56 SCIENZA messo in evidenza, non conosco nessun singolo caso in cui I' obiettivo della selezione sia un unico gene e non un individuo. La ragione principale per cui così tanti genetisti hanno adottato il gene come obiettivo della selezione, erachequestofacilitava i loro calcoli. Tale errata formulazione trascurava il fatto che il valore selettivo di un gene può dipendere in misura assai rilevante dal suo background genetico (il genotipo totale). Accettare l'individuo piuttosto che il gene come obiettivo della selezione presenta l'ulteriore vantaggio di essere coerenti con l'intuizione che la ricombinazione è di gran lunga più significativa della mutazione nel cambiamento evoluzionistico da unagenerazione all'altra. È la ricombinazione genica, per lo meno negli organismi superiori, a produrre il materiale su cui lavora la selezione naturale. I nuovi individui prodotti ad ogni generazione da una nuova ricombinazione costituiscono gli obiettivi della selezione; essi rappresentano il vero materiale della selezione naturale. Sapere che è l'organismo nel suo complesso l'obiettivo della selezione, polarizza l'attenzione sulla considerevole differenza tra procarioti unicellulari e organismi superiori multicellulari altamente complessi. In questi ultimi, a causa del lento passaggio da una generazione all'altra, sarebbe assolutamente improbabile che lamutazione adatta si verifichi sempre in modo da fronteggiare una sfida ambientale appena creatasi. È la ricombinazione che dà loro la necessaria variabilità e flessibilità genetica. La scoperta di Jukes, Kimura e altri dell'alta frequenza delle sostituzioni di coppie di basi neutre o quasi-neutre, ha suscitato una notevole costernazione tra coloro che definivano l'evoluzione come un cambiamento nelle frequenze geniche. "Come potrebbe la selezione favorire le mutazioni neutre?", si chiedevano. Tale interrogativo si risolve immediatamente se si comprende che è l'individuo nel suo complesso-e il suo genotipo nel complesso - il vero obiettivo della selezione. Se è l'individuo nel suo complesso a essere favorito dalla selezione, non ha importanza quanti cambiamenti neutri o perfino leggermente nocivi può portare con sé. Non c'è alcun mistero nel!' evoluzione neutra e quest'ultima non è affatto in conflitto con la teoria darwiniana. La nuova concezione tuttavia pone un interrogativo ancora più difficile. È il problema dell'organizzazione del genotipo. Ritornerò su questo punto quando parlerò della biologia molecolare. Per ora mi Limiteròa ricordare che l'importanza delle interazioni epistatiche nel genotipo appare evidente non appena si adotta il concetto dell'individuo nel suo intero come obiettivo della selezione. Inoltre è diventato ormai chiaro che non possiamo più trattare tutti i geni e tutte le loro componenti come se avessero identica importanza evolutiva. Gli esoni, gli introni, le catene laterali, i promotori, i geni regolatori, i trasposoni e qualsiasi altro tipo di gene o componente genica esista, tutti possono differire l'uno dall'altro in quanto a significato evolutivo. Non possiamo più fondare tutte le nostre conclusioni su un singolo tipo di questi geni, per esempio sui geni enzimatici come quelli studiati con l'elettroforesi. A mio parere lo studio dei rispettivi ruoli evolutivi di queste diverse categorie di geni è una delle grandi frontiere aperte della biologia evoluzionistica. Sono sicuro che una comprensione delle differenze del ruolo evolutivo dei vari tipi di geni e componenti geniche aiuteranno a rispondere a molti degli interrogativi ancora aperti in questo campo. Vi sono molte scoperte empiriche, soprattutto nello studio della macroevoluzione, come per esempio la straordinaria stabilità, se non addirittura inerzia, di certe linee evolutive, per le quali, fino ad ora, non si è trovata una spiegazione convincente. Uno studio sul ruolo dei diversi tipi di gene può forse dirci perché durante le speciazioni peripatriche sono possibili drastiche