46 TEATRO Yvonne Brewster TEATRO 11 ETNICO'' Incontrocon GabriellaGiannachi Dopo il Nobel al nigeriano Soyinka, alla sudafricana Gordimer, al caraibico Walcott, è sempre più chiaro, anche a chi non si è accorto dell'indiano Ghosh e del kenyano Ngugi, di Naipaul e di Rushdie, di Narayan e di Achebe, della Desai e di Ben Okri, che il concetto di letteratura inglese deve far posto, o almeno accompagnarsi, a quello di letteratura "in inglese", di una letteratura i cui autori, pur facendo riferimento in misura più o meno grande all'antica potenza coloniale, e pur usandone la lingua, hanno alle spalle culture emondi da essa totalmente diversi. È un rapporto spesso antagonistico e contraddittorio; ma di grande fecondità letteraria. E lo si ritrova non solo nella poesia e nel romanza, ma anche nella drammaturgia; e non solo nella letteratura drammatica (il cui panorama è assai complesso e pieno di varianti; e merita un discorso a parte), ma nella stessa produzione teatrale in suolo inglese. Negli ultimi dieci/quindici anni- soprattutto a Londra- sono nati gruppi teatrali formati da teatranti indiani, africani, caraibici, pakistani, alcuni nati in Gran Bretagna, altri immigrati dalle ex colonie. È il cosiddetto "ethnic theatre",fatto di compagnie e di drammaturghi, di registi e di spazi teatrali alternativi. Il suo peso e la sua incidenza sono di gran lunga minori, rispetto al teatro, di quelli che il romanzo "etnico" ha rispetto alla letteratura. Ma forse questa sua minor forza rende più evidenti le aporie che ritroviamo in tutta laproduzione letteraria nel suo complesso. Un nodo centrale è quello dei testi da mettere in scena, della loro rappresentatività "etnica" e della confusione tra giudizio ideologico e giudizio di valore. L'intervista a Yvonne Brewster offre una delle possibili risposte. Forse non quella maggioritaria, ma certamente quel la che finora ha consentito i risultati più convincenti e più duraturi. Yvonne Brewster, curatrice delle due raccolte Black Plays, pubblicate da Methuen nel 1987 e nel 1989, ha lavorato in Giamaica, Africa, America e Inghilterra come docente di teatro, regista di cinema e teatro, produttrice e presentatrice televisiva e radiofonica. Dopo aver fondato nel 1986 Talawa Theatre, una delle più interessanti compagnie di colore formatesi in Europa negli ultimi anni, si è dedicata principalmente alla regia teatrale. L'abbiamo incontrata a Londra al Cochrane Theatre che da circa un anno è sede della sua compagnia. Come è iniziata la sua carriera teatrale? Ho iniziato a fare teatro in Giamaica, dove sono nata. All'epoca studiavo in una scuola dove tutto era "molto inglese", eccetto naturalmente il fatto che il campus si trovava nel bel mezzo della macchia tropicaJe. Mi annoiavo terribilmente e così decisi di fare teatro, naturalmente di nascosto, oppure di notte, quando tutti dormivano. La Giamaica non ha una vera e propria t.radizionedrammatica e il genere teatrale, così come lo intendiamo noi, vi giunse solamente una cinquantina di anni fa. In seguito andai in Inghilterra e mi iscrissi a una scuola di teatro. Credo di essere stata la prima donna di colore in una scuola di teatro in Gran Bretagna. Ma una volta tornata in Giamaica, dove, appunto, non c'erano teatri, iniziai a lavorare per la radio e la televisione e produssi diversi spettacoli, fra cui The Harder They Come. Solo allora decisi di trasformare il garage di mio padre in un teatro: in quegli anni era impossibile trovare testi teatrali, eccetto naturalmente quelli di Derek Walcott, e quindi bisognava registrare le improvvisazioni e 1icavarne dei testi. In un certo senso questo fu l'inizio del nostro canone, del canone giamaicano. Come nacque Talawa Theatre? Dopo un certo periodo di tempo tornai in Inghilterra dove, in quegli anni, solo poche persone di colore facevano teatro. Così decisi di mettere in scena qualcosa io stessa. Feci sei spettacoli in un anno e acquistai immediatamente una discreta fama. Alla fine del I985 il Greater London Council (che all'epoca era uno dei principali enti sovvenzionatori del teatro londinese) mi suggeri di chiedere i fondi per un progetto più ambizioso e così decisi di fare Black Jacobins, di C.L.R. James. Quando ottenni i fondi formai una compagnia assieme alle attrici Mona Hammond, Carmen Munroe e Inigo Espejel. Così nacque Talawa, il cui nome, originario delle Indie occidentali, significa: "donna piccola, ma fotte". Un anno fa ci trasferimmo in questo teatro e ora posso di.re con orgoglio che siamo la prima compagnia di colore a Londra con una sede fissa. Questo, ovviamente, ci colloca in una posizione molto privilegiata e ci permette di estendere il repertorio teatrale a disposizione delle persone di colore. Naturalmente bisogna tenere a mente che l'espressione "di colore" vuol dire tante cose, per lo meno altrettante quanto il tern1ine"teatro". Come descriverebbe la politica artistica della compagnia? Talawa mi.raad usare sia l'antico rituale africano, sia l'esperienza politica della gente di colore, per an·icchire e informare il teatro britannico. Questo per noi ha significato lavorare su vasta scala, con grandi scenografie e spettacoli di tipo epico che usano al tempo stesso elementi occidentali e africani. Ad esempio gli inglesi hanno il rituale del tè e per questo, nel 1989, abbiamo messo in scena il testo di Oscar Wilde L'importanza di essere onesto, presentandolo però dal nostro punto di vista, dal punto di vista della gente di colore. Nello stesso anno abbiamo anche messo in scena uno spettacolo che offriva un'interpretazione del mito di Edipo dal punto di vista nigeriano. Il
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