confine tra le musiche, il confine tra la musica colta e l 'extracolta, tra il jazz e la nuova musica ... È sempre più labile? Quanto è giusto varcarlo? Quanta sana contaminazione c'è stata? Io penso che sia giusto rispettare i codici e gli stili: il barocco è il barocco e il bepop è il bepop. Ma è certo che il perno fondamentale del l'espressione artistica contemporanea è il crollo dei confini a tutti i livelli. Poi, nella realtà, siamo ancora molto indietro. Io credo che, oggi, nell'ottica di un'estetica multiculturale, un'estetica del Villaggio globale che è un dato di fatto e non una mia opinione, le istituzioni potrebbero fare il salto e mettersi in sintonia con la realtà contemporanea invece di passare attraverso una fase "moderna", che non abbiamo mai avuto e tra l'altro è già passata. Potrebbero, insomma, passare da questo loro stato vetusto direttamente alla post-modernità. Sono stati i percorsi della ricerca a violare il confine? Sì, direi proprio di sì. Sono discussioni di estetica musicale piuttosto complesse. Ma, per esempio, mi capita di ascoltare tanta musica commerciale di un certo livello e di ritrovarvi certe sonorità che derivano direttamente dall'esperienza di alcuni tastieristi che hanno fatto ricerca con i campionatori. Voglio dire che c'è di fatto una grandissima comunicazione, che poi fa sì che si realizzino certi progetti che, fino a dieci anni fa, erano impensabil,i. E infatti da una decina di anni si vedono sempre più spesso - a livello di cultura di massa - delle accoppiate veramente impensabili: Wenders che fa il video agli U2, gli U2 che vanno da Burroughs ... E questo è un fenomeno reale e concretissimo. Io stesso, qualche tempo fa, ho organizzato una piccola rassegna di musica euro-araba che consisteva in incontri tra grosse personaPALERMO/MUSICA 47 Catania. Foto di Paolo Titolo/Contrasto lità del mondo musicale di culture diverse. In uno di questi incontri si trovarono insieme un maestro indiano di tablas e uno dei più vecchi maestri sardi di launeddas. Il risultato fu stravolgente. C'è sempre il rischio di essere kitsch, naturalmente, ma la cosa non mi preoccupa più di tanto. Perché io credo che questa oppressione del gusto a tutti i costi sia una delle cose che ha molto limitato l'espressione umana. E il rock, espressione anche di volgarità, di esagerazione, di tutto quello che non appartiene ai moduli di espressione classica, è stato una scuola per tantissime persone. Restiamo ancora un attimo su questo discorso del confine: a Palermo come è staro vissuto il rapporto tra le musiche? Direi senza particolari problemi. Intanto perché a Palermo c'è una grande scuola jazzistica che vanta molti buoni nomi. E questo è già un fatto positivo. E poi perché non ci sono troppi compartimenti stagni, soprattutto perché Palermo, alla fine, non è poi così grande e dunque non è strano che uno come me si ritrovi a lavorare insieme ad un compositore che viene dalla musica colta come Federico Incardona. Cose come questa a Palermo si possono verificare con una certa facilità. Anche in altri campi. Penso alla word music che in Sicilia è nata molti anni prima che se ne parlasse così tanto. Penso ai Rakali, per esempio, che erano una formazione metà folk e metà legata ad esperienze pop e jazz: ed esistevano già tantissimi anni fa. Ma penso anche agli Agricantus. Ci sono state, insomma, intense comunicazioni. Così che anche io, ai tempi in cui ero un jazzista puro, sono stato invitato dai
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