Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

quando viene fuori quell'altro aspetto del suo carattere - amaro, crudele, sarcastico-diventa irresponsabile. E spesso dice cose che non sono vere. Che non sono giustificate. Perché la ferita c'è, va bene. Ma sarebbe più interessante esaminarla, questa ferita, che genera tanto cinismo e sarcasmo. Invece di limitarsi a fare delle affermazioni. Torniamo a lei. Ricorrono continuamente nella sua poesia parole come "divisione", "diviso", ecc. Hanno a che fare con il concetto di daimon, o "demone", almeno in origine, che in greco vuole dire "ciò che è separato" sul piano dell'essere, e dunque abbandonato a se stesso, e in preda alla colpa. Esattamente. L'esperienza dei Caraibi è una tipica esperienza di divisione.L'aspetto più vistoso è quello della diaspora legata al fatto storico della schiavitù che ha dato luogo alla separazione dall'Africa. C'è poi l'esperienza del sentirsi divisi e isolati all'interno dei diversi punti dell'arcipelago e dell'essere separati avendo però sempre in vista la terra accanto. Infine c'è la divisione tra le razze. Bianchi da una parte, neri, mulatti e gli altri da un'altra parte. E il mio caso, di figlio di genitori entrambi mulatti, mi ha sempre messo nella condizione di rendermi conto che quello che sono io come uomo non lo posso dividere tra bianco e nero: che e' è in me la vittima e l'oppressore nello stesso momento ... È quello che dice nella conclusione di Lontano dal!' Africa: lo, che sono avvelenato dal sangue di entrambi, Dove mi volgerò, diviso fin dentro le vene? lo, che ho maledetto L'ufficiale ubriaco del governo britannico, come sceglierò Tra quest'Africa e la lingua inglese che amo? Tradirle entrambe, o restituire ciò che danno? Appunto. Ho quindi imparato a vedere l'uomo come una totalità e a rendermi conto che il male sta nella divisione ma non in una delle due parti. E questo va forse oltre la storia. Ha a che fare con l'intera questione della presenza della colpa nell'uomo. La conclusione non credo che sia tanto in un atto di riconciliazione. Non si tratta neppure di cancellare o di perdonare la storia. Piuttosto si tratta di vedere la storia non più come una ferita insanabile ma come qualcosa che si può isolare e sigillare attraverso un atto di devozione come la preghiera o la poesia. Vuole dire che nell'atto stesso di descrivere il mondo il poeta elimina quella divisione e rimette insieme le cose dando loro significato? Le faccio un esempio. Prendiamo Celan, che ho citato all'inizio. Il suicidio di Celan. D'accordo? Bene. Ora prendiamo una sua poesia, una poesia che magari è nata proprio dalla sua disperazione, e vediamo che è una cosa diversa. Quella poesia non è disperazione soltanto. Non è incoerente disperazione. Ma parla. E dal momento stesso che parla, in un certo senso, non è più disperazione. Si passa dalla disperazione alla bellezza. Una poesia che fosse patologica cercherebbe la poesia nella disperazione. Ma sarebbe una contraddizione in termini e andrebbe contro l'atto spirituale stesso che è lo serivere poesia. Perché quando uno è in preda alla disperazione non crea nulla: diventa catatonico e inarticolato, e piomba nel silenzio totale. In un certo senso quella poesia di Celan - che è un oggetto, bello in sé- non ha niente a che fare con la sua vita. Va al di là della vita di Celan. E che cosa ce la fa ammirare? Che cosa e' è da ammirare in una poesia sui campi di concentramento? Quello che ammiriamo è la spinta a descrivere, a parlare della condizione degli Ebrei, perché il parlare stesso è un atto di benedizione. La bellezza della metrica ne CARAIBI/WALCOTT 33 riscatta, almeno per un momento, la crudeltà. Dopo che uno l'ha letta, e ripetuta, e l'ha imparata, si rende conto di quello che c'è dentro. Anche se magari è ciò che ha ucciso il poeta. La