Linea d'ombra - anno XII - n. 91 - marzo 1994

Gavrilov studia l'umano spasimo all'autoaffermazione. Il fatto che i suoi personaggi non raggiungano mete elevate non avviene per errore, ma per volontà del caso nudo e crudo, per puro aneddoto. Nessuno ne ha colpa ed è questo che provoca la sindrome dell'orrore che paralizza la partecipazione attiva alla vita e avvicina lo scrittore all'idea nazionale della supremazia della posizione contemplativa. La stilizzazione è il sintomo dell'insuccesso filologico.L'altra letteratura ha a che fare con una lingua morta. La si può faticosamente abbellire, ma è difficile rianimarla. La lingua russa del periodo sovietico, reiterata preda di falsi ideali, di entusiasmi, promesse e slogan ipocriti, è arrivata agli anni Settanta come una parola-mummia, una parola-spettro. La lingua morta non si può curare. Il concettualismo moscovita - ermetico, intransigente, ironico e altezzoso - compendia l'assoluta alienazione della parola e l'assoluta disperazione celata nel testo. Dopo aver iniziato imitando la "sots-art" nella pittura, trasformato l'estetica del realismo socialista in una forma di dramma sociale, esso è stato interpretato ai suoi esordi come una protesta, vicino per la sua missione didattica alla dissidenza artistica. Ma il campo da gioco si allargava, diventava un elemento autonomo, separato dalla sfida politica. Malgrado il concettualismo neghi l'applicazione pratica del proprio linguaggio e insista sull'intertestualità, in esso si legge un atteggiamento di sospetto verso la vita, con la sua estenuante ripetitività, con le sue mosse limitate, collegando direttamente il concettualismo alla letteratura del male. Definitosi "autore-personaggio" operante con strutture già pronte e capace di riprodurre qualunque tipo di scrittura, Dmitrij Prigov portaall' assurdo poetico tutta una serie di concetti e cliché ideologici, specificatamente di tipo sovietico, divertendosi con i tabù politici, etnici e morali. Stella della poesia contemporanea, egli delimita con i suoi versi le zone morte della cultura russo-sovietica, suscitando nel pubblico un riso liberatorio e contribuendo in tal modo alla rigenerazione del significato. Lev Rubinstein crea una propria versione della scrittura frammentaria costruita sul contrappunto. Il frammento contiene una laconica e spesso ottusa dichiarazione con un diverso contenuto semantico ed emotivo. L'effetto umoristico si ottiene con la riconoscibilità del frammento, estrapolato da un contesto stereotipato. Il coefficiente esistenziale di questo testo è piuttosto elevato, certo, ma estremamente amaro. Costruendo i propri testi sugli scarti del realismo socialista, Vladimir Sorokin li fa saltare in aria con un'improvvisa rottura della narrazione, con il turpiloquio, con una condensazione portata agli estremi del testo-concentrato, formato da patologia sessuale, violenza totale, fino al cannibalismo e alla necrofilia. Sotto la scorza del testo si rivela il caos verbale e il delirio. La parola morta è resa fosforescente dai sortilegi verbali, dallo sciamanismo, dalle glossolalie mistiche che ammiccano in modo sordo all'esistenza di mondi trascendenti. I testi di Sorokin assomigliano a un pezzo di carne da cui è colato via tutto il sangue e che brulica di vermi. Questo piatto, cucinato da un romantico disilluso che si vendica del mondo per la sua disarmonia ontologica, provoca nel lettore un istinto emetico, uno choc estetico. Ma la limitatezza del menu e la ripetitività del procedimento finiscono per indebolire gradualmente l'impressione iniziale. Le ambizioni totalitarie del concettualismo mi sono sempre sembrate leggermente esagerate. Avendo scritto i miei primi saggi su Sade e Lev Sestov all'inizio degli anni Settanta e avendo reso tutto il merito possibile alla letteratura del male, mi sento forse più vicino all"'estetica vibrante" che riunisce in sé una suggestiva e ripugnante finzione e una seducente denudazione dei procedimenti di qualunque discorso. Negli scrittori più giovani che imitano in modo pertinace i modelli della letteratura del male si allenta, tuttavia, la tensione causata dal viaggio stesso attraverso il