ridosso di questa città che è araba da secoli, è emblematico dell'atteggiamento provocatorio dei sostenitori dell'espansione della patria ebraica sul l'intero suo territorio storico. Circa venticinque anni fa un vecchio casamento del centro fu occupato con un pretesto da un gruppo di famiglie di fanatici religiosi. Non molto tempo dopo cominciò la costruzione dei primi appartamenti di Kyriat Arba sull'altura che domina Hebron. Erano così entrati in azione gli estremisti di Gush Emunim ("Blocco della fede"), guidati dal rabbino Moshé Levinger. Oggi sono 450 gli ebrei che vivono armati fino ai denti in mezzo agli 80 mila abitanti palestinesi, sotto l'occhio vigile di altri 5 mila nelle loro case sulla collina. "Insediamento" e "colonia" sono poi parole che non rendono al lettore ignaro l'idea esatta delle cittadine dotate di ogni comfort quali sono in buona parte i luoghi in cui risiedono i "coloni". DaKyriat Arba è uscito armato del suo fucile mitragliatore Baruch Goldstein, per aprire il fuoco ali' alba di venerdì 25 febbraio contro i palestinesi che iniziavano la giornata di preghiera. Luogo sacro per musulmani e per ebrei, la tomba di Abramo o Ibrahim. C'è voluto il crimine orrendo perché il governo israeliano mettesse fuori legge due gruppuscoli razzisti, desse la caccia ad alcuni terroristi antipalestinesi noti e ordinasse ai militari di sparare contro i provocatori anche se coloni - prima intoccabili, spesso, secondo alcune testimonianze di soldati -. Per la verità avrebbe dovuto pensarci prima, questo governo che del resto ha dimostrato

di voler arrivare alla pace con i palestinesi riconoscendone i diritti nazionali. Le coalizioni a guida ultranazionalista che lo hanno preceduto erano alleate dei fanatici e hanno favorito il loro rafforzamento. Kyriat Arba è tipico di quegli insediamenti "politici" che il laburista Itzhak Rabin indicò come passibili di smantellamento, durante la campagna elettorale del 1992 e poi nelle prime settimane da primo ministro; per lasciare in piedi invece quelli "strategici", utili a fini di sicurezza- disse-, sarebbe stato opportuno trovare un accordo nell'ambito dei negoziati di pace. Rabin ha però fatto passare il tempo senza prendere decisioni in proposito. Rinvio provocato insieme da ragioni economiche (non è facile trovare una sistemazione a centinaia di famiglie da traslocare), politiche (lo smantellamento avrebbe potuto provocare proteste violente dei coloni estremisti e malcontento in settori "garantisti" della società israeliana) e di inquadramento nel contesto generale della politica di pace (ogni cosa a suo tempo secondo una tattica di scambi di concessioni). Noi pensavamo erroneamente che le autorità non cacciassero una buona volta gli oltranzisti armati per il timore che ciò potesse accendere una lotta fratricida. "Ma una guerra civile può scoppiare quando esistono contrapposti belligeranti di pari passo. Qui invece si tratta di appena qualche decina di coloni pronti a sparare contro altri israeliani per difendere le proprie tesi", ci dice il professor Avi Ravitsky, docente di Filosofia Ebraica all'Università di Gerusalemme, voce autorevole dell'ebraismo osservante. Tutti i conoscitori della questione a cui ci rivolgiamo confermano che sono tutt'al più tra cinquanta e un centinaio i folli, i pericoli pubblici, in mezzo ai 115.000 abitanti degli insediamenti. "Anche Hebron. Foto di RickyRosen/Sobo/Conlrosto .