Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

VEDERE,LEGGEREASCOLTARE 71 ILGENERALISSIMO. TRASTORIAEROMANZO GiovannaCalabrò Ventitré anni fa Manuel Vazquez Montalban scrisse un manifesto: Manifiesto subnormal. Il suo nome figurava tra quei Nueve novisimos (antologia a cura di José Maria Castellet, critico militante, già antologo della poesfa social), poeti d'avanguardia che avevano chiuso con l'umanesimo, il realismo e la politicizzazione dell'arte. Erano gli anni Settanta: la Spagna viveva la sua stagione economicamente neocapitalista e, in arte, l'euforia dello sperimentalismo; qualcuno oltre che essere euforico, ci rifletteva su: intellettuali o poeti. Manifiesto subnormal, perché "subnormal" era la condizione che caratterizza l'intellettuale moderno, secondo Montalban: "in gioventù - egli diceva - ho scritto versi in cui chiedevo libertà, pane e giustizia, scuole gratuite e amore libero"; ora invece scrivo come "un idiota, unico atteggiamento lucido che può consentirsi un intellettuale sottoposto a una organizzazione della cultura precariamente neocapitalista. La cultura e la lucidità conducono alla subnormalità. Non so se sono riuscito a esprimere bene il mio pensiero. Credo che la poesia, così come è organizzata oggi la cultura, non serva a niente". In uno dei testi, appunto, che facevano parte del Manifiesto subnormal, libromiscela, molto didascalico, Montalban inscenava - in forma di farsa - un consulto etico estetico politico intomo ai destini dell'arte e della società moderna. Scena: un gabinetto piastrellato. Narratore in carica: Adorno. Padron di casa: il torero Domingufn e poi molti ospiti - Cohn Bendit, Breznev, Lenin, Sharon Tate, Picasso, Moravia, Eco, i fratelli Marx, Onassis, nomi di risonanza planetaria negli anni Settanta - e maschere di tipi sociali, la ragazza hippie, il sociologo eccetera. Secondo quanto informa una didascalia, la luce di un riflettore alternativamente illumina Adorno e la gazzarra degli ospiti. Adorno, in piedi su una pedana, narra enfaticamente la storia della Ragione che, prima, con la Rivoluzione francese, è emblema di progresso, poi è emblema della conservazione, quando la borghesia al potere non intende più abbandonare la propria egemonia di classe. Il fascismo, in politica, e il surrealismo, in arte, non sono che l'altra faccia della medaglia, varianti contraffatte della ragione borghese, consentite dal potere. Via via che il riflettore abbandona la figura di Adorno e illumina invece la crescente gazzarra dei singolari ospiti, il discorso perde il suo à plomb filosofico, assume il tono intimo della conversazione, quasi una confessione, tanto che Sharon Tate non può fare a meno di osservare, a un certo punto: "Hai cominciato a parlare come un saggio e finisci parlando come un poeta; che strana scienza la tua!". E infatti Adorno riconosce: "Mi sono astenuto dai grandi ragionamenti perché svilivano la tenerezza della parola e continuo a dare nomi alle cose che mi spaventano, perché amo sopravvivere." E proprio a Sharon Tate poi ricorda: "Se avessi saputo il nome del tuo assassino! Sapere è difendersi." Certo, la vittoria è sempre già segnata e in ogni momento si può prevedere chi è il vincitore. Eppure ancora è necessario sapere. Adorno ne è convinto: "Come la vecchia dama che cerca amori con bravi sdegnosi, la borghesia si è messa seni di plastica e minigonne di latta. Senza dubbio morrà la vecchia dama ma avrà vissut? il tempo sufficiente per corrompere i suoi figli e i 'suoi avversari. E sicuro. Devo continuare a parlare e raccontare cosa è successo dopo il fascismo e dopo il surrealismo. In quale morte ha fine questa avventura. Ma non lo so. Possiedo soltanto movimenti di avvicinamento a quelle che credo verità suscettibili di essere proposte. E ancora dubito che si tratti di verità che servano a qualcosa. Non ci sono verità che non portino con sé il dolore, la morte e la sconfitta; e quando una verità trionfa vuol dire che comincia ad essere menzogna.L'unica verità è la lotta a morte per questa stessa verità, ma nella certezza della sua futura contraffazione, quale capacità di entusiasmo spetta chiedere a noi che abbiamo scoperto il trucco?". La farsa volge ormai alla fine e mentre Groucho Marx enuncia: "Ha volto il dolore, e nomi", Adorno conclude: "La ragione si è prostituita. Viva il sentimento". Adorno, maschera di Vazquez Montalban? Fatte salve tutte le mediazioni che impone il testo letterario, direi di sì. Alla luce della diagnosi pronunciata dal personaggio Adorno prende corpo con grande coerenza e chiarezza il percorso di Vazquez Montalban scrittore e intellettuale; un percorso che con fermezza e lucidità si muove lungo quella linea di resistenza individuata ventitré anni fa, saggiata in varie occasioni successivamente e riaffermata, oggi, in questo ultimo libro. Anche esso è generato infatti da quel lucido convincimento espresso un tempo dalla voce fuori campo di Adorno: "Non c'è altra stabile sapienza che l'evocazione di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato e la maschera del sorriso civilizzato per cadere da una cascata che non meritiamo, e che non merita neanche se stessa". In tutti questi anni Montalban non ha mai assunto il cipiglio dell "'apocalittico", ha preferito il sorriso civilizzato dell'"integrato": ha scritto per farsi leggere dal pubblico; ha dismesso il gergo e le pose dell'avanguardia e ha praticato i generi codificati, per esempio il romanzo giallo che sta proprio alla frontiera tra paraletteratura e letteratura tout-court (penso alla serie del detective Carvalho ); non ha rinunciato alla poesia (penso alla riedizione di tutte le sue poesie e a qualche rara novità), ma non ha avuto paura di collezionare anche libri di cucina e di canzoni. È stato insomma dentro la storia e il consumo. Dentro il consumo: i suoi libri sono stati fra i primi a lasciare i circuiti minoritari, a diventare dei best-sellers che hanno varcato le frontiere del mercato nazionale. Dentro la storia: sono libri di storia - in senso lato - anche i libri della serie Carvalho, perché ciò che si offre allo sguardo indagatore del detective Carvalho è verosimilmente ciò che accade nella realtà di tutti i giorni e di tutti i ceti. E poi Montalban è approdato al vero e proprio romanzo storico. Era tale Galfndez (Frassinelli, Milano 1990) e ora loè laAutobiog rafia del generai Franco (trad. it. lo, Franco, Frassinelli 1993, pp. 624, L. 32.500). In questo libro anzi si fa un passo in più e si sceglie di attraversare gli anni più scottanti della storia di Spagna del Novecento- la repubblica, la guerra civile, l'epoca franchistaper bocca del protagonista per eccellenza, il generale, poi caudillo di Spagna, Francisco Franco. Il modo adottato è massimamente veritiero e nel contempo massimamente romanzesco. Se volessimo valutare questo libro in quanto saggio di documentazione storica (che peraltro è profusa a piene mani), potremmo osservare, alla luce di un dibattito storiografico attuale,

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