52 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE C. Cecchie A. Neiwillernelfilm Mortedi unmatematiconapoletano. (1987, Storia naturale infinita. Dai sentimenti di Paul Klee). I confini sono i I imiti della specificità e dei generi, degli ambiti espressivi all'interno dei quali anche il gesto più eversivo e confidente viene relegato in nome del diversificarsi delle discipline artistiche e soprattutto della loro separazione dal tempo della storia che quotidianamente viviamo e inte1rnghiamo. Nel "rumore dei linguaggi impoetici" che pervadono le nostre giornate e le diverse espressioni, il teatro, quello messo in atto da Antonio Neiwiller, nella mirabile semplicità di corpi che popolano uno spazio, lo fanno pulsare del loro respiro e dei differenti incontri, sognati e vissuti, ridà accoglienza alla poesia. "La moltitudine che Pessoa evoca, e con la quale intesse un fitto colloquio per tutta la vita, siamo noi stessi. Lo sdoppiarsi è il modo del suo sentire, la ricchezza del suo vissuto. Dire tutto il dicibile. Vedere tutto il vedibile. Ascoltare tutto l'ascoltabile. Questo ostinato legame con la vita, con la natura e con il mondo deve essere esaltato e custodito ..." (Una sola moltitudine, 1990). La scena di Antonio NeiwilJer sapeva esaltare e custodire l'incontro con un artista, con un essere umano (Beuys, Pessoa, KJee, Pasolini ...) restituendo e attivando in noi spettatori, ai livelli piu diversi, l'esperienza dell'arte, la possibilità dell'incontro con altri "viaggiatori inquieti" negli anni duri d'ogni tempo. "Attraverso di te cerchiamo ancora un nostro atto possibile un nostro possibile teatro." Sono versi dedicati a Pasolini, come lo spettacolo Dritto alt' inferno, del 1991. Non la messa-in-scena di un autore, non lo spettacolo su un autore, ma un atto teatrale "attraverso" un poeta. "Io vorrei parlare di noi, di me, e di lui. Io vorrei che di questo, anche alla fine, rimanesse qualcosa." Ecco la scena, infine, occasione e traccia dell'esperienza, accanto ai maestri e contro la scontatezza delle abitudini. "Io vorrei che questo fosse il battito del nostro 'spettacolo'." Chi l'ha visto lo ricorda, questo battito, ma lo si può cogliere anche nei versi in cui si dispone il pensiero. E capiamo perché la parola spettacolo è virgolettata. "Ho sempre guardato alla forma teatro, e come forma dell'opera e come forma del rapporto con gli altri uomini, non con i tempi della storia ma piuttosto con i tempi della geologia. Arte, morte dell'arte e sua resurrezione, mode, contromode, moderno, post-moderno ... nulla di più estraneo al lavoro costante e paziente per la formazione di un'opera viva; nulla di più lontano dall'approfondimento e dalla scoperta di un proprio universo poetico. Oltre il falso linguaggio dei media, bisogna attraversare se stessi, andare fino in fondo alle cose. A tutto questo complesso lavoro io do il nome di laboratorio." (dalla Trilogia della vita inquieta). Poche volte, a teatro, il termine laboratorio ha trovato una comprensione più necessaria e diretta, come la relazione vitale che sola indica un senso, nel tempo di "convivere con le macerie e l'orrore". Il laboratorio è il luogo "aperto-appartato" dove il teatro può ritrovare l'etica del suo proporsi, ridando forma a ciò che è rimasto del lavoro e dell'incontro. "Io vorrei che lui potesse rivivere dentro di noi, nel pensiero necessario che tutto ricomincerà Da questa ricerca della libertà e tutto ritornerà nel mistero. Liberarsi dall'oppressione ..." Con i versi e lo spettacolo dedicato a Pasolini, si è ape1ta la Trilogia della vita inquieta, per Pasolini, Majakovskij, Tarkovskij. "Tre modi in cui un forte pensiero del soggetto è voluto farsi storia per gli uomini. Loro rappresentano i conflitti profondi del nostro tempo e i suoi sogni rigeneratori. Mostrano lo scandalo e un insaziato bisogno di felicità. In loro c'è una disperata speranza." La trilogia è ancora da compiere. A guidare, fra la sua necessità e le sue visioni, un manifesto: "Per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor" e un'ultima prova, L'altro sguardo, presentato a Volterra nel luglio del 1993. "Due sono le strade da percorrere, due sono le forze da far coesistere. La politica da sola è cieca. Il mistero, che è muto, da solo diventa sordo. Un'arte clandestina per mantenersi aperti, essere in viaggio ma lasciare tracce, edificare luoghi, unirsi a viaggiatori inquieti. E se a qualcuno verrà in mente, un giorno, di fare la mappa di questo itinerario; di ripercorrere i luoghi, di esaminare le tracce, mi auguro che sarà solo per trovare un nuovo inizio." (Per un teatro clandestino, maggio 1993) Trovare un nuovo inizio è un modo di rendere attivala memoria, di riaccendere una disperata speranza, senza tentazioni di celebrazione e cedimenti all'impotenza, perché ogni perdita mantenga vivo "l'altro tempo in noi", generazione "derelitta e desolata" in modo che questa generazione non sia resa, è ancora Antonio, nella sua Trilogia a ritrovare in Jacobson le parole della perdita, "nullatenente nel più autentico senso della parola". La poesia di Antonio Neiwiller è tratta da Non ho tempo e serve tempo, L'alfabeto urbano, Napoli 1988. Le altre citazioni sono da programmi di sala o materiali di presentazione degli spettacoli. Per un teatro clandestino e Trilogia della vita inquieta sono raccolti in L'altro sguardo, Teatri Uniti, Napoli 1993.
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