Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

VEDERE, llGGERE,ASCOLTARE Debenedetti). Il flusso naturale e veloce che anima lo stile del Diable au corps è parente stretto di quello che governa le tante confessioni dei personaggi soldatiani, e la "suspense retrospettiva", che Garboli ha indicato fra i congegni narrativi prediletti da Soldati, è all'opera anche qui. Del resto, quando in una lecture londinese del 1982 deve dare una definizione di stile, ne sceglie una di Cocteau: "Le style, c 'est de chercher, de tiìcher, de ne pas avoir un - mais sans y parvenir". La scelta di una scrittura in grado di dialogare con le cameriere mi pare però sia ugualmente il prodotto di una consapevolezza vivace di quali sono le dinamiche di un moderno sistema letterario di massa, come quello che andava delineandosi nell'Italia a cavaliere tra gli anni Venti e Trenta. E, dunque, anche di un'attenzione intelligente ai moduli di una scrittura di consumo in fase di trasformazione, in cui a Pittigrilli si affiancano Liala e i gialli angloamericani. Un genere di attenzione che il viaggio negli Stati Uniti e l'esperienza cinematografica contribuiscono a precisare. I film di serie americani sono "sciocchi. Ma sceneggiati con astuzia, montati con sincero senso musicale": severità di giudizio ma non certo preclusione preconcetta, questa la chiave del suo modo di leggere la produzione "ordinaria". Una produzione "di gusto" e non di "arte"; che non rivela "personalità", ma che può raggiungere "l'intensità, la brevità, l'apparente noncuranza dell'arte classica", perché l'artigianato non è arte ma è decisivo per le sorti dell'arte e può insegnarle più di una cosa. Di fronte alla situazione di doppio mercato in cui versa la narrativa italiana degli anni Trenta - una letteratura colta per una élite ristretta (di cui fanno parte non solo i prosatori d'arte, ma anche i narratori nuovi che lavorano sul romanzo in direzione realistica) e una letteratura di consumo per il pubblico di massa-Soldati pare uno dei pochi scrittori che non accetta una netta divisione dei lettori e cerca di fare letteratura alta per un ampio pubblico. Il suo cammino sul crinale che separa narrativa colta e narrativa media prosegue con esiti di sovente felici, dall'esordio fino agli anni Cinquanta; poi non riesce del tutto a evitare il pericolo per lui preconizzato da Cecchi nel 1951 "di diventare, come avviene a molti, un fabbricante, un industriale della propria materia letteraria". Emblematico della sua abilità a coniugare alto e basso è già il divertissement serio di La verità sul caso Motta, in cui la struttura gialla (già contaminata con quella del racconto surrealista) si combina con un gioco sperimentalistico che rende indecifrabile la fisionomia della voce narrante (il racconto dell'avventura di Gino Motta, informa lo zelante editore, è stato raccolto e glossato da Francesco Pallavera - scrittore-scienziato, compagno di manicomio del Motta -e infine rielaborato e completato dal "giornalista Mario Soldati"). E le storie del trittico A cena col commendatore non hanno in fondo anch'esse in qualche modo la sagoma di detections, con tanto di veri oggetti-indizio - una fotografia, un paio di gemelli, un quadro - che stimolano e indirizzano la curiosità del narratore? "Molte volte io cerco l'inconsapevole, e ogni romanzo, ogni racconto è scritto per capire cosa c'è sotto. Non lo so mai bene, è qualcosa che mi viene dal profondo": di fatto romanzi e racconti di Soldati non sono mai risposte, sono _piùche altro sceneggiature, rappresentazioni di quel "qualcosa". L'atto narrativo più che ricerca di una risposta è il pretesto per rivere, riassaporare, un'esperienza. I libri, ha scritto in America primo amore, sono "strumenti per guardare a fondo la vita, mezzo per vivere di più": in modo eloquente il gesto di analisi si trasforma in occasione di potenziamento vitale. È questo, mi pare, quel che succede tanto nei racconti dei personaggi così diffusi nella sua opera, quanto nel singolo racconto o romanzo preso nel suo insieme. Le confessioni non spiegano: descrivono, svelano, ma non chiariscono mai fino in fondo le situazioni psicologiche di cui parlano, del resto "quando ci si spiega il mistero questo non ha già più lo stesso fascino di prima, quando si ignorava. Chissà se è più bello ignorare o conoscere, sapere?". E Soldati, va da sé, preferisce la condizione intermedia di una consapevolezza relativa, che soddisfi la curiosità di sapere, ma senza impedire il gioco dei possibili psicologici. In queste "avventure" nell' interiorità, come in tutte le avventure, l'interesse del racconto non sta nella conclusione, ma nel tragitto. La chiarezza espressiva della prosa soldatiana, da questo punto di vista, non è solamente legata all'intenzione di rivolgersi a un uditorio numeroso, serve altrettanto per ottenere un coinvolgimento più diretto - mi verrebbe da dire più disarmato - del lettore nelle vicende narrate. Il fascino più autentico della sua narrativa migliore è nella capacità di coniugare divertimento e suggestività. Soldati è uno dei pochi scrittori italiani che sappiano rappresentare le inquietudini interiori garantendo al proprio lettore una lettura briosa e in buona misura serena. È possibile grazie a una serie di soluzioni che configurano un trattamento, per così dire, spettacolare della psicologia. Con il ricorso a una impostazione fortemente dinamica certo, ma anche grazie a un'abile tecnica di avvicinamento-allontanamento di chi legge dalla materia narrata. Pressoché tutte le storie di Soldati trattano di casi eccezionali, situazioni insolite, figure bizzarre: il lettore può dunque rassicurarsi, nella pagina non si parla di lui (un'analoga funzione distanziante, congiunta peraltro a una patina di snobismo spesso avvertibile e a volte irritante, viene ad avere la scelta di personaggi altoborghesi). Nel contempo il contenuto emotivo del racconto, gli intrichi sentimentali che la scrittura mette in scena, non sono affatto estranei all'esperienza psicologica dell'individuo medio, magari tenuti nella penombra, lontani dallo spazio della coscienza, ma non certo sconosciuti. E i suoi romanzi, lo si è detto, non vogliono dissolvere quella penombra: al lettore è insomma consentito decidere quanto farsi coinvolgere nell' avventura cui è chiamato a partecipare, quanto sentirsene spettatore e quanto attore. A facilitare questa sorta di coinvolgimento variabile vale naturalmente quella fiducia nella vita di cui la critica ha spesso parlato come di uno dei tratti più certi della visione del mondo di Soldati. Per quanto il disagio esistenziale insidi dappresso i suoi eroi e li spinga a frequenti fughe dalla propria identità, mi pare che il loro rifiuto dei ruoli non sia radicale. Radicato, ricorrente sì, ma le loro vicende di metamorfosi e trasgressione (anche in Salmace) si chi udono spesso se non su un vero e proprio reinserimento, almeno su una riconciliazione. A fianco dell'istintiva, quasi religiosa, fiducia nella vita, c'è, direi, una disposizione a una convivenza, seppure nervosa e ribelle, con la contemporanea società borghese. Qui si definiscono qualità e limiti di una scrittura, capace di risultati senza dubbio notevoli (come quelli di Salmace o della Giacca verde che Rizzoli ha appena riportato in libreria), ma alla quale non si deve chiedere quello che non può dare: la sua forza più vera è di tipo emotivo, assai meno di tipo conoscitivo. Leggendo il Soldati migliore a tratti viene in mente Robert Walser, ma si tratta di unWalser un po' addomesticato, parzialmente integrato, in libera uscita domenicale.

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