Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

70 VEDERE,LEGGEREASCOLTARE. ILMODELLOWESTMINSTER. LARETORICADEIRIFORMATORI FedericoVarese In uno splendido libro di molti anni fa (Development Projects Observed, 1967) Albert Hirschman notava un fatto curioso circa il modo di ragionare dei funzionari della Banca Mondiale e più in generale degli economisti impegnati in progetti di sviluppo per il Terzo Mondo: la diffidenza verso la creatività. Essi approvavano e finanziavano quei progetti che sembravano non richiedere soluzioni particolarmente originali, rischiose ed inedite. II principio di fondo notato da Hirschman suggeri va che, Iungi dal cercare sfide, gli esseri umani si lanciano in nuove avventure poiché il compito prefissato sembra facile e di routine. Di più: se disponessero di una sfera magica in grado di prevedere accuratamente le difficoltà e le complicazioni a venire, si guarderebbero bene dal rischiare. Modificando appena una celebre frase di Marx, Hirschman scriveva che "gli esseri umani affrontano solo i problemi che credono di poter risolvere". Spesso accade che poi, una volta superate le difficoltà, i protagonisti si facciano belli agli occhi dei posteri affermando che essi avevano previsto tutto. Errori di valutazione sono all'origine di grandi imprese economiche, di rifmme politiche e progetti di sviluppo. II principio individuato da Hirschman si ritrova spesso nel dibattito politico di un paese, specie in tempi di riforme istituzionali. La retorica referendaria in Italia è uno di questi casi. In base ad una sua versione molto accreditata, l'adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe prodotto una democrazia all'inglese, il modello Westminster, come dicono i politologi. I riformatori_sono in genere consapevoli che il "pubblico" (governi, eletton, ...) teme la creatività e si affannano a sostenere che il loro progetto non è altro che l'applicazione di una "tecnica ampiament~ collaudata all'estero". Vi è un altro motivo, strategico, per ricorrere a questa forma di retorica. Facendo appello ad un esempio straniero e non a qualcosa di loro invenzione, i riformatori cercano di difendersi dall'accusa di trarre vantaggio dal nuovo sistema. Non vi è dubbio che tutti "facciano i loro conti" e optino poi per il sistema che corrisponde maggiormente ai loro interessi, ma in pubblico riescono ad essere più convincenti coloro che possono salire sulle spalle di un modello straniero. Tale modello ovviamente deve essere ritenuto di valore indiscusso. Ciò permette di metter a tacere (quasi) tutte le critiche. Non è un caso che la proposta, avanzata - mi pare - da Barbera, di adottare _inItalia una variante del sistema elettorale portoghese non abbia avuto molto successo. Le dotte argomentazioni del costituzionalista del Pds potevano poco di fronte all'immagine di un_paese caratterizzata, nell'immaginario medio, da povertà, spiagge a buon mercato e da uno scrittore piuttosto triste come Pessoa; tutti elementi estranei al mito della democrazia pe1fetta. Sarebbe errato irridere alla retorica dei riformatori. Come ricorda Hirschman, molte riforme non vedrebbero mai la luce se si conoscessero in anticipo tutti gli effetti non voluti o perversi dell'imitare un altro paese. Ad esempio, la prospettiva di avere Berlusconi Presidente del Consiglio potrebbe far rimpiangere a molti i bei tempi andati; eppure, una volta sciolti gli ormeggi, non ci resta che navigare con il nuovo sistema ed unire le forze per s~on_giur~e l'a_vverarsi di questa malaugurata sciagura. È possibile mfattl che il motore primo che spingerà le forze di sinistra ad u?irsi nella prossima competizione elettorale sia proprio lo spettro d1 un paese governato dalla triade Bossi-Segni-Berlusconi e si mettano in soffitta, almeno momentaneamente, le divisioni che attraversano la sinistra. In un libro che sarà pubblicato tra poco da Einaudi (La mafia siciliana. Un'industria dellaprotezione privata, pp. 462, L. 16.000), D. Gambetta utilizza il concetto della pseudo-imitazione per dar conto del processo riformatore che ha attraversato l'Italia dei primi anni Novanta. Il volume è anche un'occasione per verificare alcuni elementi del mito dell'Inghilterra sulla cultura politica italiana. 1 Il modello Westminsterè infatti una versione idealizzata della realtà. In tale versione, il conflitto politico è giocato tutto sull'asse destra-sinistra, tra chi vuole più Stato e più tasse e chi vuole l'esatto contrario. I contrasti religiosi, territoriali, o postmaterialisti (come le tematiche ambientali) non hanno grande incidenza. La società è omogenea e la dimensione socio-economica è la sola che divide l'elettorato.• Questa immagine idealizzata del sistema politico inglese ovviamente non corrisponde alla realtà. La dimensione religiosa è molto importante nell'Irlanda del Nord, mentre i partiti scozzese e gallese sono una realtà politica rilevante.Una tale constatazione, anche s~ assente dalla retorica referendaria, non deve comunque scoraggiare. Dovrebbe anzi servire a dimostrare che un sistema elettorale maggioritario è in grado di operare anche laddove non vi è in gioco un'unica dimensione del conflitto politico. Motivi di maggior sconforto vengono da un'altra, sostanziale d_ifferenza,ricordata da Gambetta, cui l'adozione di questo o quel sistema elettorale non può sopperire. La competizione politica inglese è delimitata da accordi inter-partitici su alcuni punti cardine della politica estera ed interna; tali accordi investono, ad ~sempio, la collocazione internazionale del paese; il rifiuto di ogni indulgenza verso il terrorismo; il rispetto per i diritti civili; l'integrità nazionale. Chi non accetta questi accordi viene emarginato dal dibattito politico, come sanno bene le frange secessioniste dei partiti gallese e scozzese e i rappresentanti del Sinn Fein. In Italia non uno di questi accordi ha retto. Vale la pena di ricordarli, per sommi capi. 1) La convention anti-fascista è stata violata diverse volte, sottobanco, da Andreotti e da vari governi democristiani, poi platealmente da Craxi. 2) La "fermezza" antiterrorista è stata infranta apertamente dal Psi, mentre la Dc ha adottato la fermezza a "giorni alterni". 3) La Dc si è alleata stabilmente con la Mafia in Sicilia ed è venuta a patti con la C~morra, impegnando alcuni dei suoi boss di maggior peso. 4) II Pc1per lungo tempo non ha accettato la collocazione internazionale dell'Italia. 5) La Lega è nata mettendo in dubbio l'integrità nazionale. Non uno dei patti che avrebbero dovuto fondare i limiti della competizione tra partiti è stato rispettato. Forse, è giunto il momento di riconoscere che per ri-fondare la democrazia in Italia si deve partire proprio da qui: ma la classe dirigente e oli "uomini . b nuovi" saranno mai in grado di stipulare un patto anche minimo, in nome di pochi, fondamentali valori collettivi? L'appoggio del "liberal-democratico" Berlusconi ai neo-fascisti romani offre oià · una eloquente risposta. 0 l) Di questo tema si è occupato, in prospettiva storica, F. Cammano, Il modello politico britannico nella cultura del moderatismo italiano di fine secolo, in R. Camun·i (a c. di), La Scienza Moderata (Milano 1992).

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