Linea d'ombra - anno XII - n. 90 - febbraio 1994

30 CARAIBI/WALCOTT Preferisce le cose brevi, che si possono leggere tutte d'un fiato, come le poesie o le opere teatrali? Cose che si esauriscano in una breve unità di tempo? No, non è un problema di brevità o di unità di tempo. La mia idea della totalità non ha a che fare con il tempo: due ore per una cosa o tre minuti per un'altra. No. È proprio che mi riesce difficile leggere un romanzo. Non appena la trama si mette in moto ... Come sento il ronzio di una trama che inizia, mi va via la voglia. Anche perché non ci sono in giro molte cose stimolanti. E poi credo che un poeta legga la prosa degli altri per vedere se può trovare qualcosa da saccheggiare: qualcosa di utile, da cui può imparare, e che può rubare ... E non mi sembra che ci siano oggi degli scrittori di lingua inglese capaci di mettere insieme delle frasi particolarmente stimolanti. Se devo citare qualcuno, direi Nabokov. Sia in traduzione sia in lingua. È molto bravo. Non parlo ovviamente di Joyce. Mi riferisco agli scrittori recenti. Sì, Nabokov. Un tempo mi piaceva Hemingway, e mi piace ancora. Ma quella è un'altra generazione. Oggi? Non saprei ... Ah! Marquez! Anche in traduzione. E Borges ... Anche lui è abbastanza vicino. Ma quando leggo la prosa sono come un ingegnere che osserva un edificio. So già come verrà su. Posso prevederlo. Ha affermato, una volta, che lei non legge poesia per provare piacere ma terrore. Ha citato Neruda, Pasternak e Lowell ... Volevo dire il terrore come qualche cosa di sacro. Il terrore che c'è nel lampo: luce e illuminazione. Il tuono e il lampo danno luogo a un senso di terrore. Fanno sentire a disagio, almeno per un momento: un po' confusi, come davanti a una scoperta. Fanno sì che le cose sembrino fuori posto. Anche la poesia è un po' così. Lo dice molto bene Whitman: "Qualcosa mi fece sobbalzare proprio quando pensavo di essere al sicuro". Uno legge, segue il ritmo del poeta,. segue il suo pensiero e tutto sembra tranquillo. Invece, tutt' a un tratto, il cielo si apre e ha luogo una scarica -elettrica. Ci sentiamo improvvisamente insicuri della nostra stessa intelligenza. In questo senso Emi lyDickinson è bravissima. Le sue poesie sono del le piccole scatole che, come le tocchi, ti fulminano. Oltre alla Dickinson e a Lowell, quali altri scrittori del New England citerebbe? Emerson? No, non l'ho letto ... Devo dire che ho una certa diffidenza nei confronti dei trascendentalisti. Non so perché. Hanno un tono che mi spaventa. Mi insospettisce quella loro sicurezza, il modo che hanno di dire le cose. Thoreau, per esempio. Lo so che è ingiusto, me ne rendo conto. Forse è una mia fissazione. Ma quell'immagine del forcone, e i padri pellegrini [sic!]. .. La retta via, e tutte quelle cose lì... La luce, la ragione illuminata. Sono cose che mi fanno paura. Mi vanno strette. So che non dovrei dirlo, ma rispondo seguendo un istinto difensivo. Gli altri, no: ci sono poeti, come la Dickinson o Lowell, che ammiro. Poi ci sarebbe Stevens. Ma gran parte della poesia di Stevens è... La trovo faticosa, eccessiva. Ha una musicalità troppo insistita, compiaciuta. Spesso non capisco dove vada a parare, che cosa voglia dire. Soprattutto quando si mette a fare della pittura astratta - un genere che per me è di una noia solenne - lo trovo esasperante. Non vedo l'ora che finisca. Si è mai interessato all'arte o alla pittura orientali? No... Ho letto delle traduzioni dal cinese. [E qui Walcott si dimentica di avere letto a suo tempo i No giapponesi.] Ma la poesia cinese è qualcosa che dipende dalla enormità delle dimensioni del paese. La sua semplicità dipende dalle dimensioni della Cina. È