•.. . I, .. , ·,......;.....,L......::. DOPOHEBRON 7 molti altri osservanti - precisa Ravitsky - pensano che secondo le sacre scritture sarebbe legittima l'integrazione dei lenitoti occupati sotto la sovranità d'Israele ma le loro argomentazioni rimangono su un piano dialettico e mai si tradurrebbero nel ticorso alle armi". Vale qui la pena di ricordare che la grande maggioranza degli israeliani trasferitisi nei territori occupati non l'ha fatto neanche per le ragioni teotiche dei religiosi pacifici ma solo per convenienza. I passati governi (Begin, Shamir) hanno affetto in vendita le case a prezzi esageratamente bassi e con modalità di pagamento comode, hanno fatto elargire a chi le comperava fino a 70 milioni di dollari in prestiti che poi il beneficiario non doveva restituire se restava a vivere in quell'abitazione almeno per quattro anni, favorendo inoltre il neo-colono con sconti nelle tasse e con l'esonero dal versamento del canone TV. Come non approfittare di tali vantaggi, se non si hanno motivi ideali per opporsi ai disegni espansionistici, quand'è tanto difficile trovare casa in città? Visto poi che l'insediamento offre tutto quello di cui la famiglia ha bisogno ... e non avendo all'interno la sensazione di vivere, come in realtà è, dentro una fortezza piantata in mezzo a popolazioni ostili. Ecco quindi smentita dai sondaggi un'immagine diffusa all'estero in cui gli abitanti israeliani dei territori occupati appaiono tutti alla stregua dei fanatici impegnati nell'allargamento dei confini nazionali: un terzo dei coloni si è detto entusiasta del l'avvio dei negoziati con l' OLP fin dal primo momento e altrettanti hanno manifestato dubbi soltanto sulla scelta di quell'interlocutore per intraprendere trattative che comunque desideravano. E ciò nonostante il governo non ha bloccato quella minoranza di folli decisi a uccidere ogni possibilità di regolamento pacifico con i palestinesi. Di questa responsabilità paga ora le conseguenze sul terreno diplomatico. . - ~ ·~-:. -. ~~·'···· ..:._ ...... : , . L,. L L.;... ~~-~_ .... -:'.--~~~ .::..~ ___ : ~

8 DOPO HEBRON Le contraddizioni degli israeliani "L'assassino era estraneo alla famiglia di Israele e si è formato al di fuori dei valori dell'ebraismo", ha detto Rabin in Parlamento, alludendo alla provenienza americana di Goldstein. Anche i settori politici di opposizione che considerano i negoziati con l'OLP un tradimento della patria sono d'accordo sull'estraneità dell'eccidio dal carattere della società nazionale, ma rovesciano il ragionamento naturale: invece di puntare il dito contro i guerrafondai degli insediamenti, accusano il governo di non garantire la loro sicurezza e così lasciare le porte aperte a reazioni estreme per autodifesa. È ciò che ha detto ai deputati, subito dopo il discorso del primo ministro, il capo del maggiore partito di opposizione, il Likud, Beniamin Nettanyahu. In realtà la destra contraria ai negoziati ha oggi una minore aderenza tra l'opinione pubblica di quanto indichi la sua proporzione in Parlamento (legislatura eletta prima che fosse avviato il processo di pace dal governo formato all'indomani della stessa consultaziohe). I deputati si dividono praticamente a metà nell'appoggio o l'opposizione alla politica del governo per risolvere il problema palestinese, mentre i rilevamenti d'opinione indicano che quasi un 60 per cento della società israeliana è nettamente favorevole ai negoziati con l'OLP. E tuttavia sono in molti, tra questa stessa maggioranza della popolazione, quelli che esitano davanti ali' eventualità di una spinta forte e fino in fondo nella direzione che pure convinti sostengono di volere. Conseguenza della lunga vita passata sotto la minaccia di aggressioni e delle nuove preoccupazioni per il terrore diffuso dalle bande di integralisti islamici armati. Chi garantisce - è una domanda che si sente fare spesso - che nei territori da cui ritireremo i nostri soldati sarà in grado la polizia Leggi? la Rivisteria Librinovità • riviste • video Ogni mese tutte le novità di libri, riviste, video e tutto ciò che si dice sui libri. Richiedeteci una copia saggio: nomee cognome ___________ _ indirizzo e numero città __________ CAP __ _ professione _____________ _ La Rivisteria - Via verona, 9 - 20135 Milano tel. 02/58301054 - fax 02/58320473 