Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 51 Gnocchi scrittore. E ciò sia detto, si badi, a titolo di constatazione, non di elogio. Non automaticamente, almeno. Gene Gnocchi è al suo secondo libro. Il primo, Una lieve imprecisione (Garzanti 1991), era una raccolta di racconti brevi dall'andamento pacatamente bizzarro e moderatamente fantastico. All'origine di ciascuno si situava una "trovata", ora più ora meno brillante, alla quale teneva dietro uno sviluppo in direzione non di rado più analitica che narrativa (l'eventualità che ciascun individuo sia segretamente assistito da un "addetto agli occhi", che lo costringe a gu~dare la persona a cui sta parlando; il tempo, quello dell'orologio, che diviene oggetto di compravendita tra gli indaffarati e gli oziosi; la distribuzione a tutti di medagliettemicrofono collegate con altoparlanti sparsi per l'intera città che trasmettono a pieno volume ogni brandello di conversazione, e così via). L'atmosfera complessiva era improntata a un disagio esistenziale alieno da ogni psicologismo, che si traduceva in · succinte variazioni sul tema della difficoltà di vedere, percepire, comunicare, ricordare. Al proliferare incontrollabile dei fenomeni, all'occorrere di eventi irreversibili, s'opponeva un'attitudine stranita, tra il perplesso, lo sgomento e l'arreso. Una lieve imprecisione era un libro esile, ma nient' affatto brutto. Dava un'impressione di intelligenza, di impegno, e anche di un orientamento di gusto riconoscibile. Stati di famiglia (Einaudi, pp. 72, L. 12000) si presenta come un'opera più ambiziosa, almeno come misura; conferma molte qualità e anche qualche limite; nel complesso, testimonia di una ricerca aperta e suscettibile di interessanti sviluppi. Ecco gli elementi principali della storia. Un tale geometra Bosi ammazza la suocera, mettendo accuratamente in atto un piano a lungo meditato; quindi si reca dai vicini - la famiglia del narratore- a raccontare il tutto con dovizia di dettagli e disegnini esplicativi. Poco dopo, la moglie ammazza lui, in uno dei delitti meno perfetti che la storia del crimine 1icordi; inevitabilmente, viene arrestata. Nel frattempo, prende corpo la descrizione dei parenti del narratore: un padre sognatore e scansafatiche, un fratello che senza muoversi dal letto registra con minuzia puntigliosa ogni variazione dello "stato" della famiglia, una nonna che ormai sa pronunciare soltanto una parola ("merda"), con la quale costruisce tutti i suoi discorsi. Non mi soffermo sui tanti dettagli della vicenda (spesso azzeccati), né sul colpo di scena finale. Gene Gnocchi si attiene al procedimento a lui congeniale della deformazione paradossale, della forzatura grottesca, usando elementi, figure e situazioni cavati dalla più trita quotidianità come materia prima per invenzioni buffe o stravaganti, nelle quali tuttavia si conserva l'impronta di un'originaria malinconia. È un tipo di natTativa che nella cultura letteraria contemporanea può vantare numerose ascendenze e affinità: ancorché approdato alla ribalta della cronaca (intendo, della cronaca spicciola) in qualità di comico televisivo, Gene Gnocchi simuove nell'ambito di una letterarietà istituzionale, forte di un patrimonio di buone letture, e attento a non cadere in eccessi pericolosi. Come molti scrittori esordienti, in buona sostanza; e in questo, s'intende, non c'è nulla di male (si potrebbero semmai sollevare delle riserve sui titoli che Einaudi sta scegliendo ad apertura di una collana che recupera un titolo prestigioso come "I coralli"; ma questo è un altro discorso). Stati difamiglia è un racconto che si legge volentieri, macome ha scritto Angelo Guglielmi su "Tuttolibri" - non rapisce e non inquieta. La ragione va ricercata, a mio avviso, in un problema di stile. Gene Gnocchi opta per un tipo di narrazione personalizzato: se dell'io narrante veniamo a sapere meno che su altri personaggi, è tuttavia avvertibile la caratterizzazione del suo modo di esprimersi, piano e colloquiale in genere, ma occasionalmente svagato o dinoccolato (complice la parsimoniosa punteggiatura) ovvero incongruamente preciso, come s'usa in un certo registro comico. Ecco, a me sembra che la scrittura di Gnocchi manchi di mordente. Non è affilata, non graffia; né d'altra parte presenta la compassatezza inamidata tipica di un altro genere di umorismo. Propongo un prelievo abbastanza casuale, come esempio di eloquio - come dire? - diluito, poco incisivo (i corsivi sono ovviamente miei): "La donna stava leggendo la settimana enigmistica, con la faccia quasi contro la pagina del cruciverba principale avendo perso sette diottrie negli ultimi tre anni al ritmo di più di due diottrie per anno e stava sulla poltrona verde con i cuscini ricamati. / Bosi aveva localizzato nel collo bianco l'area da colpire appena sotto la nuca per averlo letto su almeno due manuali di difesa personale che lui stesso aveva regalato alla moglie la quale, tornando dall 'ipercoop, doveva passare vicino a un campo di zingari e si temeva per lei ma soprattutto per il grosso di provviste surgelate./ Comunque ll, davanti a quel collo bianco, il geometra si era per un momento irrigidito. Tutto doveva accadere subito ma il vedere il collo bianco percorso da quelle venuzze blu da vecchia lo fece trattenere per un po' dietro gli incastri orizzontali e ve1ticali e gli venne anche un mezzo sorriso vedendo che alla definizione "un undici milanese" di cinque lettere la donna aveva scritto in stampatello "undes" scambiando la squadra di calcio per un omologo dialettale di undici". Grazie al successo televisivo, Gnocchi può contare su un pubblico insolitamente vasto per uno scrittore ancora agli esordi; ma il successo librario-relativo, s'intende, anche fatte le debite proporzioni - finora non è usurpato. Credo che i lettori possano attendere con fiducia le sue prossime prove. PERUNA MEMORIAATTIVA. RICORDODI ANTONIO NEIWILLER RenataMolinari Il tempo passato il tempo in cui pensi all'altro tempo che è in te. (Antonio Neiwiller) Il primo incontro pieno con un progetto di Antonio Neiwiller è avvenuto per me nel 1990, ai tempi di Una sola moltitudine. Dedicato a Fernando Pessoa. Prima c'erano immagini d'attore, discrete e penetranti, trascinanti nel loro indicare un aldilà della scena; e le parole degli anuci: parole di stima, ammirazione, affetto. Anche questo possono gli artisti, muovere le parole degli amici e renderle comunicanti. E nel lavoro di Antonio, nel suo modo di trasmettere un impegno e una possibilità ("Voglio davvero rinnovare questo mestiere", scriveva nel 1986, ai tempi di Fantasmi del mattino), le parole che preparano e accompagnano lo spettacolo hanno sempre avuto un valore particolare: non programma, non didascalia, ma uno stesso movimento dentro il reale, un modo di porsi da cui scaturisce il gesto teatrale. "Vivere un desiderio, un sogno, un'avventura, una possibilità e calarsi totalmente in essa fino a non riconoscerne più i confini"

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==