riorganizzazioni geniche che sono apparentemente rare, se non impossibili, in altre condizioni. Sicuramente tali fenomeni non sono di grande rilevanza nello studio di singoli gruppi di geni o nei cambiamenti adattivi secondari che avvengono nel tempo in una successione di popolazioni. Questi interrogativi, tuttavia, sono di fondamentale importanza nella soluzione dei problemi di macroevoluzione che esporrò nel seguito. Due tipi di selezione In realtà, come è risultato evidente negli ultimi 15 anni, vi sono due tipi di selezione; forse si potrebbe anche dire che vi sono due tipi di proprietà per le quali vi è un incentivo alla selezione. Esse erano già state riconosciute e distinte da Darwin con i termini di selezione naturale e selezione sessuale. Per selezione naturale si intende qualunque cosa incoraggi la sopravvivenza, sia che si tratti di un aumento o di una riduzione delle dimensioni corporee, di un' espansione della nicchia o di una sua più efficace utilizzazione, di una migliore protezione nei confronti dell'ambiente o di una maggiore sopportazione di condizioni ambientali estreme, di una superiore abilità nel fronteggiare le malattie o nello sfuggire ai nemici, in breve, tutto ciò che permette di raggiungere una maggiore efficienza ecologico-fisiologica, cioè di risparmiare energia. Ogni individuo favorito da tale selezione sarebbe in grado di fornire genotipi ai gruppi di geni che sono adatti a diffondersi nelle generazioni successive e, in tal modo, di accrescere l'adattabilità dellapopolazione nel suo insieme. Darwin, tuttavia, comprese anche - molto più chiaramente di ogni altro suo contemporaneo-che non tutta la selezione conduce ad una accresciuta capacità di adattamento. Un individuo può trasmettere più geni alla generazione seguente, non attraverso l'efficienza fisiologica o qualsiasi altra componente di vitalità, ma, semplicemente, con una maggiore capacità di proliferare. Darwin chiamò selezione sessuale questo tipo di selezione. Il fenomeno della selezione sessuale è stato ignorato dagli evoluzionisti per 100 anni, sebbene Darwin avesse dedicato a ques_toargomento quasi due terzi del testo della sua opera L'origine dell'uomo ( 1871). Attualmente è questa componente della selezione che viene studiata forse più intensamente. La selezione per il successo riproduttivo non riguarda soltanto la competizione tra maschi o la scelta del maschio ottimale per le femmine, ma tutti gli altri fenomeni, quali il conflitto generazionale, larivalitàe numerosi altri fenomeni studiati nella contemporanea letteratura comportamentale-ecologica. L'attuale grande interesse nei confronti della selezione per il successo riproduttivo e dei comportamenti e meccanismi che tendono a favorire tale successo è, senza dubbio, uno dei pochi importanti progressi nella biologia evoluzionistica del dopo sintesi. In passato mi sono riferito alla selezione per il successo riproduttivo come ad "una vulnerabilità nella corazza" della selezione naturale. Fino ad un certo punto ciò è effettivamente vero, perché tale selezione molto spesso riduce la generale tendenza alla sopravvivenza di quegli individui (e della loro discendenza) che sono favoriti da tale selezione. Non sappiamo se ciò abbia contribuito al declino e perfino all'estinzione di certe specie, ma la cosa è certamente probabile. Variazione Si sente molto parlare della produzione della variazione genetica e delle sue disponibilità per la selezione naturale. Forse dovrei accennare a due equivoci diffusi tra gli oppositori del darwinismo. Il primo è la convinzione che la variazione possa produrre qualunque cosa. In realtà la variazione è estremamente limitata entro un dato taxon. Già Cuvier fece notare che non si troverà mai un carnivoro con le corna. Weismann ha insistito nel ribadire quanto sia limitato il tipo di variazione possibile per un dato gruppo di organismi. Gli esperti di genetica hanno ampiamente dimostrato
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