Ma questo non è tutto! Ancor oggi, molti di que]lj che si occupano di evoluzione non comprendono che esistono tre concetti di evoluzione completamente diversi, di fatto incompatibili. 1) Evoluzione saltazionale. Ipotizza cambiamenti dovuti all'improvvisa produzione di nuovi tipi; è il solo tipo di evoluzione concepibile per un essenzialista. 2) Evoluzione trasformazionale. Secondo questa concezione, chiaramente formulata da Lamarck, l'evoluzione consiste nella graduale trasformazione di una cosa da una condizione di esistenza a un'altra. È il solo tipo di evoluzione che si riscontra nella natura inanimata, per esempio in cosmologia, ed è questo tipo di evoluzione che viene studiato dai biologi dello sviluppo quando studiano l'ontogenesi di un essere vivente dallo stadio embrionale a quello adulto. È piuttosto significativo il fatto che in tedesco la stessa parola Entwicklung (evoluzione) venga utilizzata sia per l'evoluzione organica, sia per l'ontogenesi. È lo scorretto trasferimento di questo concetto di evoluzione trasformazionale dall'ontogenesi all'evoluzione organica il principale responsabile de!Jaduratura opposizione al darwinismo dei biologi dello sviluppo. 3) Evoluzione variazionale. Come ha messo in evidenza Lewontin, Darwin ha introdotto un concetto completamente nuovo di evoluzione. Secondo tale concetto, "gruppi di geni" (come si direbbe ora) vengono prodotti in ogni nuova generazione e l 'evoluzione ha luogo perché gli individui prodotti da questi gruppi di geni, che hanno successo, danno origine alla generazione successiva. Perciò, per così dire, si ricomincia daccapo ad ogni generazione. L'evoluzione è perciò solo contingente in alcuni dei processi analizzati da Darwin: la variazione e la selezione. Un'evoluzione di questo tipo non è necessariamente progressiva; non tende né alla peifezione né verso qualsiasi altra meta; è opportunistica e, perciò, imprevedibile. L'evoluzione darwiniana non è un processo unitario, ma è costituita da due tipi di processo: l'origine della diversità e l'origine dell'adattamento. In questa sede non mi occuperò molto dell'evoluzione della diversità, che riguarda la moltiplicazione delle specie, la selezione delle specie, la teoria degli equilibri puntuati e alcuni aspetti della macroevoluzione. Se si vuole studiare l'origine della diversità è necessario adottare un modo di pensare multidimensionale e un modo di pensare in termini di popolazione. L'interesse per l'origine della diversità era praticamente assente tra gli studiosi di genetica della popolazione in termini matematici e fu introdotto nella teoria sintetica dai naturalisti e da quei genetisti che, come Chetverikov e Dobzhansky, si erano formati come naturalisti. La prevalenza dell'adattamento costituì vaper i teleologi l'aspetto più cospicuo della natura vivente. Essi potevano spiegarlo solo postulando il disegno di un'intelligenza creatrice. La grande conquista di Darwin è stata di riuscire a spiegare in termini materialistici, cioè senza ricorrere a forze soprannaturali, l'adattamento. Egli sosteneva che l'adattamento poteva essere spiegato soltanto come risultato della selezione naturale, anche se poi si comprese, in particolare dopo la sintesi evoluzionistica, che tutti i fenomeni casuali e tutti i processi stocastici contribuiscono ai mutamenti evolutivi. La selezione naturale L'intuizione fondamentale di Darwin è stata l'incredibile fertilità della maggior parte degli organismi, che producono centinaia, migliaia e persino milioni di nuovi esemplari, mentre, in media, soltanto due di essi sono necessari per continuare la popolazione. SCIENZA55 Nel modello di Darwin non vi è una componente finalistica che condurrebbe alla peifezione; i due esemplari che sopravvivono non sono in alcun modo eletti teleologicamente alla sopravvivenza. Il processo di selezione è, in teoria, un processo di ottimizzazione, ma, a causa della sua natura probabilistica, dei suoi ]jmiti e della frequenza dei processi stocastici, non può raggiungere l'ottimalità. Darwin non comprese mai la natura e l'origine della variabilità genetica. Si limitò ad accettare la sua diffusione universale a "scatola chiusa". Dopo che i genetisti ebbero spiegato i problemi della variabilità, la produzione di variabilità è diventata per noi un'importante componente del processo di selezione naturale. In effetti la comprensione della selezione naturale risulta notevolmente facilitata se si afferma che si tratta di un processo in due fasi, la prima consistente nella produzione della variabilità genetica e la seconda riguardante il diverso tipo di sopravvivenza di questa varietà, cioè la selezione in senso stretto. Il concetto di selezione naturale in due fasi aiuta, inoltre, a chiarire il rapporto tra adattamento e selezione. Alcuni autori moderni non condividono l'affermazione secondo la quale ogni tipo di adattamento è dovuto alla selezione naturale. Ciò che essi in realtà criticano è il concetto teleologico di selezione naturale, vista come un processo tendente all'adattamento. Ma sono convinto che tutti noi abbiamo rifiutato tale interpretazione teleologica. Qualsiasi variazione prodotta nel corso della prima fase della selezione naturale, che non sia preadattata, probabilmente non verrà selezionata nella seconda fase. Perciò ogni variante, a prescindere dal suo potenziale adattativo, deve passare attraverso il setaccio della seconda fase prima di essere permanentemente inserita nel genoma della popolazione. In questo senso va compresa la formula "ogni adattamento è dovuto alla selezione naturale". La selezione nel suo insieme è altamente opportunistica. Si tratta, come ha giustamente affermato François Jacob, di un processo di "bricolage". Per costruire qualcosa di nuovo essa utilizza qualsiasi struttura o comportamento o qualsiasi altra componente della variabilità che sia disponibile in quel momento. Ciò è meravigliosamente dimostrato daUa varietà dei tipi di piumaggio impiegati dall'uccello del paradiso per essere più appariscente, oppure, per fornire un altro esempio, dal gran numero di meccanismi e sistemi usati dagli animali pelagici per gaUeggiare sull'acqua. A causa di questo opportunismo della selezione, è molto difficile prevedere quali caratteristiche si evolveranno successivamente. Si comprende ancor più chiaramente la natura della selezione se si fa una distinzione tra "selezione di" e "selezione per" come viene acutamente raccomandato da Sober. Alla domanda "selezione di" o, in altre parole, qual è l'obiettivo della selezione, la risposta è in quasi tutti i casi ''un individuo". Tale individuo può essere una singola cellula, come nel caso dei procarioti e dei protisti, o un intero organismo complesso, come nel caso degli animali superiori e delle piante. Affermare che l'individuo è l'obiettivo principale della selezione non esclude lapossibilità di un'ulteriore selezione a livelli gerarchici superiori, come avviene quando intere specie sono in competizione tra loro. In effetti le caratteristiche specie-specifiche di una specie A, possono e sere tali da rendere ogni esemplare di questa specie superiore a qualsiasi esemplare di una specie B. Tale superiorità può portare all'estinzione della specie B. Questa selezione di specie è determinata dalla selezione individuale e non è in conflitto con quest'ultima. Darwin ha descritto eccellentemente questa selezione di specie come risultato dall'introduzione di piante ed animali britannici in Nuova Zelanda. Alla domanda "selezione per" si può rispondere "con un solo gene". Il caso dell'allele della cellula falciforme dell'emoglobina umana è un caso tipico, come lo sono anche i geni di molte altre malattie ereditarie umane. Ciononostante, come ho recentemente
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