Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

46 PALERMO/MUSICA è in linea con certe anomalie politiche per cui, negli anni passati, mentre la Dc era in calo in tutta l'Italia, in Sicilia e a Palermo poteva capitare che fosse in crescita. La Sicilia, insomma, ha sempre vissuto queste contraddizioni non solo interne ma anche nei confronti del resto della penisola. Cosa che stupisce solo in parte, perché è nel carattere del palermitano l'essere sempre bastian contrario. Ma restiamo alla musica. Io trovo che la grande anomalia di Palermo sia rappresentata proprio dalla sproporzione nella distribuzione delle varie forme musicali. E il rock, che è senza ombra di dubbio la musica di massa per definizione, è anche il genere musicale che a Palermo è ancora all'anno zero. Mentre altre forme musicali estremamente più elitarie hanno molta più storia del rock. Questo mi pare che sia il nodo principale dell'atipicità della situazione palermitana. Quanta di questa atipicità è legala anche a situazioni e a scelte politiche della città? Il problema è complesso. lo direi intanto che da una parte c'è una certa tendenza psicologica del palermitano a preferire una cultura di tipo elitario, al punto che certe cose di impatto forte e che creano fenomeni di moda, come il rock, non sono mai state ben viste a Palermo. li palermitano medio ha preferito guardarle da lontano, in TV; e non ha mai accettato di trovarsele attorno, come espressione del movimento giovanile. Penso a due grossi fenomeni della controcultura giovanile degli ultimi decenni: il punk e i centri sociali. La storia del punk a Palermo è quasi inesistente, a parte pochi fenomeni rimasti isolati: da una parte perché c'era una cultura di mafia molto forte e dall'altra perché il palermitano, che pure ha una grande finezza intellettuale, ha anche una tendenza reazionaria fortissima. Un fenomeno di controcultura come il punk non poteva essere accettato. Lo stesso è accaduto per i centri sociali. Ce n'è stato solo uno, il Montevergini, un ex convento rilevato da un gruppo di giovani che l'hanno occupato e che è stato per anni letteralmente tartassato dalla polizia. Rispetto al territorio era quasi insignificante che una città come Palermo avesse un solo centro sociale. Lo sottolineo perché è un dato che dà la misura di una distribuzione terribilmente anomala, senza voler dare per questo un giudizio né morale né di valore. Eppure questo unico centro sociale, che era una valvola di sfogo e uno spazio di espressione che si erano dati alcuni gruppi controculturali, è stato sin dall'inizio osteggiato. E alla fine si è deciso di chiuderlo. Oggi la struttura è stata trasformata e l'attività si svolge all'interno dei pensionati universitari. Tutto questo è indice di una gravissima mancanza: Palermo è una città che non ha mai avuto un posto dove ascoltare il rock, a parte quei pochi luoghi che sono rimasti sempre offe spesso quasi inagibili. Si sono tentati dei concerti rock come si fanno in tutte le grandi città del mondo. Però sono abortiti sempre. Ora io non voglio fare l'iperpolitico, ma sicuramente in tutto questo una parte di colpa ce l'hanno i servizi d'ordine, il Municipio, la polizia, che non hanno tollerato eventi di massa come questi; eventi di cui al contrario c'era una forte esigenza. Questo è molto triste. A Palermo è finita che gli unici eventi di massa cui ci è toccato di assistere sono state le grandi parate di morte come la strage di Capaci. E la città è rimasta terribilmente indietro. Ma questa storia così anomala della cittàfino a che punto non ha inciso sulla presenza di musicisti rock a Palermo? Il problema esiste. Perché il vivaio è direttamente e dialetticamente legato alla presenza di una data forma espressiva. Ed è proprio questo che spiega perché Palermo è diventata una cittàjazz, cioè una città con una anomala presenza di spettatori e musicisti legati al jazz, musica che tutt'oggi è ovunque abbastanza elitaria, di circuito, legata a minoranze. Al contrario, a Palermo: il circuito del rock è a un livello assolutamente minimale a fronte di un mondo jazzistico che è il doppio più sviluppato. Ecco, questo è uno dei paradossi di Palermo: una metropoli rivoltata al contrario, in cui la musica rock è all'ultimo gradino, dopo la classica, la contemporanea e il jazz. Mentre nel mondo odierno i rapporti sono variamente ribaltati ma comunque il rock è sempre al primo posto. Quali colpe hanno in tutto questo le istituzioni? Le hanno. Ma iI problema è sempre quello della contraddizione tra una tendenza molto raffinata e una molto reazionaria. Che poi, per altri versi, è uno dei motivi per cui a Palermo si sono prodotte anche cose di grande livello artistico. Anche questo va dett0. Perché se partiamo solo dal rock e lì ci fermiamo, allora il quadro sembra quello terribilmente deprimente di una Sicilia fine Ottocento. Per fortuna, le cose stanno diversamente. Una musica come la nuova musica, per esempio, ha avuto e continua ad avere un fermento impressionante, specie se analizzato rispetto al territorio. Cosa che quasi non ha confronti nel resto d'Italia. Penso ad esempio ad una grande città come Napoli che invece, da questo punto di vista, tolte alcune interessanti esperienze tutte molte recenti, ha un passato quasi inesistente. Ma voglio tornare alla tua ck>mandasulle istituzioni. Vi è una storia istituzionale ben precisa che ha fatto sì che tutto si sviluppasse in questo modo. Tralascio la storia della musica classica e mi concentro sul jazz. E quando parlo delle istituzioni, parlo non solo di quelle pubbliche o a prevalente sostegno pubblico, ma anche dei club. Qui c'è già un primo e grave problema: perché nei club palermitani si è sempre fatto jazz e non si è mai fatto rock? Com'è possibile che si sia creata questa abitudine, visto che certo nessuno può mai sostenere che esista realmente un pubblico così vasto per il jazz? Io penso che il motivo sia squallidissimo: il palermitano vuole dei prodotti che non diano fastidio, dei prodotti, in qualche modo, tranquilli. È triste, ma è così. Ed è un fatto che ho sperimentato sulla mia pelle: perché nel momento in cui ho cominciato a fare un jazz più di ricerca (e dunque, tra l'altro, più rumoroso rispetto al jazz classico), mi sono sentito quasi fuori posto, nel senso che la mia musica non andava più bene come prima. Anche le associazioni culturali hanno lavorato su un jazz-samba: cioè, appunto, su una musica che non desse fastidio, quasi da sottofondo, una musica soft, come può essere quella da diffusione. Questa è stata la tendenza dei proprietari dei locali, luoghi di cui è importante parlare perché il vivaio, quando si è sviluppato, si è sviluppato lì, visto che le associazioni concertistiche siciliane hanno fatto spesso poco per il jazz siciliano. Ma anche parlando delle grandi istituzioni, l'interesse è stato sempre esclusivamente concentrato sul jazz. Perché c'è stato questo sviluppo anomalo? I perché sono tanti; molti sono insondabili. lo posso azzardare un'ipotesi: che il jazz sia, tra le musiche non classiche, l'unica etichettabile come artistica e dunque più immediatamente utilizzabile per chiedere ed ottenere finanziamenti. Voglio dire che il modello culturale che ispira le istituzioni italiane è un modello legato ai primi del Novecento e a una etichetta di culturalità che certo non è applicabile né al rock né alla musica di strada. Mi piacerebbe parlare proprio con un musicista come te del

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