palestinese di soffocare il terrorismo antiisraeliano? È anche il contesto in cui convivono questi sentimenti contraddittori a frenare la marcia del governo verso la conclusione delle intese con l'OLP, a parte i contrasti su problemi obiettivi. Per superare le difficoltà create dai partiti il governo usa i metodi della lotta politica: è bastato che il ministro degli esteri, Peres, minacciasse di cancellare la norma che esclude dall'obbligo del servizio militare i seminaristi dei collegi rabbinici perché i partitini religiosi polemici nei confronti dei negoziati di pace smettessero di prospettare crisi nella maggioranza. Meno semplice è combattere le paure della gente comune. Le novità, tutte in direzione della pace Arafat ha sostanzialmente ripreso il controllo della situazione in campo palestinese. Già alcune settimane prima la sua guida era stata fatta bersaglio di critiche anche dei fedelissimi. Contestazioni a un suo presunto metodo assolutistico di gestire i negoziati che rispondono a una realtà: dopo decenni di conduzione tendente all'unanimismo dell 'OLP, il vecchio leader si comporta non più come il capo di un movimento ma come il mandatario di uno Stato in formazione. Era stato anche diverso il Kenyatta comandante della lotta per la liberazione da quello diventato presidente di un paese liberato. Sia il governo d'Israele, sia gli Stati Uniti, fanno ogni sforzo per salvare la leadership del presidente dell'OLP e quindi assicurare la sopravvivenza del processo di pace. Ammette il dirigente laburista israeliano Nissim Zvili (che per parecchio tempo fu l'intermediario di contatti segreti traRabin-Perese Arafat): "È con lui che dobbiamo trattare, non c'è alternativa". A metà marzo, per la prima volta nella storia, una delegazione dell'OLP è stata accolta alla Knesseth e un esponente di AI-Fatah, Sufian Abu Zaideh, ha pronunciato un discorso davanti ai deputati. Intanto a Washington il Dipartimento di Stato annunciava che i due gruppi razzisti ebraici appena messi fuori legge in Israele sarebbero stati probabilmente inclusi nel1' elenco dei promotori di terrorismo nel mondo. Un annuncio, questo, che tra l'altro doveva essere gradito a Damasco: il regime siriano ha sempre protestato perché figura in quella lista da cui invece mancavano i gruppi armati di coloni dei territori occupati. Anche per la prima volta nella storia, a Damasco è stata ricevuta una delegazione di parlamentari israeliani guidati da un deputato arabo (uno, cioè, di quelli che la Siria aveva sempre considerato spregevoli traditori). Si potrebbe pensare (è solo una congettura, beninteso) che il presidente Assad provi ora a competere con Arafat, visto che non riesce a scalzarlo, nella corsa verso una nuova sistemazione del Medio Oriente in cui svolgere un ruolo centrale. Addirittura si coglie qualche pur esile segnale nella stessa direzione proveniente dai fondamentalisti islamici dei territori occupati, che si battono contro qualsiasi ipotesi di compromesso che possa lasciare in vita lo Stato ebraico. A Hebron, nei giorni seguiti al massacro della moschea, alcuni esponenti locali dell'organizzazione Hamas dichiaravano ai giornalisti stranieri che non ci si poteva fidare del governo israeliano ma che bisognava riconoscere che "il ministro Peres è un uomo sincero". E - ancora una novità - un neonato gruppo fondamentalista tra i palestinesi cittadini di Israele tenta di attirare verso le proprie posizioni favorevoli alla coesistenza con questo Stato quegli altri islamici dei territori occupati. I dirigenti del nuovo gruppo hanno partecipato, e uno è stato tra gli oratori, alla grande manifestazione popolare organizzata dal movimento pacifista Shelom Ahshav la sera di sabato 5 marzo a Tel Aviv. Le cose si muovono, insomma, e non pare proprio che vadano in direzione opposta al traguardo prefigurato da Arafat e da Rabin.