una semplicità calligrafica. È difficile da cogliere, se la si legge in inglese. Come quella giapponese, del resto. Bisogna partire da un senso di calma e di quiete: la calma della filosofia e delle religioni orientali ... No, non mi ha mai veramente interessato. Perché credo che per sentirsi vicini al pensiero orientale bisogna vivere come gli orientali. Non si possono separare i riti daJla società in cui si vive. Forse l'estrema semplicità che c'è in ce110protestantesimo è la stessa che si trova nel buddismo. Forse hanno in comune qualche cosa. Ma poi forse no. Se non l'idea della totale accettazione, dell'abbandono. Che è però una cosa che hanno tutte le religioni. Direi che non sono stato mai particolarmente attratto in quella direzione. La fùosofia mi intimidisce. In base a quale criterio sceglie le sue letture? Più che leggere, rileggo. Soprattutto i poeti contemporanei. Un esempio? Larkin. È uno di quelli che rileggo di continuo. Ma poi uno legge in maniera diversa. Certe volte si legge da poeta a poeta, con ammirazione. Altre volte uno cerca di leggere come un lettore qualunque. È un piacere abbandonarsi alla lettura senza prestare attenzione a come una poesia è costruita. Senza badare a tutta l'abiljtà, per fare un esempio, che Hardy sa profondere in una composizione. Ci sono poeti, come Hardy, appunto,~ come Auden, che ti fanno rivivere quando torni a leggerli. Il numero di quelli su cui uno torna dovrebbe sempre essere molto limitato. Non bisogna leggere troppa poesia. E restare devoti a quei pochi che non si finisce mai di ammirare e da cui si continua a imparare. Pound è uno di questi? Ma certamente! Sicuro! Ce,to, in assoluto. Pound è un poeta pieno di stimoli. È un maestro. Tanto per cominciare perché allunga gli occhi dappertutto. Ali 'Europaeal mondo intero. La sua intelligenza e la sua immaginazione non hanno niente di provinciale. E poi la lingua che usa, il suo senso del ritmo. Sembra non studiato, che vada avanti per conto proprio, ma poi si impenna e lampeggia. Mette insieme l'arcaico e il contemporaneo. Li contrappone e tal-volta li mescola. Tutto diventa simultaneo. Con un senso del tempo, una metrica nitida, che è viva e palpitante. Hemingway ha imparato molto da lui. Anche Eliot. Fantastico! Che cosa ammira della poesia di Aleksandr Blok? Blok? Lo conosco in traduzione. Ho letto solamente I dodici, che in russo dev'essere, immagino, una lagna, da un punto di vista metrico. Dico così, ma non saprei. So che l'ho letto e che me ne sono servito per La goletta "Flight", perchéc'èdentrouna marcia. Era una citazione che sarebbe sembrata strana sulla bocca del protagonista che racconta la storia. Così mi sono messo io al suo posto. Ho preso io la parola. Si può fare qualche volta. A me è capitato solo in quell'occasione. Perché volevo citare Blok: la marcia, i discepoli della rivoluzione, il terrore. È davvero un passo straordinario: Ho incontrato la Storia, una volta, ma non mi ha riconosciuto, un creolo incartapecorito, pieno di verruche come una vecchia bottiglia di mare, che strisciava come un granchio nei buchi d'ombra proiettati dalla rete di un balcone a inferriata: color crema il vestito e il cappello. Lo abbordo e grido: "Sono Shabine, signore! Dicono che sono suo nipote. Si ricorda la nonna, la sua cuoca nera?". La troia si raschiò la gola e sputò. Uno sputo così vale tutte le parole. Ma questo ci hanno lasciato quei bastardi: parole. Non credevo più nella rivoluzione. Perdevo fede nell'amore della mia donna. Avevo visto in quel momento Aleksandr Blok cristallizzarsi nei Dodici. Accadde tra la Polizia Marittima e l'Hotel Venezuelana

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