male. Nasce uno stile RUSSIA 7 secondario, noir, gli orrori della vita e la patologia vengono affrontati come un divertissement, un artificio letterario, la già provata opportunità di giocare a sensazioni forti. È sempre minore l'interesse per i passati scontri politici. Gli eroi della resistenza e i vecchi capi comunisti si fondono, si presentano come personaggi pop dei fumetti. Igor Jarkevic riconduce le battaglie passate ad una fiera delle vanità. La sua alternativa - Solzenicyn oppure io, povero onanista- si decide a livello non tanto di "opera buffa", quanto di dissacrazione ha del ruolo dello scrittore contemporaneo che ha un atteggiamento meno sofferente dei concettualisti verso la degradazione della lingua, visto che comunque essa non è riuscita a sopprimere la letteratura. Julija Kisina propone di confidare in un altro linguaggio, un linguaggio psichedelico, di cui non ha senso affermare o negare la veridicità come per qualunque allucinazione narcotica: "Tutto era incredibilmente chiaro. Non so come, è arrivata un'onda azzurra. È passato correndo qualcuno che non ho riconosciuto, ma che conosco fino al dolore". Come in Alice nel paese delle meraviglie tutto è consentito e nulla è obbligatorio, a parte una libera p~lsante energia della visione.L'eroina "viene visitata da strani mondi, cioè è lei che precipita in questi mondi", in cui balenano Hitler, disastri ferroviari, baci. È curioso, però, che al momento delle fantastiche visitazioni in realtà lei compisse sanguinosi crimini. Alla fin fine "ha implorato a lungo l'esperto perché formulasse una perizia falsa in cui si affermava che lei era assolutamente sana di mente, per poter essere condannata alla fucilazione". Ha ottenuto quello che voleva. È stata fucilata. Anche i piaceri psichedelici si pagano. La letteratura russa della fine del XX secolo ha accumulato un'enorme conoscenza del male. La mia generazione è diventata il megafono del male, l'ha accolto dentro di sé, gli ha offerto enormi possibilità di esprimersi. È stata una decisione inconscia. È andata così. Ma era necessario che fosse così. La forza di questa letteratura risiede nel fatto che nessuno sopportava il piano strategico della denuncia del male. È stata rimossa la nettezza delle contrapposizioni: la vita muta in morte, la fortuna in sfortuna, il riso in pianto. Si sono confusi gli uomini e le donne, ormai non si riesce più a distinguere le loro differenze "minime". È nata un'attrazione per i fenomeni sessuali marginali, le perversioni, il sacrilegio. Apparentemente il satanismo si è impossessato della letteratura (cosa di cui parlava la critica "morale"). In realtà, il pendolo si è spostato dall'umanesimo astratto e senza vita, la banda di inclinazione ipermoralistica è stata raddrizzata. Nella letteratura russa è stata inscritta una luminosa pagina di male. Il che vuol dire che il romanzo classico russo non sarà mai più un manuale di vita, la verità nella sua ultima istanza. Sono stati applicati i correttivi del tritatutto. Per esprimere la forza del male la letteratura russa ha visto arrivare una generazione di scrittori tutt'altro che deboli. Il male si è espresso. Alla fine del XX secolo la letteratura del male ha compiuto la propria missione. Il mercato ontologico del male è saturo di merci, il vaso è colmo sino all'orlo di un liquido nero. E ora? Victor Erofeev (Mosca 1947) è figlio di un diplomatico d'alto rango che per un certo periodo è stato l'interprete ufficiale di Stalin. Il suo background familiare non lo ha tutta.via protetto quando, per avere partecipato insieme ad altri scrittori all'almanacco samizdat "Metropol ", nel 1979 è stato espulso dall'Unione degli scrittori, dove è poi stato reintegrato. Storico e critico delle letterature russe efrancesi, è autore di centinaia di saggi e articoli dedicati agli autori russi dell'inizio del secolo e ad autori francesi come de Sade e Céline. In Italia è stato tradotto il suo romanza La bella di Mosca(Rizzali 1991) e in "Linead'ombra" sonousciti un suo racconto, Berdjaev (n. 48, aprile 1990), e un 'intervista fattagli da Pia Pera (n. 64, ottobre 1991).

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