--.- ~ SCIENZAEFUTURO 9 MONITO DEGLISCIENZIATI ~ ALL'UMANITA Unionof ConcernedScientists a cura di EnricoAlleva e DanielaSantucci Alle soglie del Duemila la separatezza tra cultori di scienza e gente comune preoccupata per il destino dell'umanità va forse diminuendo. I giornali raccontano in queste settimane di scienziati (per lo più di area applicativo-militare) che spargono virus influenzali tra gli ignari passeggeri delle metropolitane statunitensi mentre si scopre che i loro colleghi russi facevano l'esperimento di far marciare plotoni di reclute in zone dove erano state fatte esplodere bombe atomiche, per studiare gli effetti del1'esposizione a radioattivi sull'umana sopravvivenza. Chi più del dottor Stranamore di Kubrick incarna l'idea del genio scientifico-tecnologico? Malefico perché intellettualmente superiore, asociale perché intelligente e dunque sol itario, che forse più che fama e danari ha bramosia di dominare il mondo secondo le regole di un grande gioco: dove chi vince assume sembianze quasi divine, confondendo il potere soprannaturale del Creatore con quello ultraterreno del Distruttore. Ed è indubbio che negli ultimi lustri il credo scientifico - almeno quello di marca più marcatamente paleo-positivistica-convinca sempre meno la gente comune: quando non arriva a renderla inquieta, a spaventarla, o a volte - grazie all'amplificazione potente dei media - a terrorizzarla. Ma affermare, come fanno illustri colleghi, che l'anno Duemila aprirà un medioevo prossimo venturo non è evento certo né ineluttabile: forse dipenderà in larga misura proprio dalle capacità degli "uomini di scienza" nel conquistare la fiducia della restante umanità. Evitando innanzitutto di far ingigantire dai media di massa promesse immantenibili, come la cura per il cancro a "portata di mano" o il vaccino per l'AIDS "quasi a punto". Lungo le coste del l'Atlantico- ai confini dello splendido Maine - il mondo colto degli scienziati bostoniani è nell'ultimo trentennio una delle culle più accoglienti della scienza occidentale. È proprio lì, dove fisica, tecnologia e soprattutto biomedicina, raggiungono l'apice professionale sul pianeta tena, che sono spontaneamente sorte congreghe di intellettuali "democratici", delle quali la più illustre e nota resta la molto postkennediana associazione Science for People. Organizzazioni elitarie e aperte, come elitario e aperto è quel mondo del New England e del Massachusetts dove "gente comune" ed "esperti" fondono i propri saperi e doveri, punto d'incontro e di discussione per insigni scienziati di professione e associazioni eticamente impegnate, umanitarie, conservazioniste. Quelle che nella provinciale Italia sono regolarmente vituperate, magari considerate gruppi estremistici dai quali il mondo della cultura scientifica deve tenersi alla larga: Creenpeace ne è un buon esempio. Cos'è l'Unio11of Co11cernedScie11tis1s L' U11io11of Concerned Scientists (UCS) è un'organizzazione indipendente, senza fini di lucro, che si occupa di problemi inerenti l'ambiente e la sicurezza, battendosi per una politica pubblica responsabile, in particolare nelle aree dove la tecnologia gioca un ruolo essenziale. Fondata nel 1969, I' UCS ha cercato tramite la collaborazione di eminenti scienziati di vari paesi e migliaia di cittadini impegnati di influenzare la politica dei governi a livello locale e internazionale. Nel 1993 ha dato vita a un nuovo progetto: "The Global Resources Program" che vuole reclutare biologi, medici e sociologi -oltre ai fisici, chimici e ingegneri che da sempre hanno sostenuto I' UCS-peraffrontare in maniera completa e credibile temi quali degrado ambientale, sovrappopolazione, consumo delle risorse critiche e sviluppo economico del Sud del mondo. La prima iniziativa nell'ambito di tale progetto è consistita nella stesura di un manifesto, inviato ai maggiori rappresentanti del mondo scientifico internazionale (premi Nobel, istituzioni scientifiche in Africa, Russia, India e America Latina): un grido d'allanne per la minaccia che incombe sul sistema Terra. L'idea è quella di offrire spunti polemici per stimolare gli scienziati a intraprendere azioni costruttive: se si sentono davvero i sostenitori naturali di un'impresa simile hanno l'obbligo di informare e sensibilizzare la "gente comune", così come di ricercare le soluzioni. Le donne e gli uomini che hanno sottoscritto questo manifesto rappresentano 71 paesi del mondo, le nazioni più popolose, 12 paesi africani, 12 asiatici e 12 dell'America Latina. Tra i firmatari 104 premi Nobel, e scienziati come .il paleontologo