Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

34 CARAIBI Mutabaruka REGGAE E POESIA a cura di Armando Pajalich Mutabaruka (Allan Hope), nato nel 1952 a Giamaica, rastafariano sin da giovane, è molto popolare per le sue pe,formance sia a Giamaica che in tournée in giro per il mondo. Inizialmente ha anche pubblicato alcuni volumetti di versi (Outcry, 1973; Sun and Moon, 1976; First Poems 1970-79, 1980) ma recentemente ha preferito registrare i suoi testi alternandoli alle canzoni (fra i numerosi dischi: Outcry, 1984; The Mystery Unfolds, s.d.; Any Which Way ... Freedom, 1989). Muta è fra i più famosi poeti-musicisti giamaicani d'oggi. Le sue radici sono, ovviamente, nel reggae, quella "sorta di rock 'n roll con accenti sulla seconda e sulla quarta" che esplose a Giamaica negli anni Sessanta: alcuni dicono che quel nome abbia a che vedere con l'etimologia latina Regis, Re ("musica del Re fatta dal Re per il Re"), altri insistono che proviene dall'inglese giamaicano regular, maggioranza ("musica delle masse ribelli") ... ma nel regno del pop le due cose possono anche andare a braccetto ... Certo è che il termine non esisteva prima del '68, quando Bob Marley era già sulla cresta dell'onda, e che dietro Marley c'era El vis Presley ... E certo è anche che Marley era rastafariano, e che le radici del reggae sono sì nel rock e nel rhythm 'n blues ma anche in Africa e nei vecchi musicisti giamaicani fortemente nostalgici del!' Africa, i Burru (che suonavano su bidoni, vasi di vernice, tronchi svuotati, con "bacchette" e "bastoni" di provenienza domestica), a loro volta ripresi dai "guerrieri" rastafariani, i Nyahbingi (che voleva dire "morte agli oppressori bianchi e ai loro alleati neri"). Fin dagli inizi, il reggae di Jimmy'Cliff e Bob Marley cantò anche di povertà, diseguaglianza, identità e orgoglio dei neri, oltre che di schiavitù passate e di multinazionali e turismi pirateschi moderni. Linton Kwesi Johnson ne ha fatto un genere musicale e poetico decisamente rivoluzionario e internazionalista. E il vecchio genere si è aggiornato e sofisticato: resta il ritmo fondamentalmente metallico e zoppo di una chitarra che stride contro un basso continuo ipnotico e pestante (sostituendo la chitarra basso alla chitarra solista del rock), ma la commercializzazione e la tecnologia lo hanno evidentemente influenzato. In parte il vecchio reggae sopravvive ancora (in popolari musiche e canzoni di facile ascolto, su cuori infranti, solitudini assolate, ecc.) ma le varianti più recenti hanno fortemente inciso anche sul rapporto fra musica e testo. Sin dal vecchio reggae, infatti, poesia e musica si confondevano: la canzone sfumava nel discorso parlato estremamente cadenzato, rettoricamente complesso e fortemente iterativo, mentre la poesia faceva emergere dal suo interno parlato i ritmi musicali del reggae. Spesso l'unica possibile demarcazione fra "poesia" e "musica" era la presenza o meno di accompagnamento strumentale. In alcune varianti recenti, la fusione tende a venir meno, o a creare sottogeneri e alternanze. Così, il dub (lett.: "doppiaggio") ha enfatizzato la componente strumentale: una frase tematica (proveniente magari da un brano altrui ...) o un intero brano sono ripresi e variati liberamente, aggiungendovi la tecnologia dello studio elettronico di registrazione, con echi, riverberi, suoni ambientali come clacson, campanelli, spari, ecc., e dando ancor più forte risalto alla chitarra basso e a ogni tipo di percussione: ne viene fuori un reggae duro e disco al tempo stesso, più adatto alle discoteche che non alle esecuzioni di strada. Un altro sottogenere, il talk aver (lett.: "parlaci sopra") consiste invece di frasi declamate a intermezzo fra brani strumentali: fu iniziato in effetti da famosi prorompenti d.). che si inserivano sulle musiche registrate declamando fraseggi ossessivi e slogan. Nelle registrazioni di Muta - molto più efficaci, come mi ha ammesso lui stesso, dei vecchi libretti giovanili che non insiste ormai né a pubblicare né a continuare - il reggae, il dub, il talk aver si alternano: You ask me (Mi domandi), pur se proveniente da uno dei vecchi libri, risulta così una sorta di talk aver (se lo si ascolta nella registrazione), mentre Revolutionary poets (Rivoluzionari artisti), pur se privo di accompagnamento strumentale, ha un forte ritmo percussivo reggae e fa emergere una musicalità quasi ballabile dal suo interno. Dis poem (Questa poesia), è una sorta di manifesto che Muta ama riproporre nelle sue performances, ed è declamato con le caratteristiche fonetiche del pidgin, e cor:i l'ausilio di espedienti da studio di registrazione: echi, ampi ificazioni, riverberi, ecc. T nfatti, iI reggae è anche caratterizzato, nei suoi testi, da una lingua inglese somigliante più al pidgin dei predicatori giamaicani (in questo caso: predicatori rastafariani), e dei venditori ambulanti, che non all'inglese dei vecchi intellettuali e dei poeti accadem1c1. In Muta, il reggae ha mantenuto e radicalizzato quindi le preoccupazioni politiche e rivoluzionarie (anticipate da Bob Marley e Jimmy Cliff e sottolineate da L.K. Johnson) ma non ignora le esigenze "spirituali" della religione rasta né le miseriequotidianeed esistenziali dei giamaicani di Kingston, e fa l'occhiolino - perché no? - al pop tecnologico e alla performance poetica nata dal beat americano (come evidente in Dis Poem). Mi domandi Mi domandi se sono mai stato in galera. Stato in galera? Il tuo mondo di assassini e di ladri di odio e di gelosia e di morte e ... mi domandi se sono mai stato in galera? Io rispondo: Sì Ci sono ancora e cerco di scappare ... (tradotta direttamente dal disco Outcry) Questa poesia Questa poesia dirà del mare tremendo che si sbatte su queste rive, di madri che piangono figli gonfi di morsi. Questa poesia non dirà niente di nuovo. Questa poesia dirà del tempo, tempo illimitato, tempo indefinito. Questa poesia evocherà nomi,

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