Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

narrazione di Astafev traspare l'animo sensibile dell'autore, ma le note di impotenza che risuonano nelle sue opere testimoniano nel complesso la sconfitta della propaganda moralistica. Essa ha ancora pieno titolo nelle opere degli scrittori legati al comune spirito umanistico della generazione del disgelo chrusceviano, i sestidesjatniki, la generazione degli anni Sessanta. Ma già con Fridrikh Gorenstejn la speranza in un eroe positivo è quasi del tutto scomparsa. Ed è il narratore in persona a doversene assumere il ruolo. La figura del piccolo uomo che deve essere difeso, una figura che percorre tutta la letteratura russa, si trasforma in uno dei suoi racconti in una vecchia avida e ripugnante che striscia come un insetto sulla vita alla ricerca di cibo. A cavallo di due generazioni letterarie come Gorenstejn, Ljudmila Petrusevskaja si dibatte fra la convinzione dei shestidesjatniki che i vizi abbiano una motivazione sociale (la sua drammaturgia e la sua prosa hanno una forte impronta sociale, sono cariche del pathos della denuncia) e lo sconforto del l'altra letteratura, parallelamente alla quale comincia a nutrire dei dubbi anche nei confronti del la natura stessa dell'uomo, aderendo così al la categoria degli osservatori impotenti, allibiti al cospetto delle "possibilità" del male. La degradazione del mondo non conosce più limiti "umanistici", orteghianamente il mondo si disumanizza. Ma i dubbi non si estendono alla persona del narratore, che ammette che si scherzi su tutto fuorché su di lui. Sasa Sokolov comunica una posizione analoga all'eroe lirico, una sorta di "sosia autobiografico". È una dichiarazione di appartenenza alle persone supeiflue, quelle su cui si accaniscono con scherno "gli ottusi e torpidi alchimisti in camicia rossa". Accanto alle camicie rosse comuniste compaiono frufalle, falene e tutta una sfilata di personaggi pittoreschi e leziosi, un ballo in maschera Mosco Fotodi R Wallis(Saba/Rea/Contrasto) RUSSIA S durante il quale si disquisisce di libertà e di felicità. Con Sokolov la letteratura contemporanea sperimenta le possibilità dell'estetismo come forma di opposizione. Comincia a profilarsi un approdo in cui è pronto a rifugiarsi l'animo russo tormentato dal male: l'alternativa nabokoviana dello stile petfetto che maschera sempre più la realtà, fino al limite estremo, fino al manifesto in cui si proclama che l'unico soggetto degno di fiducia è l'Io narrante. Spesso, tuttavia, all'"/o so cosa fare" si sostituisce il "non c'è nulla da fare". Gli scrittori leningradesi Dovlatov e Valerij Popov (i loro destini sono molto diversi, uno è emigrato a New York dove è morto, l'altro è diventato un personaggio assai influente nei circoli letterari della sua città; ma la letteratura russa è un insieme unico, non si suddivide in letteratura del!' emigrazione e letteratura metropolitana e affermarlo dopo il 1985 diventa addirittura una volgarità) ammantano questa idea di un sottile humour quasi cechoviano. La guerra contro il male è finita da un pezzo con la sua vittoria definitiva, ma bisogna pur vivere ... L'io nairnnte di Valerij Popov, non meno perbene di quello della Petrusevskaja, entra in contatto col male, non solo: comincia a provarne invidia. Anch'egli avrebbe voglia di scavalcare leggi e doveri come fanno i suoi eroi "cattivi", ma non ha abbastanza coraggio, è frenato dalla propria onestà intellettuale. Sergej Dovlatov attutisce ulteriormente la funzione moralizzatrice del narratore, mettendo in primo piano il compromesso che si fa volutamente comparire nel titolo. La vita ai tempi del potere sovietico era dotata di una "comicità" straordinaria. Dovlatov non è in grado di modificarla, ma la sua stessa descrizione diventa trascendenza della realtà, trasformazione dello schifo in puro oggetto di stile. Più è assurda e più fa ridere. Il narratore non è né migliore, né peggiore degli altri. Egli sa che in un paese la cui stessa denominazione è "falsa", tutto è costruito sull'inganno, ma personalmente non vi prende parte. Si sdoppia, in modo

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