LAGRANDESORELLA TRAPATTOEFORZA PiergiorgioGiacchè Se, come un tempo, si dovesse andare a letto dopo il carosello elettorale, non si chiuderebbe occhio tutta la notte; le trasmissioni dedicate alla polemica o invase dalla pubblicità dei partiti non solo tirano tardi ma vanno anche in replica. La resistibile discesa in politica di Berlusconi ha sicuramente peggiorato le cose e la situazione, nemmeno culturale ma esistenziale, del teleutente è divenuta insopportabile. Si dirà che è sempre così quando c'è in giro la febbre delle elezioni, ma stavolta è chiaro a tutti che il fastidio è dovuto più alla pressione che alla temperatura.Una pressione di cui non si prevede la fine, perché non è dovuta allo scontro fra la destra e la sinistra, ma al fatto che il centro ha già vinto e sta celebrando se stesso. E il centro non è quello di Martinazzoli e di Segni, né di coloro che dopo la vittoria dovranno per forza occupare anche l'area centrale del Parlamento. Il vero centro politico non è da tempo un'area maè aereo, non è più terreno ma etereo. E perdi più il centro è già occupato, anzi affollato fino ali' inverosimile. Il centro è la Tv. Centro emittente, ma anche promuovente, aggregante, supponente, sentenziante ... è lo specchio che riflette tutte le deformità politiche; o, se si preferisce, è lo specchio che deforma tutte le riflessioni politiche, tanto è lo stesso. Ma forse non è più lo specchio, almeno da quando la Politica l'ha attraversato prop1io come succede ai fantasmi ed è passata decisamente dall'altra parte. Adesso tutti sanno che abita lì e lì soltanto. Chi vuole saperne qualcosa non ha che da accendere e scegliere. Chi non vuole saperne nulla, non può: la sola presenza nel tinello di casa di un apparecchio televisivo spento già è in grado di rammentarci il dovere e il piacere del voto. Così, nelle lunghe sere di zapping, ciascuno si barcamena fra dibattiti e assemblee, nuovi satyricon e vecchi salotti, inchieste portaporta e confronti facciafaccia, e si prepara a diventare elettore. Tra macchine gioiose di guerra e chiamate alle armi, tra i crociati del nord e gli alleati nazionali del sud, tra il Patto e la Forza, lo sventolìo dei tricolori ha raggiunto un apice sinceramente imprevedibile. Mai vista una così forte omogeneità simbolica tra le opposte fazioni politiche, mai visto un così grande attaccamento alla patria. Ma il problema non è militare, piuttosto è spo11ivo.Tutto quel tiicolore non allude alla bandiera, ma allo scudetto: stavolta, con il nuovo sistema maggioritario, si vince come nel campionato, anche con un solo punto in più. Come ci assicuravano tutti, per la gente tutto questo è più facile da capire e, di conseguenza, più democratico. Ma poi cosa c'è da capire, quali sono le differenze fra i contendenti, a parte la convenzionale spartizione di aggettivazioni, generiche e francamente intercambiabili: progressisti, 1iformatori, moderati ...? Sfumature a parte, l'occidente, i I mercato, il liberismo, le privatizzazioni, così come la democrazia, la solidarietà, la lotta alla disoccupazione, l'assistenza ai poveri e l'attenzione peri deboli, nessuno limette minimamente indiscussione. È certo che se ieri tutti si proclamavano diversi e la saggezza qualunquista e popolare andava invece dicendo che "i partiti sono tutti uguali", adesso la gara ELEZIONI E TELEVISIONE 11 divide in modo rigoroso la destra e la sinistra alla partenza, ma per quanto attiene all'arrivo sembra che ognuno voglia contendere all'altro gli stessi obiettivi, gli stessi voti, la stessa bandiera liberaldemocratica. Per restar dentro alla metafora sportiva, non si tratta di un campionato, ma di un confronto triangolare fra una nazionale A e una B e forse anche una C, sulle quali finalmente e democraticamente decideranno i tifosi. II problema è che, per la prima volta in Italia, le tifoserie non sono poi così numerose, né focose. C'è un'evidente scollatura fra l'enorme impegno agonistico dei concorrenti - le animosità e i toni da rissa, le scorrettezze e gli allarmi - e il non esaltante livello di attenzione e di entusiasmo degli elettori. La massa degli indecisi, degli indifferenti e persino degli insofferenti aumenta; qualcuno ripeterà fino all'ultimo giorno che c'è bisogno di informare, stimolare, organizzare la gente, ma nessuno sembra supporre che la delusione o il disinteresse sia in gran patte dovuto alla formazione delle squadre, alla sproporzione che c'è fra una partita così attesa e importante e il basso livello dei giocatori e allenatori in campo. Eppure, se la classe politica di ie1iera una barzelletta internazionale, le poche conferme, così come i nuovi acquisti di oggi, non lasciano certo sperare in un futuro da campioni. Già ieri - a sentire la gente - tutti quei partiti non convincevano un gran che; oggi poi che hanno perso i loro simboli, la storia, le ideologie e, per cause di forza maggiore, perfino i leaders, come faranno a con-vincere? Facendo un po' di gioco duro, sventolando ciascuno la pochezza del I 'alt:ro, restaurando un clima da Italia postbellica e divisa (quando invece è semmai prebellica e sempre più unita e interventista) e soprattutto tirandosi su con la droga della politica: la televisione. La stessa droga che spacciano a piene mani quaggiù, fra l'elettorato, spingendolo a votare a colpi di trasmissioni sul sedere. Del resto, se la "questione sportiva" è ancora metaforica, la "questione televisiva" è fin troppo reale ed è diventata sia per i politici che per gli elettori la più appassionante. Che fine faranno le tre reti del cavalier Berlusconi? Oppure, che succederà, dopo la vittoria delle destre, delle ti·e reti comuniste della Rai? Non si sa ancora chi vincerà, ma almeno stavolta si conosce qual è il premio! Stavolta non si può fare a meno di partecipare, anche se partecipare non è vincere: non si tratta di fare un governo rosso o nero, ma di difendere la tv preferita. Siamo ormai un paese laico ed è chiaro a tutti, che "nel segreto dell'urna" non ti vede né Stalin né Dio, ma il problema è cosa vorrai vedere tu il giorno dopo: le reti di Berlusconi amputate e magari il paventato sac1ificio di qualche telenovela o le reti Rai conquistate dal paitito della Fininvest? Insomma, Berlusconi "lascia o raddoppia?". Sai·à questo il dilemma che tormenterà, "dentro l'urna", i silenziosi monologhi di un esercito di amletici elettori? A guai·dai·e la tv sembrerebbe di sì. Stavolta i giornalisti e i conduttori stanno esagerando, ma bisogna capirli: si sentono al centro della contesa o, per lo meno, fanno di tutto per convincersi e per convincerci. La proliferazione delle trasmissioni politiche, in effetti, non serve soltanto a far risparmiare soldi alla produzione (pensate a quanti soldi costa un varietà con veri nani e vere balle1ine!. ..), ma soprattutto a trattenere dentro il video l'intera campagna elettorale e conquistare intanto, comunque finisca fra destra e sinistra, il vero elettorato che conta: l'audience! In questo, l'ingresso in politica di Berlusconi è stato una vera svolta: non tanto per le discussioni sulla legittimità o meno che un "padrone" decida di buttarsi in politica (sai la novità!), ma perché ha amplificato e soprattutto ha "smascherato" il ruolo e il potere della televisione (cosa questa che non era riuscita a nessuno di quelli che hanno lottato per anni perché potesse avvenire. Sic!).
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