Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 75 CARONANNI... Filippo La Porta Caro Nanni, nel tuo ultimo film idiosincrasie e malumori "morettiani" li ritroviamo tutti (con la loro infallibile presa descrittiva e conoscitiva), maad un certo punto sfumano e cedono il postoaqualcos' altro, ad una verità preziosa e non retorica, che non riguarda (come è stato frainteso) il mero sopravvivere. Quando si parla della nostra generazione è singolare come non si riesca ad immagin_arenient' altro tra i due poli opposti della rivolta e della sopravvivenza! . _ Pur conoscendoti da molti anni, non sono un tuo acnt1co adoratore. Anche se, per limitarmi ad un settore che conosco bene, non mi viene in mente neanche il nome di uno scrittore capace di raccontare la realtà con una attenzione così ironica e faziosa; e comunque quasi nessuno che abbia avuto la tua continuità (se non sul piano tematico, direi sul piano di una passione "civile" applicata ai fenomeni microsociali). Dei tuoi film non mi ha però mai convinto del tutto un aspetto decisivo. La tua proverbiale autoironia mi è sempre sembrata sincera ma innocentemente strumentale, troppo esibita per non essere anche "giocata". In fondo ti ami così tanto, e ami così tanto il tuo "negativo" (la tua nevrosi, la tua infelicità), da farlo amare agli altri. Tanto che tra il "positivo", pur presente nei tuoi film (incarnato soprattutto in personaggi femminili), nobile ma fatalmente esangue e il "negativo" (del tuo personaggio autobiografico), detestabile, magari mostruoso, ma scoppiettante, affascinante, terribilmente vitale, la scelta e le simpatie del pubblico non hanno mai avuto dubbi. Certo le tue insofferenze si alimentavano di un'aspirazione ali' autenticità, ad una purezza di gesti e rapporti, ma, in fondo, tutti questi elementi risultavano infinitamente secondari, letterari e un po' astratti. Potresti obiettare che tutta la grande arte è "narcisista", e consiste in fondo in questo (incantatorio e subdolo) farci amare anche il "negativo" di chi la fa: eppure nella ambigua adesione di Dostoevskij al suo sottosuolo (tanto per fare un esempio sommo) c'è una complicit~ straziante ... _ " _ Con Caro diario, però, le cose stanno diversamente: ti positivo" vi appare non solo come sfondo "obbligato", affidato a personaggi spenti, manierati, né coincide con la incontenibile "teatralità" della tua nevrosi. Si tratta invece delle cose e dei luoghi che ami, trepidamente, tangibilmente: la quieta ebbrezza di passeggiare in vespa, i palazzi e i quartieri di _Roma (registrati con amorevole meticolosità), la inattesa nostalgia della danza (ovvero l'immagine più concreta del desiderio di uscire da sé, dal proprio corpo e dal proprio io...). Insomma la descrizione pu~gent~, indignata o dispettosa, di tic e miti d'oggi stav?lta no~ es~unsce (m modo parassitario) il tuo universo morale e 1mmagmat1vo, come accadeva in passato. Alcune volte ho notato nel tuo cinema un difetto di costruzione narrativa, una refrattarietà alle architetture formali, alle strutture troppo articolate. Come se in ciò tu r~pl!c~ssi la nostra. stess~ tradizione letteraria, incline alla pagina d1ar1st1ca,alla notazione d1 costume allo schizzo autobiografico, al frammento liricheggiante, al racco~to breve, etc. Proprio su questo mi sembra però che l'agile suddivisione in capitoli (tra loro intimamente legati) del tuo film ti sia molto congeniale, e si mostri capace di trattenere tutta la levità del tuo "tocco", pur in presenza di temi gravi. Ad un certo punti dichiari di non soffrire le maggioranze, e si capisce che la "minoranza" a cui pensi di appartenere non è u~a élite sussiegosa, ma la minoranza di tutti quelli che pensano e ag~sco?~ da "individui". Non occorrono infatti, per fame paite, att1tudm1 viltuose o eroiche. È sufficiente l'ostinazione a volere essere "individui", per quanto ciò sia possibile nel nostro mondo, ~ rischiando così di passare per maniaci, per lunatici o per "quasi scemi" (come appunto avviene nel film). Mi sembra poi che la tua conciliazione con la realtà (con la semplice superficie delle cose) non si traduce in un ottimismo falsificante e idilliaco, nella voglia di star bene a tutti i costi; consiste anzi nelJ' acquisizione, precaria, inquieta (sotto un "minaccioso vulcano") di un se~so dell~ vita forse innominabile, impalpabile, ma anche molto sohdo e resistente. Certo, tutto questo può anche suonare enfatico (ein Caro diario tu non lo sei mai, né pretendi di dispensare "saggezze"). Ma la sobria "verità" cui accennavo all'inizio consiste, credo, nella scoperta di un "vivere", che non è affatto sopravvivere, poiché non ha del sopravvivere l'astuzia dell'arrangiarsi, la nec~ssaria autoanestesia emotiva, l'oblio sistematico del passato. E invece un "vivere" che il film trasmette in quanto vi è in esso di meno raccontabile: nell'umorismo e nel disarmato stupore che scandisce le tappe dell'odissea sanitaria, nella sensualità malinconica dei suoi ritmi e dei suoi colori (di verdi primavere piovose e "interni" addormentati di vecchi palazzi), nell'allegria stupida e meravigliosamente evocativa di una canzonetta di moda. RenatoCarpentieri e Nanni Moretti in Carodiario.

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