S.J. Gould e il fisico Ilya Prigogine noti da tempo per il loro impegno a favore di una scienza a misura di tutti. Tra gli italiani il notissimo farmacologo Vittorio Espamer, Giampietro Puppi e i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, solo per parlare dei membri più rappresentativi. Chiunque (scienziato o non) desiderasse ulteriori informazioni può rivolgersi a Lori Ano Jackson, Public Information Officer, UCS, 26 Church Street, Cambridge, MA 02238, USA. E, per chi può accedervi e non vuole sprecare carta, l'indirizzo di posta elettronica è ucsoutreach@igc. ape. org. Introduzione Gli esseri umani e il mondo naturale viaggiano su una rotta di collisione. Le attività umane infliggono danni duri, a volte irreversibili, tanto all'ambiente quanto a risorse critiche per la sopravvivenza. Qualora non controllate, molte delle nostre abitudini attuali metteranno a serio rischio il futuro che noi ci auguriamo per la società umana e i regni vegetale e animale: potrebbero alterare a tal punto il mondo vivente che esso non sarà più in grado di sostenere la vita nel modo in cui noi la conosciamo. Sono urgenti cambiamenti fondamentali, se vogliamo evitare la collisione cui la nostra rotta attuale ci va conducendo. l'ambiente L'ambiente soffre uno stress che si approssima a un punto critico di rottura. l'atmosfera L'assottigliarsi dell'ozono stratosferico ci minaccia per l'aumentata radiazione ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre, tale da danneggiare o risultare letale per molte forme di vita. L'inquinamento atmosferico degli strati bassi del l'atmosfera e le piogge acide stanno già causando danni diffusi all'umanità, alle foreste e ai raccolti. Risorse idriche Lo sfruttamento sfrenato delle risorse idriche esauribili mette a rischio la produzione alimentare e altri sistemi umani essenziali. La gravosa domanda di acque di superficie ha determinato gravi carenze in circa 80 paesi, dove vive il 40% della popolazione mondiale. L'inquinamento di fiumi, laghi e acque superficiali limita ulteriormente la riserva d'acqua. Oceani La pressione distruttiva sugli oceani è severa, e particolarmente gravosa nelle regioni costiere - quelle che producono la gran parte del pesce commestibile. La quantità totale del pescato marino ha raggiunto attualmente - o ha superato - il quantitativo massimo sostenibile. Alcune industrie ittiche hanno già mostrato segni di collasso. I fiumi che trasportano in mare grandi

1O SCIENZAE FUTURO quantità di materiale eroso dal terreno, trasportano anche rifiuti industriali, urbani e agricoli, oltre a deiezioni di animali da reddito - alcuni dei quali tossici. Suolo La diminuita produttività del suolo, tale da determinare un massiccio abbandono delle terre coltivate, è un diffuso sottoprodotto delle pratiche correnti di agricoltura e di allevamento. Dal 1945, l' 11 % della superficie verde del pianeta è stata degradataun' area più vasta di Cina e India messe assieme - mentre la produzione pro capite di cibo va diminuendo in molte parti del mondo. Foreste Le foreste tropicali pluviali, come le foreste dei climi tropicali e temperati secchi, sono in via di rapida distruzione. Al ritmo attuale, alcuni tipi di foreste particolarmente importanti per l'equilibrio ambientale scompariranno in pochi anni, mentre gran parte della foresta tropicale pluviale scomparirà prima della fine del prossimo secolo. Con esse svanirà un gran numero di specie vegetali e animali. Riveste carattere di particolare serietà la perdita irreversibile di specie, distruzione che entro l'anno 2100 raggiungerà un terzo di tutte le specie attualmente viventi. Con esse stiamo perdendo potenziali benefici, come per esempio rimedi farmacologici di origine vegetale, e il contributo che la diversità genetica delle forme viventi fornisce alla solidità dei sistemi biologici del mondo e alla stupefacente bellezza della terra stessa. Gran parte di questo danno è reversibile sulla scala dei secoli, oppure permanente. Altri processi appaiono comportare ulteriori minacce. L'aumento nel livello di gas atmosferici provenienti dalle attività umane, inclusa l'anidride carbonica prodotta dalla combustione di carbon fossile e dalla deforestazione, possono alterare il clima su scala globale. Modelli predittivi sul surriscaldamento globale sono ancora difficili da mettere a punto, ma le predizioni sugli effetti vanno dal tollerabile al molto elevato, e dunque i rischi potenziali restano molto gravi. Le nostre esorbitanti richieste alla rete interdipendente di esseri viventi del mondo - insieme con il danno ambientale