Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

74 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE , UOMINI SOLI. UN GANGSTERPERDEPALMA PaoloMereghetti SeanPenneAl Pacinoin Corlito's Woy di BrianDe Palma. L'ultimo film cliBrian De Palma prende origine dal volume Una vita a modo mio del giudice della Corte Suprema cliNew York Edwin Torres che raccoglie, nell'edizione italiana (Longanesi &C., 1994, pp. 421, L. 32.000), due romanzi scritti a distanza di quattro anni: Carlito 's Way (pubblicato nel 1975) e Orepiccole (pubblicato nel 1979). A unificare questi due spaccati di malavita - derivati più o meno da avvenimenti reali di cui si è occupato nella sua attività il giudice - c'è il personaggio di Carlito · Brigante, un gangster di origine portoricana, che impara a sopravvivere nella New York divisa per bande: da una parte gli italiani, dall'altra gli ebrei, dall'altra ancora i negri, e gli ultimi arrivati, i portoricani, a 1itagliarsi in qualche modo uno spazio. A differenza del film, il romanzo (il primo romanzo bisognerebbe clire, per essere co1Tetti)inizia praticamente con la nascita di Carlito e segue passo passo la sua adolescenza e l'ingresso nell'età adulta, specie di eccenuico bildungsroman, dove Brigante matura tanto più in fretta quanto più in fretta impara la legge della strada, si misura con il dolore e la violenza, fa i conti con la morte, conosce la prigione. E altrettanto in fretta mette a punto un codice di comportamento che lo accompagnerà per tutta la vita e che guiderà in maniera fe1Teale sue scelte. Invece, quando De Palma e lo sceneggiatore David Koepp enu·ano in campo, buona parte della vita di Carlito Brigante-e tutto il primo romanzo - si è già consumata, raccontata con una battuta o una stretta cli mano: l'accoglienza in mezzo alle strade del banio da parte dei vecchi amici, l'orgoglio del giovane spacciatore di droga di poter entrare in un bar insieme al boss di una volta. Quello che Carlito scoprirà sulla sua pelle (e con lui lo spettatore) è quanto è cambiato il mondo in quei sei anni in cui è stato in galera, come sono diverse le persone, come è inimediabilmente invecchiato lui stesso. Così, se i due romanzi vogliono essere un ritratto dello sraclicamento sociale di una città e dell'impossibilità di non diventare un criminale per chi "non ce la faceva a sopportare il peso della miseria o si rifiutava di chinare la testa", il film è piuttosto lo scontro raclicale e inconciliabile tra due modi di intendere la vita (per ctiminale che sia) e due scelte cli morale. Meglio: la tragedia annunciata, fin dalla primissima inquadratura (Carlito colpito a morte da una pistola di cui non vediamo neppure il proprietario), di chi non vuole fare a meno delle proprie regole morali in un mondo dove tutti sembrano solo capaci clitraclire.Un tema non completamente eccenl:lico nella caITiera di De Palma, dove lo scontro tra due morali era già presente in Vittime di guerra e, parzialmente, anche nel Falò delle vanità, ma che qui lascia finalmente da parte l'enfasi magniloquente di quei due film e si cala in una concretezza che attraversa lo schermo per colpire inesorabilmente lo spettatore. Per la prima volta, De Palma abbandona il suo modo di far cinema manierista, che tende a costruire i film a partire da altri film (e che sia una scelta precisa lo sottolinea la scomparsa dai dialoghi di tutte quelle citazioni cinematografiche cheEdwin Torrès usa nei suoi due I ibri: "Come mi sentivo? Mi sentivo come Ronald Colman in Orizzonte perduto, quando cade attraverso la neve confezionata aHollywood. O come Vietar McLaglen che barcolla nella Pattuglia sperduta dopo cinque anni nel deserto". E ancora: "Bianco, tutto è bianco come un lenzuolo. Come in uno di quei lenti film italiani in cui Marcello vaga attorno a un telone"). De Palma lascia dominare la scena dai suoi personaggi, mai come in questo film credibili, duri e concreti (grazie anche a una recitazione piena clipathos di Al Pacino e a un insolito Sean Penn) e si fa prendere dalla malinconia della storia che sta raccontando. Insiste meno sul puro meccanismo naITativo, arriva persino a sottolineare con minor enfasi i suoi celebeITimi movimenti cli macchina dietro una necessità descrittiva che deve fare i conti con il ritmo delle azioni (e non viceversa, come spesso in passato) e la già celebre sequenza d'apertura, e di chiusura, trova una sua necessità nel bisogno cli1ibaltare il piano del racconto, così come si è violentemente ribaltato il piano di fuga di Carlito. E vale la pena (come ha già'sottolineato Alberto Pezzotta su Due!) 1icordare quello che clifferenzia la complessa scena terminale nella Grand Centrai Station di Carlito 's Way da quella, per alcuni versi simile che e' era negli/ ntoccabili: là il complesso gioco d'incastro tra movimenti di macchina e recitazione degli attori si fermava in una irreale fissità, omaggio cinefilo alla sequenza della scalinata del Potemkin, ma anche glaciale dimostrazione di bravura fine a se stessa (tanto poco produttiva da concludersi con una specie di fermo immagine che assomiglia tanto ai momenti di pausa nella recitazione del mattatore, quando sa che sta per arrivare l' applauso del pubblico). Qui invece, l'inseguimento si integra perfettamente nell'economia del racconto, nell'accelerazione parossistica che accompagna il tentativo di fuga di Carlito, "hitchcockiano per necessità catartica" (Aprà) e non per inutile 1imando citazionale. In questo modo, al centro del film non e' è il compiacimento vuoto e narcisistico per un cinema che sembrava capace solo di mettersi in scena, ma piuttosto la voglia di raccontare come è irrimediabilmente cambiato il mondo. La sconfitta di Carlito è la vittoria dei poliziotti corrotti, degli avvocati infidi, degli amici che tradiscono, della superio1ità delle armi sulle strette di mano: è la storia di chi non vuole barattare il diritto a rivendicare il senso delle cose (fosse anche quello del male e dell'illegalità) con lo squallore piccolo borghese di una degradazione morale fatta solo cli soldi, donne facili e di piccoli poteri. Così, mentre la maggior prute del cinema hollywoodiano sembra perdersi dieu·o il vuoto post-moderno della citazione e

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