38 CARAIBI QUAffRO STORIE PER NIENTE STRANE Jamaica Kincaid MIA MADRE traduzionedi Irene Pologruto Jamaica Kincaid è nata e cresciutaaSt. John's, la capitale di Antigua, ma da anni vive negli USA. Miamadrejapartedellasuaprima, acclamatissima raccolta di raccon 1 i. At the Bottom of the River ( Farra r Strausand Giroux 1984). Hascrillll inoltre un brillante pamphlet sulla realtà di Antigua, A Small Piace (1988) e due romanzi, Annie John (1985) e Lucy (1990), pubblicati anche in Italia, rispettivamente dalla De Agostini e da Guancia. Nel momento in cui augurai a mia madre di morire e vidi il dolore che le avevo procurato, ne fui dispiaciuta e piansi così tante lacrime che la terra intorno a me ne fu allagata. In piedi davanti a mia madre la pregai di perdonarmi, e la pregai così accoratamente che ebbe pietà di me e, baciandomi il viso, attirò il mio capo sul suo seno perché mi calmassi. Abbracciandorni spingeva sempre più il mio capo sul suo seno fintanto che soffocai. Rimasi sul suo seno, priva di respiro, per un tempo indefinito, finché un giorno, per un motivo che non rivelò, mi scrollò di dosso e mi pose sotto un albero ed io ripresi nuovamente a respirare. Le rivolsi uno sguardo penetrante e dissi a me stessa: "Finalmente". All'istante mi crebbe il seno, dapprincipio piccole colline fra cui vi era un luogo piccolo e soffice dove, se necessario, poter reclinare il capo per ripo are. Fra mia madre e me, ora, vi erano le lacrime che avevo pianto, così raccolsi alcune pietre che disposi in modo da formare gli argini di un piccolo stagno. L'acqua nello stagno era torbida e nera e avvelenata, tanto che solo innominabili invertebrati potevano vivervi. Mia madre ed io ci guardavamo ora con circospezione, facendo sempre attenzione a riversarci addosso parole e gesti d'amore e di affetto. Seduta sul letto di mia madre tentavo di guardarmi attentamente. Era un letto grande, nel mezzo di una stanza completamente buia. La stanza era completamente buia perché tutte le finestre erano state serrate con assi e tutti gli interstizi riempiti di tessuto nero. Mia madre accese alcune candele e la stanza si illuminò di uno scintillio rosato e giallastro. Ci sovrastavano, molto più grandi noi, le nostre ombre. Sedevamo ipnotizzate perché le nostre ombre avevano lasciato uno spazio fra loro, come per far posto a qualcun altro. Niente occupò lo spazio fra loro e l'ombra di mia madre emise un sospiro. L'ombra di mia madre danzava nella stanza seguendo il motivo che la mia ombra cantava, poi si interruppero. Per tutto il tempo le nostre ombre si erano addensate e affievolite, allungate e accorciate in ogni angolo della stanza come se fossero controllate dalla luce del giorno. Improvvisamente mia madre si alzò, soffiò sulle candele e le nostre ombre scomparvero. Rimasi seduta sul letto, tentando di guardarmi attentamente. Mia madre si tolse gli abiti e si ricoprì la pelle di un denso olio dorato ottenuto poco prima sciogliendo in un tegame caldo fegati di rettili con gozzi. Sulla schiena le crebbero squame del colore del metallo, leggere; se si urtava quella superficie si frantumavano e cadevano minuscoli punti. Nella profonda gola bianca le spuntarono tante file di denti. Sciolse i capelli sulla nuca e poi staccò l'intera capigliatura. Prendendosi la testa fra le grandi palme la schiacciò, cosicché gli occhi, ora fiammeggianti, erano collocati alla sommità del capo e vorticavano come due palline rotanti. Poi, facendo due linee sulla pianta di ciascun piede, divise i suoi piedi in strade che si incrociavano. Senza parlare mi aveva ordinato di seguire il suo esempio ed ora, anch'io, strisciavo sul bianco ventre, mentre la lingua saettava e guizzava nell'aria calda. "Guarda", disse mia madre. Mia madre ed io eravamo sedute sul fondo del mare, fianco a fianco, le mie braccia circondavano mollemente la sua vita, il mio capo poggiava fiduciosamente sulla sua spalla come se avessi bisogno di sostegno. Per essere certa che lei credesse alla mia fragilità, di quando in quando sospiravo - lunghi, sommessi sospiri, quel tipo di sospiro che, lei mi aveva insegnato tanto tempo prima, poteva suscitare compassione. In realtà mi sentivo invincibile. Non ero più una bambina, ma non ero ancora una donna. La mia pelle si era da poco scurita e screpolata e, staccandosi, era stata sostituita da un guscio inespugnabile. Il mio naso si era appiattito; i capelli si erano arricciati e, contemporaneamente, rizzati sul capo; mi erano spuntate molte filedi denti retrattili. Mia madre ed io, senza dir parola, facemmo un accordo- io emettevo i miei bei sospiri, lei li coglieva, io mi appoggiavo ancora più pesantemente su di lei in cerca del suo sostegno, lei mi offriva la sua spalla che presto divenne della dimensione di uno spesso ripiano. Trascorse molto tempo al
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==