Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

tal caso sorge la domanda perché mai la sfera del politico debba essere definita in modo così restrittivo. È meglio, perché permette un dibattito più ampio e interessante, che l'affermazione per cui gli uomini miti non hanno alcuna parte in politica, rimanga un'affermazione empirica. Mi pare che, tutto sommato, Bobbio sia incline a considerarla tale. Ma in questo senso è discutibile. "Nella galleria dei potenti, avete mai visto un mite?", ci chiede Bobbio. Lui dice di no. Io dico di sì. Gli chiedo: non ti ha neanche sfiorato per un secondo il nome di Gandhi? Che era appunto un mite, una delle persone più miti del nostro secolo, ma allo stesso tempo un uomo coinvolto direttamente nella politica, e fino al collo, e per tutta la sua vita, e quasi sempre in posizioni di primo e in certi momenti di primissimo piano. Ma Gandhi, certamente, non era solo un mite: era un nonviolento. E fa una grossa differenza. Passiamo così al terzo momento dell'argomento sopra delineato. Momento3 È su questo punto che mi trovo con l'amico Bobbio in maggiore disaccordo. Dopo di aver fatto un discorso articol~to sul mite e la mitezza, egli, alla fine di questo discorso, identifica la mitezza con il rifiuto di usare la violenza contro chicchessia, e quindi il mite con il nonviolento. E siccome la mitezza è una virtù non politica, tale dunque risulta anche la nonviolenza. SU BOBBIO 69 prudenza; ed ha lacapacità di indignarsi e rivoltarsi di fronte a ciò che ritiene sopruso, ingiustizia; inoltre, il nonviolento ha empatia, è in grado di mettersi nei panni dell'altro, di vedere i conflitti in cui è coinvolto anche dal!' angolo visuale dell'oppositore; e tiene fermamente distinto il male da chi fa il male, il peccato dal peccatore, le istituzioni e le strutture dalle persone, cercando di lottare contro il male, il peccato, le istituzioni e le strutture inique senza distruggere le persone; a differenza del mite, crede nella grandezza più che non nella miseria dell'uomo, e quindi ha fiducia in lui, nelle sue capacità di rigenerarsi, di perfezionarsi, di realizzare compiutamente se stesso (e per questo tende all'ottimismo, ma ad un ottimismo informato). Ecco perché considero l'equazione mitezza = nonviolenza fuorviante. Momento4 L'argomento delineato ali' inizio di questo scritto, pur essendo formalmente ineccepibile, non è tuttavia valido in quanto la premessa 3 non è, come ho cercato di argomentare, plausibile (e neanche interessante). Ma, naturalmente, ciò non comporta che l'affermazione 4 non sia tuttavia plausibile in forza di argomenti diversi da quello fin qui discusso. Vorrei quindi, per finire, fare alcune considerazioni a sostegno della tesi che la nonviolenza - specie quella positiva, o come Gandhi la chiamava "la nonviolenza del forte" - non è fuori dalla politica. ""-'-'- Ora, uno è padrone di definire un termine come vuole. Ma affinché non si ripetano dibattiti inutili sulla definizione di un certo termine, bisogna che, quando si propone una definizione, venga in qualche modo chiarito il contesto in cui essa ha da servire. Ora. mentre, per quanto riguarda la mitezza. Bobbio fa un discorso il quale consiste appunto nel definirne il concetto per contrapposizione e per analogia nel contesto di una "fenomenologia delle virtù", per quanto invece riguarda la nozione di nonviolenza un siffatto discorso è del tutto assente. La nonviolenza viene surrettiziamente identificata con la mitezza. È questa identificazione che trovo fuorviante. E, devo aggiungere, mi stupisce non poco che Disegnodi AldoTurchioro(daI cento bom_bini, Lerici1976). La nonviolenza è dentro la politica, e c'è dentro efficacemente, come dentro la politica in modo efficace fu Gandhi. Ma c'è dentro in un modo del tutto speciale - e qui è la grande novità e attualità del messaggio gandhiano. In quanto è mite, anche il nonviolento non entra in rapporti conflittuali con gli altri allo scopo di gareggiare, di distruggere, di vincere; non è vendicativo, non serba rancore, non ha astio contro nessuno, non odia nessuno; e non è assetato di potere. Non apre mai lui il fuoco, certo; ma non ha timore di aprire un conflitto