Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

6 MESSICO della gente. Da sempre nel Chiapas, davanti agli occhi indifferenti di funzionari locali e senza che sentano gli orecchi delle autorità lontane, i contadini sono alle prese con le tragedie della miseria. Ultimamente la loro situazione è peggiorata a causa della crisi nel settore del caffè, che è la principale ricchezza della regione. Ma come mai all'improvviso le vittime di tale sottosviluppo sono state ingrado di sollevarsi con una forza che ha fatto tremare i palazzi governativi di Città del Messico? Piuttosto la domanda che più di altre attende risposta è: chi sono i promotori e capi della rivolta? È chiaro che la guida non può essere emersa dal l'interno della comunità indigena. Quel le che dovrebbero essere le conseguenze negative del nuovo mercato americano, il taglio delle sovvenzioni statali per i prodotti delle zone meridionali e la nuova disoccupazione che ci sarà in queste campagne quando cominci ad arrivare in Messico il mais dagli Stati Uniti, sono ancora da venire. A prevederlo e a spiegarlo all'opinione pubblica mondiale non possono essere gli indios, che a malapena sanno cosa sia ilNafta. Che i capi non siano indios, ma forse meticci, lo hanno riferito tutti i corrispondenti dopo aver visto il colore della pelle nelle parti scoperte degli uomini intervistati. E chi sarebbero questi uomini? Oggi non ci sono i referenti politici esterni di altri tempi per la lotta armata nel continente. Monsignor Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal de las Casas (la maggiore città del Chiapas), ha detto: "Sbaglia chi pensa che dietro la rivolta ci sia un'ideologia marxista ... Non ci sono radici ideologiche dietro questa rivolta degli indios". E lo stesso EZLN ha scritto in una lettera all'ambasciata degli USA in Messico: "Noi non abbiamo nulla a che vedere con il terrorismo internazionale", usando in questo caso un linguaggio gradito a Washington. Sono forse ex guerriglieri del Messico e di paesi vicini rimasti nascosti a progettare una rivoluzione dopo aver rinunciato agli ideali marxisti? Oppure intellettuali di sinistra che controcorrente hanno impugnato le armi quando tutti gli altri se ne sbarazzavano? Pochi anni fa scriveva Enrique Krauze: "Il Messico è forse l'unico paese al mondo in cui il '68 rimane in vita". Ma chi ha finanziato per una decina d'anni un esercito nascosto nella selva? Chi ha portato ad esso le armi, del resto reperibili facilmente sul mercato internazionale? Si deve immaginare l'esistenza di una vera e propria struttura di sostegno. Insospettata, perché altrimenti le autorità avrebbero provveduto tempestivamente ad affrontare i ribelli che si preparavano per futuri attacchi. Nel carcere le risposte a queste domande, non pare azzardato rivolgere l'attenzione ai numerosi preti che nel Messico meridionale sono molto attivi nella denuncia delle ingiustizie sociali. Tre anni fa è nato da quelle parti i I Movimento Popolo Credente, un nome che sembra confermare le imputazioni di Jean Meyer ai settori cattolici allineati alla Teologia della liberazione: "Rivendicano la missione profetica della Chiesa mentre il progetto politico rivoluzionario assume una dimensione messianica" (imputazioni che coincidono con la nostra diffidenza verso quei settori - a prescindere dalla legittimità delle loro proteste contro le cause del sottosviluppo-, posizione personale che però non ha alcuna importanza). I propositi enunciati dagli zapatisti in pubblico sembrano, piuttosto che ispirati dalla sinistra politica tradizionale, riflettere il linguaggio di quei sacerdoti. Bisogna attendere per saperne di più. Intanto, il nome del Chiapas ha cominciato a riecheggiare nelle regioni settentrionali della lontana Argentina, nel Venezuela instabile e violento, nel Nicaragua che non si risolleva dalla miseria. SanCristobalde lasCasas,gennaio1994 (fotoElExcelsior/Sygma/GraziaNeri)

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