inflitto dalla deforestazione, dall'estinzione delle specie, e dai cambiamenti climatici - può scatenare effetti negativi diffusi, inclusi impredicibili collassi di sistemi biologici critici, le cui interazioni e dinamiche noi siamo oggi in grado di comprendere solo in modo imperfetto. La mancanza di certezze sulla gravità di questi effetti non può scusare un atteggiamento compiacente o ritardi nel fronteggiare tale minaccia. Popolazione La terra è limitata, e altrettanto limitata è la sua capacità di assorbire rifiuti e scarichi distruttivi. La sua capacità di rifornire cibo ed energia è anche limitata, soprattutto per un numero crescente di abitanti. E noi stiamo rapidamente raggiungendo molti dei limiti terrestri. Le correnti pratiche economiche che producono danno ambientale - tanto nelle nazioni sviluppate che in quelle in via di sviluppo - non possono essere perseguite evitando il rischio che sistemi vitali globali vengano danneggiati senza possibilità di recupero. Le pressioni che derivano dall'illimitata crescita della popolazione umana creano esigenze per il mondo naturale che possono sopraffare qualsiasi tentativo di assicurarsi un futuro sostenibile. Se desideriamo fermare la distruzione del nostro ambiente dobbiamo accettare dei limiti a questa crescita. Una stima della Banca Mondiale indica che la popolazione mondiale non si stabilizzerà fin quando non saranno raggiunti i 12,4 miliardi, quasi il triplo degli attuali 5,4 miliardi. Ma già oggi una persona su cinque vive in assoluta povertà, senza cibo a sufficienza, e uno su dieci soffre di grave malnutrizione. Non rimangono che uno o pochi decenni prima che la possibilità di reagire alle minacce che ora ci troviamo ad affrontare sarà perduta e le prospettive per l'umanità incommensurabilmente diminuite. Attenzione Noi firmatari, membri senior della comunità scientifica mondiale con questo mettiamo in guardia l'umanità tutta da quello che ci aspetta. Un cambiamento radicale nel nostro stile da gestione della terra e della vita su di essa è necessario se è da evitare tanta miseria umana, e se la nostra abitazione globale su questo pianeta non deve essere irrimediabilmente mutilata. Cosa dobbiamo fare Cinque aree inestricabilmente legate tra loro devono essere considerate simultaneamente. 1. Dobbiamo mettere sotto controllo le attività che causano danno ambientale per ristabilire e proteggere l'integrità dei sistemi terrestri dai quali dipendiamo. Dobbiamo, per esempio, passare dai combustibili fossili a sorgenti di energia più benigne e inesauribili, per fermare emissioni di gas che causano !'"effetto serra" e l'inquinamento dell'aria e dell'acqua. Deve essere data priorità allo sviluppo di sorgenti di energia commisurate con le necessità del terzo mondo, cioè di piccola scala e relativamente facili da realizzare. Dobbiamo fermare la deforestazione, il danneggiamento e la perdita di terra coltivabile, la perdita di specie terrestri e marine di piante e di animali. 2. Dobbiamo gestire più efficacemente le risorse cruciali per il benessere dell'umanità. Dobbiamo dare alta priorità all'uso efficiente di energia, acqua e altri materiali e aumentare l'impegno per la conservazione e i I riciclaggio. 3. Dobbiamo stabilizzare la popolazione mondiale. Ciò sarà possibile solo se tutte le nazioni riconosceranno la necessità di migliorare le condizioni sociali ed economiche e quella di adottare un sistema di pianificazione familiare efficace e volontario. 4. Dobbiamo ridurre e finalmente eliminare la povertà. 5. Dobbiamo assicurare l'egualitarismo sessuale, e garantire alle donne il controllo sulle proprie decisioni riproduttive. Le nazioni sviluppate sono oggi i più grandi agenti inquinatori nel mondo. Esse devono ridurre di molto il loro eccessivo consumo se è necessario ridurre le pressioni sulle risorse e sul!' ambiente globale. Le nazioni sviluppate hanno l'obbligo di provvedere aiuti e supporti alle nazioni in via di sviluppo, perché solo le nazioni sviluppate possiedono le risorse finanziarie e le competenze tecniche per questi compiti. Agire partendo da queste basi riconosciute non è comportamento altruista, ma chiaramente interesse personale: sia che proveniamo da un paese industrializzato o no, tutti noi abbiamo un'unica scialuppa di salvataggio in comune. Nessuna nazione potrà evitare danni cospicui quando i sistemi biologici globali saranno danneggiati, ,né alcuna nazione potrà sfuggire i conflitti causati da 1isorse sempre più scarse. Inoltre le instabilità ambientali ed economiche

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==