poesia sopravvive a lui perché è bella, e lo è nonostante l'argomento di cui parla. In questo senso anche la verità di Celan contiene una sua bellezza. Non ha niente del frammento, parziale, limitato, che non va oltre l'osservazione. È il migliore esempio che mi venga in mente per definire-la capacità di redenzione che è propria della poesia. Anche se magari, dopo averla scritta, Celan ha messo giù la penna, o la matita, e ha compiuto un gesto violento contro la propria persona. Ma quello che ha fatto va oltre la sua persona. Ha costruito un oggetto che vive al di là di lui. Una volta lei ha affermato che l'uomo ha perduto la capacità di provare stupore, quello che in inglese si chiama "awe ", che vuol dire meravie_lia e timore reverenziale allo stesso tempo. Sì. E difficile ... Forse qualche poeta polacco, come Zagajewski, o Herbert, ne è ancora capace. Non è poi che la storia sia devastante al punto da rendere la cosa impossibile. In Zagajewski tutto questo c'è. E non è solo nostalgia. Ma è rispetto e considerazione per tutto ciò che è immediato. Con quel termine, "awe", si può forse semplicemente definire il senso della vastità del mondo. Credo tuttavia che granparte dei poeti contemporanei sianocome ossessionati da se stessi. Sono troppo occupati a compiangere se stessi. La loro poesia è tutta fatta di "io", "io", ed è un "io" smarrito, ferito. Si vorrebbe che ci fosse più ampiezza. Una grandezza nel sentire, nei confronti dello spazio, legata in qualche modo all'idea stessa dello spazio - del tempo e dell'infinito - che invece non c'è. Sono per lo piùpoeti diaristici. Si limitano ali' osservazione minuta, giornalistica, di quello che gli capita. C'è qualcosa di egoistico in tutto questo. La vita di un poeta non è più importante di quella di qualsiasi altra persona. Quello che un poeta scrive costituisce un valore, ma la sua vita quotidiana non ha veramente importanza. Il tema del suicidio torna di continuo nella sua opera ... Eh, sì. L'idea del suicidio è stata... lo non sono mai arrivato al punto di pensare di togliermi davvero la vita. Ma ci sono i casi di Harry Simmons e di Eric Roach, e di tanti altri poeti americani-che non ho conosciuto- che si sono uccisi. Sono molti i poeti e gli artisti che lo hanno fatto. È un tema inevitabile quello del rapporto tra l'arte e il suicidio. Credo che sia difficile, nei Caraibi, alzarsi la mattina con il desiderio di uccidersi. Anche se un mio amico, un mio amico carissimo, lo ha fatto. Ma chissà quale disperazione ... Adesso che ci penso, due miei amici si sono uccisi. Bisogna però ricordarsi che l'arte non è poi così importante. È importante per l'umanità che ci sia l'arte. Ma al di là di tutto, dopo ogni cosa, quello che conta è il rapporto che l'uomo ha con Dio. E tra l'uomo e Dio, in quel rapporto, non c'è bisogno che ci sia l'arte. L'arte è solo un tentativo di raggiungere una forma di illuminazione. E quando l'arte prende la forma di una illuminazione è perché è guidata da qualcosa che le è esterno, che sta fuori dall'individuo. Io stesso ho passato dei periodi terribili ma ho sempre trovato il modo per sopravvivere. E penso proprio che lasciarsi vincere dalla depressione non sia solo pericoloso ma anche un tantino egoistico. Luigi Sampietro (Cassolnovo, PV, /943) è professore di Letteratura angloamericana all'Università degli Studi di Milano e direttore della rivista "Caribana", pubblicata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Di questa lunga intervista, con Walcott è già stata pubblicata una parte sul "Sole-24 Ore" della domenica 11 ottobre 1992. Una seconda intervista a Walcott, nell'originale inglese e interamente dedicata al lungo poema Omeros (1990), considerato per unanime consenso il suo capolavoro, è comparso su "Caribana".

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