Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

68 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE giurandole che non ero mai stato con una donna, che non avevo fatto niente e che ero ancora puro". Immagini di femminilità materna, spesso fantasticamente deformate e rivestite da coloriture emotive contrastanti, non sono inconsuete nella sua prosa. Si veda, ancora in La verità sul caso Motta, l'"enorme sirena" ("Pareva una mamma addormentata, fra un popolo di bambini addormentati") di fronte alla quale il protagonista viene portato, concretizzazione emblematica delle pulsioni ambivalenti che personaggi e narratori soldatiani manifestano per questo tipo di donna. La sua bocca che inghiotte "voracemente, velocemente" il cibo offertole è "piccola, dura, sprezzante"; scruta la folla dei sudditi - le sirene e il piccolo popolo di quelli che crediamo annegati: naufraghi, trasvolatori, palombari -"come la massaia studia la stia gremita, cercando il pollo da uccidere"; eppure al "povero avvocato" prende un desiderio irresistibile di sprofondare nell'immenso seno di lei, tanto da rivolgerle una preghiera buffa e patetica, nonché naturalmente vana ("Che io sia toccato dalla tua onnipotente mano. Che io affondi nella molle immensità della tua carne. O Signora! O regina! Prendimi!"). Logico dunque che, come ha notato Cecchi, il tipo matronale di donna prediletto da Soldati si iscriva nella famiglia di questa femminilità soverchiante e protettiva. Tutto ciò per dire forse qualcosa di ovvio: che proprio in questo intreccio complicato d'attrazione e rifiuto verso la figura materna nasce l'impulso primo (o almeno uno degli impulsi primi) verso quell'inquietudine relazionale che costituisce il fulcro e lo charme principale del suo mondo narrativo. Come il rapporto madre-figlio, ogni rapporto interpersonale difficilmente mostra un assetto stabile, risolto: le relazioni non solo hanno dinamiche ascendenti e discendenti - sintonie e attriti, dolori e felicità -, ma gli sembrano continuamente disponibili a scarti laterali, a salti di genere: le storie che gli piacciono sono storie di padri che diventano amanti della moglie del figlio, di figlie che aspirano a farsi amanti dell' amante del padre (Mio figlio e Concerto, in Salmace), di timpanisti che si fingono grandi musicisti (La giacca verde). In questo mondo di rapporti di cui si studiano fluidità e reversibilità, le vite dei personaggi e narratori soldatiani sono in gran parte fughe dalla noia (monotonia dell'abbondanza altoborghese, grigia frustrazione piccolo borghese) verso un'esistenza più vitale che è loro dato di toccare solo per poco. La ripetizione - ci dice spesso Soldati - è inerente a qualsiasi ruolo determinato, relazione fissa: in Mio figlio, la giovane amante, moglie sottratta al figlio, diventa rapidamente un peso e la sua morte è accolta come una liberazione, e, in La verità sul caso Motta, la stessa vita con una sirena dopo l'entusiasmo iniziale si irrigidisce in una sorta di tran-tran similconiugale in cui si finisce per guardarsi "con odio, con tedio". La sconfitta della noia, l'aumento di vitalità, nelle sue pagine ha due facce, una serena l'altra intensa: un'esperienza di felicità o un'esperienza di piacere si potrebbe dire. La felicità può essere quella di una piena sintonia con il mondo circostante. Sono istanti in cui l'individuo pare sul punto di perdersi armoniosamente in una realtà più grande di lui: la natura (ecco il senso dei paesaggi luminosi e limpidi che costellano un libro di interiorità e interni come Salmace), o la folla, per esempio nel viaggio americano, quando Soldati cammina a Times Square "godendo di essere folla nella folla, uomini con uomini, tutti occhi, tutti orecchi, dimentichi ciascuno del proprio piccolo o grande passato, e quasi ebbri di .,. ........... - ,...-..11..-1,,,...._.,,.__ umanità". Affine a questa felicità è la felicità della fuga dalla propria identità tipica delle "metamorfosi" dei suoi personaggi, un piacere della scoperta e insieme della leggerezza, fondato su una sorta di trascrizione borghese del mito di un'infanzia edenica dove tutte le possibilità sono aperte e l'individuo vive sganciato da ogni responsabilità. Ma in Soldati il piacere ha anche una faccia più cupa: "non si può separare dall'opera di Soldati il sadomasochismo" come ha detto più che bene Garboli, esperienza del sesso, del male e del piacere sono mescolate inestricabilmente. È un piacere colpevole e complicato. La spinta dell'individuo all'evasione dal proprio ruolo non si traduce qui in una fuga dalla memoria personale e sociale, in una sorta di piccolo annullamento panico un po' fogazzariano. La rete dei rapporti affettivi e sociali non viene dissolta, piuttosto viene a complicarsi con nuove maglie che si intrecciano sulle precedenti. È un piacere sofferto, di intensificazione: i nuovi legami non cancellano né superano i vecchi, ma vi si sovrappongono. In La finestra il narratorecommendatore ritrova l'amica Twinkle per la quale prova ancora, come reso diafano dal tempo e pur presente, l'amore che la donna non ha mai ricambiato e viene coinvolto invece nella ricercadell' antico amante di lei - il pittore Gino Petrucci - che l'aveva abbandonata d'improvviso, senza una parola, per la poco convenzionale via della finestra del titolo. La storia prosegue con i personaggi che sembrano spinti dalla volontà di avviluppare sempre più i fili che li legano e li hanno legati: "Ed era Twinkle stessa che aveva capito che io non avevo capito [la profondità del sentimento verso il pittore], e aveva bisogno, ormai, nella sua solitudine, dell'estremo conforto di una confidenza. Questo amore, che era perduto, che quasi per la incredibile evasità, oggi, del suo oggetto, non sembrava più vero, voleva essa stessa che io lo conoscessi, quanto vero, quanto corporeo era stato. E se io ne soffrivo, tanto meglio. La mia pena, almeno sarebbe stata una tarda riprova di quella lontana, così lontana che sconfinava nell'irreale, realtà" (in Opere, II, cit.). E se il segno narrativo di questo piacere d'intrico è l'alternarsi e sovrapporsi di confessioni e silenzi complici che è tanta parte degli intrecci soldatiani, la marca stilistica ne è l'indugio analitico sui corpi, e sulle percezioni sensoriali (tattili, olfattive, uditive) di quei corpi, che la scrittura scompone quasi con voluttà. 3. "Cerco di fare sì che quello che scrivo lo possa capire la cameriera, e se quella non capisce mi secca"; chi scrive deve inseguire la parola "più facile" ma insieme la "più esatta"; i valori primi della scrittura sono "chiarezza e semplicità": queste le risposte di Soldati alle domande di Lajolo sullo stile. La sua scelta di una limpidezza sensibile e scorrevole come ideale di scrittura ha indubbiamente una matrice ottocentesca: i minori piemontesi del secolo scorso - D'Azeglio, Balbo, anche Botta - che "hanno saputo usare la lingua in modo straordinario"; sono di nuovo le tracce della breve esperienza della "Libra"); ma ha, direi, anche una doppia ragione novecentesca. Il paradigma di una scrittura di indagine psicologica capace "di trasporre in forme limpidissime e senza esitazione, certe storie di sviluppi interiori che, per loro natura, procedono a traverso titubanze, ripiegamenti scontrosi, oscurità" gli viene offerto dalla contemporanea narrativa transalpina: Gide, Cocteau, Radiguet (al quale si riferivano queste parole di

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