ELEZIONIETELEVISIONE 9 LOffA POLITICA E VIDEOCRAZIA VERSOLEELEZIONI LAVIDEOREPUBBLICA.OVVERO: ILPERICOLOCHECl RADUNA MarinoSinibaldi Ormai è chiaro che nel corso di questa campagna elettorale non solo si disputa la battaglia da cui dipenderà il futuro istituzionale dell'Italia ma si stanno costituendo le culture politiche decisive per il nostro futuro. È un processo che avrebbe bisogno di luoghi e tempi adeguati: ambedue, invece, mancano. In queste condizioni crescono le possibilità che a vincere nel passaggio aJla Seconda Repubblica sia una cultura e una aggregazione politica che detiene i luoghi decisivi della comunicazione e non ha bisogno di tempo, facendo leva su una sorta di spontanea combinazione di demagogia populista e continuità trasformista. È invece per l'altra parte della società e della politica che la questione dei luoghi e dei tempi è decisiva. I luoghi. È del tutto evidente che lo "spazio pubblico" della comunicazione e del confronto politico si identifica ormai pressoché completamente con il luogo televisivo. Già la tornata delle elezioni dei sindaci - con il loro carattere spiccato di scontro personale, faccia a faccia - aveva mostrato l'irreversibilità di quel processo. L'entrata in campo di Silvio Berlusconi è da questo punto di vista niente più che la realizzazione emblematica di una facile profezia. Si tratta però di un fatto di straordinaria gravità proprio perché, tra l'altro, condiziona pesantemente il carattere di quello spazio pubblico e ipoteca le possibilità di trasformazione della democrazia, a partire da quel l'inevitabile scenario del nostro futuro che con una formula forse troppo vaga si definisce "democrazia elettronica". È questa una prospettiva che suscita per lo più reazioni ideologiche o puramente emotive e viene vissuta con angoscia quando invece andrebbe considerata anzitutto un te1Tenodi scontro, culturale e anche politico. Non è detto, infatti, che i linguaggi della videopolitica siano necessariamente peggiori di quelli tradizionali: Stefano Rodotà, che da anni studia seriamente questi processi, ribatte a chi ipotizza per esempio unacrescitadel tasso di demagogia raccontando un comizio della sua adolescenza dove un senatore comunista vantava davanti alla folla "i chicchi di grano che inUnione Sovietica pesano mezz'etto ...". Preda di incubi futuri, rischiamo di dimenticare la demagogia che abbiamo attraversato. In realtà la trasformazione radicale delle forme e dei linguaggi politici è inevitabile così come il declino, in atto del resto già da molto tempo, di ogni comunità politica, grande o piccola, fondata sul confronto, lo scambio libero di idee, la comunicazione diretta e immediata. Immaginaria o no, questa dimensione non esiste più e l'avvento della videopolitica la cancellerà definitivamente. Si può reagire con nostalgica malinconia, con rassegnazione, con rabbia ma anche, come sempre, provare a ragionare, cogliere comunque l'occasione per riflettere e ripensare tutta la vicenda dell'affermazione prepotente e totalitaria dello spazio televisivo. Se guardiamo dal punto di vista della ridislocazione dei poteri che sta producendo - la marionetta mediatica dei potenti sconfitti che diventa lei stessa burattinaio - i risultati sono catastrofici. Però si può anche tentare di ritrovare - dopo anni di sbandamenti apocalittici e/o integrati oppure di pallide vie di mezzo - un atteggiamento equilibrato persino di fronte all'invincibile Moloch che ha imprigionato occhi e cervelli nei lunghi anni Ottanta. E che proprio per il suo trionfo ha perso i suoi connotati più aggressivi e ilTuenti. Francamente a me sembra ormai una grande piazza, squallida e piena di spazzatura come quasi tutte le piazze di questo nostro paese, dove passa indiscriminatamente di tutto e chi urla, schiamazza, buffoneggia conquista, come inogni piazza, più ascolto di chi ragiona. Dopodiché la piazza si può ignorare e la comunicazione di quello che di buono si fa altrove deve comunque seguire altre vie, strade, vicoli e canali. Personalmente, però, comincio a diffidare di chi ogni tanto non fa un salto in piazza, così, per vedere che aria tira e pensarci su - o magari avere motivi migliori per ritrarsene schifato. Mi sembra che sminuisca una dote sempre più fondamentale, e cioè il senso della realtà. Ma una volta compiuto questo sforzo di equilibrio, il pericolo che ci sovrasta appare non meno ma più minaccioso. Forse è vero che la progressiva affermazione di spazi di democrazia elettronica, cioè di forme di partecipazione e pronunciamento politico che passano attraverso il rappo1to interattivo tra telespettatore e strumenti elettronici, apre prospettive diverse. È potenzialmente in grado, per esempio, di ampliare l'area delle informazioni disponibili e autonomamente gestite, di aumentare cioè la conoscenza di situazioni e problemi, di consentire forme agili e rapide di collegamento e di espressione; oppure può tradursi nell'idiozia del quizzy, nell'iterazione ossessiva di domande che sollecitano pronunciamenti schematici sì/no senza mediazioni né riflessioni, nel1' incubo della "sondocrazia", di una sorta di referendum permanente ed eterodiretto (sovrapponete Pannella ai conduttori Fininvest e avrete il volto di questa angosciosa antiutopia). Lo scontro tra i democratici e il partito di Berlusconi prefigura anche questa alternativa non troppo lontana, e l'esito di oggi pregiudica i risultati definitivi di domani. Il sistema di proprietà e controllo dei media, che Berlusconi incarna, il suo linguaggio e i suoi valori, saranno decisivi nel piegare in una direzione antidemocratica quella prospettiva, nel risolvere autoritariamente l'ambiguità della democrazia elettronica. Del resto dal punto di vista politico e culturale,
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