o, meglio, di portare a galla conflitti latenti, né ha timore della lotta. Ma, come rifiuta la violenza (e sul perché la rifiuta non posso in questa sede dilungarmi), così rifiuta quella logica del potere per cui di necessità ci deve semBobbio, pur conoscendola molto bene, abbia ignorato del tutto la "fenomenologia della nonviolenza", nell'ambito della quale, da almeno mezzo secolo, si distinguono la nonviolenza del debole e la nonviolenza del forte; la nonviolenza generica, ossia la nonviolenza intesa come l'insieme dei metodi di lotta non militare, non armata, e la nonviolenza specifica; il pacifismo come rifiuto della violenza e la nonviolenza positiva come rifiuto della violenza e aggiunta di una modalità di lotta costruttiva che Gandhi, al quale non piaceva il termine resistenza passiva, aveva denominato "satyagraha" ("forza della verità", quella forza, come scrive Gandhi, "che viene dalla assenza di paura, non dalla quantità di carne e muscoli che abbiamo"). In che cosa consiste la nonviolenza specifica, positiva? Quali sono le caratteristiche essenziali di una persona nonviolenta? L'opposto della persona nonviolenta non è tanto la persona violenta, quanto, più in generale, quella che è stata chiamata la persona o la personalità autoritaria (cfr. il noto studio di Adorno e altri, The Authoritarian Personality, 1950). Indubbiamente, la mitezza (o quasi tutte le disposizioni nelle quali, secondo Bobbio, la mitezza consiste) è una delle qualità, o se preferite, delle virtù del nonviolento. Ma non è certo l'unica. Il concetto di persona nonviolenta è quello di una persona caratterizzata, oltre che dalla mitezza, da tutta una serie di qualità o virtù che non si escludono mutualmente, bensì sono profondamente integrate (come lo erano in modo pressoché unico in Gandhi). Certamente, il nonviolento ha anche le due altre virtù "deboli" della semplicità e della compassione, virtù cheBòbbio associa intimamente con quella della mitezza. Ma ha anche alcune delle virtù "forti", proprie del "politico": coraggio, fermezza, prodezza, audacia, lungimiranza, pre essere un vincente e un perdente; e imposta i conflitti in modo tale che la soluzione non sia una soluzione a somma zero, bensì una soluzione incui tutte le parti ci guadagnano e quindi accettata da tutte. A tal fine conduce la lotta usando metodi che non minacciano gli interessi vitali dell'oppositore, che fanno appello ai lati migliori dell'oppositore e ai gruppi più aperti e sensibili all'interno del gruppo avversario; usa metodi di lotta che tendono a umanizzare, invece che a disumanizzare l'oppositore (come fa la violenza), che non brutalizzano (come fa la violenza), che non demonizzano e fomentano odi i e desideri di vendetta (come fa la violenza), che non portano alla ribalta della lotta persone caratterizzate da basse inibizioni nel confronto della violenza anche più efferata (come fa la lotta violenta), che non tendono a condurre alla militarizzazione della società (come fa la lotta violenta). La nonviolenza è dunque il canale attraverso il quale la mitezza diventa forza, una forza diversa e che opera in modo diverso da quella della violenza. Il nonviolento rifiuta la violenza senza dover per questo ritirarsi dalla politica; smentisce, con il suo agire, la definizione della politica come il regno esclusivo della volpe e del leone: conosce molto bene (perché non è uno sprovveduto) ed è anche in grado di smascherare le frodi delle volpi (è una volpe che non usa la frode - ma può essere astuto), e pone i leoni violenti di fronte ad una fermissima opposizione (è un leone che non usa violenza - ma che può opporre molta forza). Per questo Gandhi è stato chiamato il Machiavelli della nonviolenza. Certamente, a livello individuale, pochi nonviolenti sono della statura di un Gandhi (come pochi violenti sono - per fortuna-della "statura" di un Napoleone, di un Hitler o di uno Stalin): come la mitezza, e tante delle altre virtù menzionate da Bobbio, anche la nonviolenza appare per gradi: c'è chi ne ha più, c'è chi ne ha meno. Ma non è necessario-come Gandhi stesso (umilmente) non si stancò di sottoline-

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