54 SICILIA/MAFIA che la distrazione e l'indifferenza hanno accompagnato in questi anni l'avanzata della mafia. Il vero problema è che l'alluvione di programmi televisivi e di carta stampata non sempre è riuscita a dar conto di un fenomeno che richiede una consapevolezza che raramente tutta questa pubblicistica riesce a darci. Non è un caso che relativamente scarso successo hanno avuto libri "analitici" come quello di Diego Gambetta (La mafia siciliana). Altra cosa è la disattenzione dovuta almeno fino al recente passato alla non volontà e alla mancanza di condizioni politiche di combattere la mafia. Ma questo è già un altro discorso. Il libro di Deaglio volutamente non approfondisce i nodi del rapporto mafia-processi economici e mafia-politica. L'autore vuole narrare "Storie sconosciute e storie note che nascondono spesso altre verità". Ma quali verità? Un libro per il grande pubblico. Non aggiunge molto alla interpretazione del fenomeno mafia e del resto non crediamo che questo fosse l'intendimento dell'autore. Merita parlarne soprattutto per due motivi: la tesi della guerra civile che l'Italia secondo Deaglio è riuscita a tenere nascosta è la perpetuazione di una certa idea di Sud. La tesi della guerTa civile non viene argomentata e ci sembra sbagliato basarla solamente sul numero delle vittime per quanto tragicamente assai elevato. Non capiamo quale tipo di rapporto si possa istituire tra i fatti e le vittime della mafia e gli avvenimenti della Jugoslavia, dell'Irlanda e dei Paesi Baschi. La tesi della guerra civile, appena accennata, si perde infatti man mano che il libro si occupa sempre di più della narnzione "dei fatti di mafia e dei mafiosi". Parlando di mafia nel non detto si parla anche di qualcos'altro, si indica un altro topos nascosto, si parla di una identità collettiva, dell'identità meridionale e siciliana. Nessuna tentazione "razzista" sfiora certo Deaglio, anzi tutto il libro è pervaso da sdegno civile e solidarietà per la Sicilia. Eppure è come se il discorso sotteso fosse quello di una ricerca dell'identità propria di un ceto borghese (forse borghese non è il termine giusto ma non sapremmo quale altro usare) che viene definita attraverso l'esagerazione, lo straniamento dell'altro, del diverso. La creazione della controimmagine del selvaggio nel proprio paese, per sentirsi rassicurati nei propri valori, nello stile di vita, nella identità civile. Raccolto rosso: il sangue, implicito nel titolo, a noi pare una delle possibili chiavi di lettura del volume e del suo probabile successo. Al di là delle intenzioni dell'autore il mondo minaccioso espulso dai circuiti borghesi riemerge dall'altra parte del mondo, nelle città e nelle campagne del Sud. Esistono, semplificando, due immagini del Sud e della Sicilia. Due costruzioni: nella prima (negativa) dal banditismo alla mafia si guarda al sud Italia e alla Sicilia ed "interessano" in quanto produttori di "mostruosità" a cui si assiste inorriditi. Della seconda costruzione (posi tiva) abbiamo due versioni. La prima esprime attraverso il Sud la nostalgia per il paradiso perduto della semplicità agreste e bucolica. Nella versione più colta richiama la "partecipazione" del Sud e della Sicilia alla cultura europea recuperandone "l'umanità". La seconda è la versione "di sinistra": 1' interesse per la comunità contadina, l'emarginazione, confonde critica sociale e romanticismo. Il Sud viene idealizzato rispetto ad una realtà ormai irrecuperabilmente impura e contaminata da capitalismo e da leggi di mercato. Il discorso partito dal libro di Deaglio ci ha condotti probabilmente lontano ed a sostenere tesi certo non nuove e sicuramente da approfondire. Forse involontariamente questo è uno dei meriti di Raccolto rosso. Foto di Massimo Siroguso/Controsto.
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