Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

MESSICO 5 RIVOLTA IN MESSICO TRAGLIINDIOSDELCHIAPAS JoaquinSokolowicz È qualcosa di nuovo nella storia moderna dell'America Latina. Nuovo e importante, quali che siano gli sviluppi futuri della situazione scatenata, se non altro perché rappresenta già un simbolo per regioni anche distanti dal Sud messicano ma pur sempre appartenenti a quella vasta parte di terzo mondo che si trova nell'emisfero occidentale. Nel Chiapas sono esplose tutte insieme le bombe, piazzate da lunga data o introdotte recentemente, su cui si adagiavano le illusioni di una stabilità raggiunta o ricercata nell'insieme dei paesi situati tra il Rfo Grande e la Temi del Fuoco. La grande maggioranza degli abitanti vi sopravvive in condizioni di sottosviluppo mentre i provvedimenti governativi di macroeconomia non guariscono le malattie mortali tra loro diffuse né aggiungono qualcosa al poco che hanno da mangiare, politiche liberistiche e di difesa della moneta, le quali si assicura che produrranno benefici per tutti ma chissà quando, sistemi di governo basati sulla spartizione del potere tra piccole minoranze, sussistenza di sterminati latifondi in faccia a milioni di senzaterra, indios che ovunque occupano il gradino più basso della struttura sociale e subiscono in ogni aspetto della loro esistenza le discriminazioni dei rappresentanti dello Stato e di tutti gli altri settori del paese. Diverse circostanze fanno apparire come una novità quel che è successo nello Stato più povero del Messico. Salta innanzitutto alla vista il grado di preparazione militare dell'EZLN, l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i cui reparti sono rimasti in piedi nonostante i massicci bombardamenti aerei e gli attacchi dell'artiglieria di terra; stando a fonti giornalistiche attendibili, i ribelli rimasti uccisi nei pur intensi combattimenti sono meno di un centinaio. Restano - si calcola - tra 2.000 e 4.000. A dispetto dell'inseguimento di migliaia di soldati equipaggiati a dovere, gli zapatisti, ritiratisi da città e villaggi occupati nella fase iniziale, sono riusciti a rifugiarsi soprattutto nell'impenetrabile selva Locandona, al confine con il Guatemala. Possono quindi sferrare altre offensive in futuro, certo con i conseguenti bagni di sangue: il Chiapas è ora una regione militarizzata, con numerose nuove guarnigioni stabilite dal governo. A giudicare dal livello organizzativo e tattico dimostrato, l'EZLN dovrebbe aver addestrato i suoi uomini - pensano gli esperti - da circa dieci anni. Ecco un'altra novità, che si aggiunge alla sorpresa di aver saputo solo poche settimane fa (noi e anche le autorità messicane!) dell' esistenza di questa milizia: mai in passato nessun'altra organizzazione latinoamericana di guerriglia si era preparata così a lungo prima di uscire allo scoperto. Il presidente della repubblica, Carlo Salinas de Gortari, ha capito presto che sconfiggere gli zapatisti sul terreno militare avrebbe richiesto il pagamento di un prezzo troppo alto. Ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale e imboccato la via della trattativa, riconoscendo il nemico come "parte belligerante", cioè interlocutore di pari dignità. E anche questo successo ottenuto in tempi così brevi da un movimento ribelle latinoamericano rappresenta una novità. È difficile immaginare quale compromesso politico di largo respiro possa sfociare dai negoziati in corso mentre scriviamo. Evidentemente un'organizzazione che ci ha messo tanti anni e sforzi per essere pronta alla guerra non lascia la clandestinità perché il presidente ha fatto approvare in fretta dal Parlamento alcuni provvedimenti assistenziali per tamponare la drammatica situazione dei contadini meridionali; lo può fare in cambio di una contropartita che soddisfi la sua ragion d'essere. D'altra parte il governo certamente non si ritirerà dal Nafta, il Trattato di Libero Scambio con Stati Uniti e Canada la cui entrata in vigore, il primo gennaio, è stata presa come spunto dall'EZLN per dare inizio alla rivolta. Né rinnegherà gli impegni assunti con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che hanno consentito di bloccare l'inflazione e di rinegoziare il debito estero; sarebbe come seppellire i risultati dell'intera gestione di Salinas, che è alla fine del suo mandato, e legherebbe fin da adesso lemani al suo successore, sicuramente quel Luis Donaldo Colonio che è stato scelto dal presidente in carica come candidato del partito governativo proprio perché sostenitore acceso della sua politica economica. Anzi è probabile che la scelta di ricercare una pace negoziata con i protagonisti della rivolta obbedisca alla volontà di evitare una fase lunga di violenza destabilizzante, che comprometterebbe quanto fin qui ottenuto dalle autorità in economia sul piano internazionale. E allora? Non risulta che il movimento zapatista voglia partecipare al potere per condizionare la politica socioeconomica del governo; né alcun suo documento pubblico afferma che alla conquista del potere punti con la lotta armata, come sempre fatto dalle organizzazioni guerrigliere nel continente. Non chiarisce le cose la richiesta di "libere elezioni": può forse ottenere il governo, ammesso che lo volesse, se non in minima parte, che le consultazioni formalmente libere svolte con regolarità nel paese non siano inquinate e stravolte dalle frodi e dalla corruzione clientelare? Il Messico è retto da un sistema nato nel clima postrivoluzionario degli anni Venti. Democrazia imperfetta o perfetta dittatura di un partito. Da 65 anni governa ininterrottamente il PRI (Partito rivoluzionario istituzionale), che controlla le leve fondamentali del potere e anche le grandi organizzazioni nazionali come la federazione sindacale e l'associazione dei contadini. Il capo dello stato governa per sei anni quasi con le prerogative di un monarca. Sistema generalmente considerato di democrazia, siapure imperfetta, perché la Costituzione impone un termine all'esercizio asso!utistico del potere: il presidente non può essere mai più rieletto; la dinastia di fatto ammessa è quella del partito. Non è poi privo di significato, se si fa il confronto con il resto del!' America Latina il fatto che da parecchi anni i militari messicani siano tenuti fuori daÌle sfere governative. Ora, il PRI è, più che un partito politico, una macchina per gestire il potere sulla base di equilibri interni di ripartizione di fette di controllo in un conglomerato di correnti, sottocorrenti, signori di provincia, corporazioni. Che per governare si serve di una burocrazia smisurata, insensibile ai problemi reali

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