Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 75 dell'autoreferenzialità, De Palma scopre finalmente un cinema concreto e virile, dove il piacere della messa in scena non cede davanti ai virtuosimi e il cinema recupera la centralità dell'individuo in funzione morale. Senza tanti arzigogoli sociali, magari nascosto dietro un giustificazionismo che oggi non ha più molto senso: De Palma lo mette in bocca a Carlito fin dalla prima scena ("Non dico che la mia vita sarebbe stata diversa se mia madre fosse ancora viva ...") e fa dei suoi personaggi uomini soli, quasi senza background storico (rispetto ai due romanzi cancella anche il padre di Kleinfield, un giudice che era servito all'avvocato per i primi passi della sua can·iera), proprio come le belve nella giungla, il cui unico scopo è la sopravvivenza quotidiana. Quale sarà il loro destino, il regista l'ha già detto fin dalla prima scena: Carlito è destinato alla sconfitta. Ma non per questo smette di raccontare con passione il suo disperato tentativo di difendere i propri sogni e le proprie scelte, senza ingannare lo spettatore, ma facendolo partecipare e palpitare. Alla fine, almeno, resterà l'ammirazione per il coraggio di chi ha scelto di cadere lottando, e difendere così il diritto di tutti a non tradire. AUDACIEEMANIERISMI. SIMONEWEILERONCONI PaoloBertinetti Negli ultimi mesi della sua vita,nel 1943, mentre era a Londra dove lavorava per la Resistenza francese, Simone Weil cercò di portare a compimento la stesura di una tragedia, Venise sauvée, che aveva incominciato a scrivere nel 1940, giungendo a un primo testo provvisorio accompagnato da diversi quaderni di abbozzi e di appunti. Sarebbe sbagliato vedere nel testo, rimasto incompiuto, una specie di testamento, di ultima dichiarazione sulla vita e sul l'arte. Ma è pur vero che si tratta comunque di un testo tutt'altro che occasionale e marginale, di un'opera letteraria che dev'essere intesa, per le circostanze stesse della sua ultima anche se non finale stesura, come parte integrante del contributo ideale che Simone Weil ci ha consegnato. Nelle ore febbrili e tragiche della guerra Weil ritorna su una vicenda in cui la logica del potere e il discorso sulla forza hanno un ruolo centrale e decisivo; e in cui, al tempo stesso, la scelta D·agica messa in atto dal protagonista è dettata dal senso della bell~zza e della pietà. La storia è quella di una congiura secentesca contro la Repubblica di Venezia, ispirata dalla Spagna e ordita da un gruppo di avventurieri francesi, D·acui spiccano il cospiratore Renaud e i due amici PieITe e Jaffier. La congiura sarebbe invincibile; maJaffier, mosso a pietà dalla bellezza della città decide di salvarla denunciando i congiurati, e tradendo il fraterno amico Pierre. La Spagna è la Germania nazista, la superpotenza che mira a estendere il suo dominio su tutta l'Europa, lo stato totalitario ineb1iato dal proprio potere che progetta di ridurre a suo feudo le nazioni libere ("Domani il sole si leverà su un semplice possedimento del Re di Spagna"), di imporre ad esse i suoi valori e la sua cultura (sorgeranno chiese in puro barocco spagnolo), di privare i popoli della loro identità: "Sradicare i popoli conquistati", spiega Renaud, "è sempre stata e sempre sarà la politica dei conquistatori"; e i veneziani, vinti e sottomessi, modelleranno la loro vita sul pensiero del vincitore. Venezia è l'Europa del 1940; ma la valenza metaforica del discorso di Renaud va oltre il parallelo contingente. Così come suonano sinistramente attuali le parole sulla gue1Ta e sulla violenza delle armi: la città e i suoi abitanti sono un balocco "che si può buttare dove si vuole, che si può fare a pezzi", un giocattolo da consegnare alla D·uppa che deve avere "piena licenza di uccidere tutto ciò che le resiste", perché poi si possa pretendere la cieca obbedienza dei vinti quando i capi di quella stessa truppa avranno ristabilito l'ordine e la sicurezza dopo il terrore. "Conoscere la forza", scrisse Simone Weil, "significa riconoscerla come pressoché assolutamente sovrana in questo mondo, e rifiutarla con disgusto e disprezzo. Questo disprezzo è l'altra faccia della compassione per tutto ciò che è esposto ai colpi della forza". Jaffier, mosso a compassione dalla bellezza di Venezia, decide di salvarla. Il Segretario del Consiglio dei Dieci aveva spiegato alla figlia Violetta che "mai città fu preservata dalla pietà del nemico": eppure Jaffier è guidato proprio dalla pietà. "Una cosa come Venezia, nessun uomo può farla. Dio solo. Ciò che un uomo può fare di più grande, che più lo avvicini aDio, poiché non gli è dato creare simili meraviglie, è preservare quelle che già esistono." L'idea platonica dell'arte di Simone Weil le fa vedere nella bellezza l'incarnazione di Dio. El' arte ispira contemplazione, e quindi rispetto e amore; ma un amore che, a differenza di quanto spesso accade nelle vicende umane, è un amore "dominato", che conduce a "non appropriarsi di ciò che si ama ... non mutarvi nulla ... rifiutare la potenza". Questo è quanto fa Jaffier: contemplando la bellezza di Venezia decide di rifiutare la forza (la potenza), di ascoltare la pietà che l'amore per l'arte gli detta e di affermare iI primato della verità che nell'arte si rivela. Venezia salva (ma sarebbe più giusto dire salvata} è una D·agedia, scritta quasi interamente in versi. Le ragioni che indussero Simone Weil a rivolgersi a questa forma, estranea non solo al Novecento, ma ali' intera età borghese, stanno nel suo interesse per il mondo classico e in particolare per i tragici greci (occorre "riprendere per la prima volta dopo la Grecia la tradizione della tragedia di cui l'eroe è perfetto"); ma forse ebbero un certo peso anche i tentativi sia inglesi (Eliot) che francesi (Claudel) di riscoprire nel dramma in versi la possibilità di cogliere e di comunicare a un pubblico più vasto l'essenza profonda della realtà; e infine uno spunto indiscutibile le venne dalla maggiore tragedia in versi dell'età della Restaurazione inglese, Venice Preserved di Otway, tradotta in francese nel Settecento e nell' Ottocento con il titolo di Venise sauvée (lo stesso adottato da Simone Weil), la cui fonte principale era il racconto storico dell'abate di Saint-Réal, La Conjuration des Espagnols contre la république de Venise en 1618, a cui direttamente, come si legge nella didascalia che apre il testo, si ispirò Weil. Sull'esempio del teatro elisabettiano, in Venise sauvée i mercenari parlano in prosa. Gli alb·i personaggi, nobili o nobilitati dal ruolo, parlano in versi; e c'è una ricerca attenta sulle diverse possibilità metriche da adottare (versi sciolti di 14 sillabe, ma anche di 11e di 13, e versi rimati, ma "con rime molto tenui"). Tuttavia una stesura definitiva, come si è detto, non c'è; e il testo riporta, a mo' di didascalia, gli appunti di Simone Weil, il riassunto di quello che ancora doveva diventare monologo o dialogo in versi, i suoi promemoria ("insistere su questo punto",

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