72 VEDERE,LEGGEREASCOLTARE che l'autore non ha eluso, anzi ha intenzionalmente scelto, per parlare di quarant'anni di storia recente, la prospettiva della Grande Storia, quella degli stati e delle leggi, dei re e dei generali; non fa microsto1ia, né storia delle mentalità; non adotta il punto di osservazione della pedina di turno- il maledetto antifranchista o il misero franchista- ma piuttosto quello di chi sta al culmine della piramide, quasi a ricordare che, in ultima analisi, i potenti decidono, le leggi obbligano, i vincitori dominano e gli individui possono essere schiacciati o travolti dai processi della politica e della storia. E dunque è la scelta di un orizzonte politico alto da cui tuttavia osservare e ricordare il grappolo di legami che stringe e separa gli uomini, vinti e vincit01i, servi e padroni. Ma questo libro è anche o meglio, prima di tutto, un romanzo eMontalban è un narratore, non uno storico di professione: invece di proporre una biografia del dittatore, inventa il marchingegno dell'autobiografia col quale, per definizione, assicura l' autorevolezza e la veridicità del narrato. Falsa autobiografia, naturalmente (perché in copertina spicca in primo piano il nome dell'autore, Manuel Vazquez Montalban), nel solco, si direbbe, di un modello narrativo illustre che la Spagna per prima ha inventato e reso celebre, quello del romanzo picaresco. E allora, se non esautora l'avversario, se lo lascia ben saldo al suo posto di vincitore, anzi gli cede il diritto assoluto di parola, Montalban dove sta? A chi affida le sue idee o le sue intenzioni? Anche in questo libro c'è un trucco, una voce fuori campo con cui coincide, talvolta, quella di Manuel Vazquez Montalban, e magari anche quella di tutti noi che vogliamo possiamo sentiamo un po' di affinità con lui. Evidentemente è un espediente, ma non arbitrario, non trascurabile. Lo ha ammesso esplicitamente Montalban in varie interviste. Lo riconoscono i recensori del libro. Un espediente letterario, poi, non è che un segno del mestiere, del come si costruisce una storia, cioè; e chi conosce il mestiere sa che ogni arte di narrare non è neutra, è essa stessa significante. Allora descriverò come è costruito il romanzo. Un giovane editore, dinamico e brillante, della Spagna degli anni Novanta, anni di post, post franchismo, di democrazia aspirante a socialdemocrazia attenta a mercato e moneta, su scala planetaria, vuole inaugurare una collana che catturi il soldo: grandi finte autobiografie di giganti della storia, Lenin, Stalin, Hitler, destinata e perciò intitolata "Agli uomini del duemila". Il primo della lista sarà Franco e lo scrittore che gli presterà la voce sarà Marcia! Pombo, amico di famiglia del padre dell'editore, con un pedigree di militante comunista antifranchista, di romanziere frustrato e di funzionario della divulgazione e della scrittura su commissione. La situazione è paradossale, ai limiti della beffa o del disgusto. Pombo trasecola, ma poi, pur tra mille perplessità, spinto dalla classica legge del bisogno, accetta. Costretto a scrivere l'autobiografia del suo nemico, a indossarne gli abiti e assumerne la voce, le idee e i sentimenti, Pombo, tuttavia, non vuole rinunciare al suo diritto di parola e allora - espediente nell'espediente - si ritaglia uno spazio marginale d'intervento, costituito da una se1ie di note che via via sempre più fitte interrompono il corso della narrazione autobiografica. La tipologia di questi inserti, che anche tipograficamente si differenziano dal resto della scrittura, è varia: in un certo senso sembrano dettati da spirito filologico, al servizio di una sottile, implacabile controinformazione - confrontare la versione del generale con quella di altri, colmare le lacune dell'esposizione, segnalarne i guasti, spiegare i retroscena storici di alcune decisioni, ecc .. Ma poi non mancano, anzi col passar delle pagine divengono più frequenti, brani dettati da una libe11àassociativa che, in apparenza, nulla ha a che vedere con l'enunciato autobiografico di Franco: ricordi di famiglia dello stesso Pombo, anche lui di ascendenza galiziana, il nonno spaccapietre e la nonna emigrante a Cuba, il padre tipografo, cronaca succinta di illusioni e delusioni, feste, nascite, scioperi, guerra, prigione, lotta. Via via sempre più estese e più fitte, queste note insomma finiscono col diventare intere pagine in cui prende corpo un'altra autobiografia al margine, in parallelo con quella del caudillo: quella di Marcia} Pombo, "nino de la guerra", figlio di militanti, militante anche lui nelle fila del partito comunista clandestino, che si affaccia agli anni Novanta con il peso di una lucidità totale dinanzi al naufragio totale di tutta quella "ilusi6n" in nome della quale aveva vissuto la sua vita pubblica e privata. Nella realtà di questo "desencanto" assoluto da cui, al presente, si sente sbaragliato non gli resta - a lui, Pombo - che il traffico della memoria. C'è un lapsus rivelatore, nell'epilogo del libro, quando, terminata la stesura, egli è di nuovo il solo detentore di parola autorizzato a raccontare come è finita l'avventura di questa seconda forzata convivenza immaginativa con l'antico nemico: "Consegnai la nostra autobiografia, generale, -scrive Pombocon un po' di ritardo sulla tabella di marcia, sollecitato dalle telefonate della segretaria di Ernesto Amescua". Nostra: Pombo confessa dunque di essersi inserito di soppiatto in quella visione monoculare e di averla resa binoculai·e; non dunque il racconto di un'autobiografia ma quello di due vite parallele, due destini a confronto, indissolubilmente legati come lo sono stati franchismo e antifranchismo; sul punto, entrambi, di essere dimenticati. E la piccola vendetta di Pombo, la linea di resistenza di Montalban, consisterà nell' impegnarsi a rendere difficile l'inevitabile oblio. Da quel giorno - il giorno della morte di Franco - sono passati diciassette anni. In un immaginario colloquio in cui informa il suo personaggio su quanto è successo dopo la sua morte, Pombo afferma: "Senza fretta ma senza pause la stiamo dimenticando, generale, e dimenticai·e il franchismo significa dimenticare l' antifranchismo, lo sforzo più generoso, malinconico ed eroico in cui resistettero manciate di donne e di uomini della razza di Matilde Landa, di Quifiones, di Tomas Centeno, di Peir6, degli anarchici che tentarono di ucciderla, eccellenza, per uccidere la morte, di Ruano, di Mat·celino Camacho, di Marcos Ana, di Nicolas Redondo, di Sanchez Montero, di tanti ragazzi che salirono sui monti perché lei era padrone delle valli e dei casali, ribelli con causa ..." Qu1:;lche il futuro riserva al presente è il posto in un museo o al massimo il miraggio dell'oggettività: "Temo che fra cinquant'anni i dizionat·i enciclopedici audiovisivi ridurranno via via il capitolo a lei dedicato: quattro immagini, quattro gesti, quattro situazioni, e una voce off costretta al riassunto e all'obiettività storica: "Francisco Franco Bahamonte, El Ferrol, 1892 - Madrid 1975. Militare e politico spagnolo (politico, sì, generale, mi spiace). Si distinse nelle campagne africane dell'inizio del secolo e comandò la fazione nazionalista durante la guerra civile spagnola (1936-1939) contro quella repubblicana. Capo dello Stato fino alla sua m011enel 1975, governò con autorità non pti va di durezza, ma sotto il suo comando vennero create le basi dello sviluppo neocapitalista che fece della Spagna una potenza industriale media nell'ultimo quarto del XX secolo". E questo sarà più o meno tutto. Gli storiografi insisteranno un po' più a lungo ma l'oggettiveranno e ci oggettiveranno: guerra di crudeltà equivalenti, dopoguerra di autmitarismo e sviluppo come contropattita ..., infine "la storia è bidimensionale, e in essa non c'è posto per i rumo1i, nemmeno per i gemiti o le grida di rabbia e terrore." Il racconto messo a punto da Marciai Pombo è un ottimo
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==