CARAIBI 27 Derek WalcoH CALYPSO IncontroconLuigi Sampietro L'assegnazione del Nobel 1992 per la letteratura a Derek Walcott ha sorpreso solo chi non lo aveva mai letto. Che era, bisogna dirlo, la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori - letterati, giornalisti e professori - in Francia come in Italia. Poco male, certo, per la cosa in sé. Non solo perché dei suoi scritti era stato tradotto, fino ad allora, ben poco. Ma anche perché era già accaduto che l'Accademia svedese, magari per ragioni geopolitiche, assegnasse ilpremio a qualche gloria locale poco nota sul piano internazionale. Si pensò sulle prime che si fosse voluto rendere omaggio a uno scrittore dei Caraibi perché era l'anno delle celebrazioni di Cristoforo Colombo. Ci si chiese poi però come mai, se quella era la ragione, la scelta non fosse caduta su V.S. Naipaul, che caraibico lo è di ce1to-almeno per nascita-e che da anni è indicato tra i possibili vincitori. Si venne più tardi a sapere che la giuria, d'accordo nel voler premiare uno scrittore delle isole, era stata a lungo divisa tra i due. E che alla fine si era deciso per Walcott perché Naipaul aveva incontrato la ferma opposizione di alcuni giurati che giudicavano insopportabile lasua aria di impunito denigratore del Terzo Mondo. Troppo abrasiva e sarcastica la ~a prosa; sospetta persino di antipatia razziale la sua insofferenza nei confronti dei rumorosi e inconcludenti eredi degli.schiavi africani delle West [ndies, Un candidato, insomma-discendente, tra l'altro, di una famiglia di bramini indiani-, che era parso troppo lontano dai principi di conciliazione e dal carattere espiatorio di un premio che, come si sa, è intitolato all'inventore della dinamite. Meglio dunque uno scrittore come Walcott, figlio gemello di genitori entrambi mulatti che contemperava in sé le recriminazioni di una razza e il senso di colpa dell'altra. E che, nell'anno di Colombo, i[!cui era difficile e delicato parlare di conquista dell'America piuttosto che di incontro tra culture diverse, rappresentava una via media tra il Vecchio e il Nuovo Mondo, tra bianchi e neri, tra radicalismo politico e oblio dei soprusi del passato. Meglio, certo. Ma solo in apparenza. Perché, sotto sotto, ed è quello che conta, le cose non stavano affatto in questo modo. In primo luogoperché Walcott non è un ripiego ma un poeta e drammaturgo di prima grandezza. In secondo luogo perché la sua visione del mondo non è il risultato di un atto di conciliazione dettato da ragioni di comodo. Ma è una forma di religione - cioè di re-ligio: di preoccupazione per le cose ultime e il modo in cui sono messe insieme - che ripropone in maniera viva e vibrante l'antico problema dell'importanza della poesia nell'ambito di una cultura. Cioè, il problema della contrapposizione tra la possibilità di scoprire il senso delle cose e la capacità dell'uomo di edificare se stesso con un atto deliberato della volontà: tra l'osservazione illuminata - come se il poeta vedesse il creato per la prima volta -e la rivendicazione della propria parte nel mondo. Una strada, questa della rivendicazione, che però Walcott ha sempre percorso più come artista che come ideologo. E che attraversa il territorio, senza riscatto e senza speranza, della storia caraibica, fatta di fallimenti e di oltraggi che facilmente scatenano le forze distruttive del rancore e dell'odio. Un territorio in cui i neri hanno visto consumarsi il proprio destino di vittime della segregazione e della divisione. E in cui i bianchi sono a loro volta caduti nel baratro della perdizione coltivando l'illusione della propria onnipotenza. Un luogo, insomma, in cui gli uni e gli altri hanno visto e conosciuto il loro inferno, cioè la parte più misera e bassa della condizione umana. Perché, chi comandava ha finito per perdere il controllo su di sé e sulla propria umanità esercitando un controllo illimitato e totale sui propri simili. E chi invece era servo ha perduto il senso e il rispetto per ciò che è umano ed è diventato preda della paura, che è quanto riduce l'uomo al proprio peggio: a meno di quello che è. La deportazione e la schiavitù sono i ricordi sinistri di un passato che ha come emblema il naufragio. E il presente, quando Walcott ha iniziato la propria carriera, era ancora una realtà fracassata come il vascello di Robinson Crusoe. La storia è fatta di iniziative e di risultati, ha scritto Y.S. Naipaul. Ma nei Caraibi non è mai stato creato nulla. Rancore e recriminazione da una parte e senso di colpa dall'altra hanno sempre impedito l'affermazione di una umanità che fosse padrona di sé e del proprio destino invece che serva delle proprie ossessioni e dei propri spaventosi ricordi. Ed è questo il motivo che lo indusse - lui, Naipaul, nativo di Trinidad - a lasciare i Caraibi per trasferirsi definitivamente in Inghilterra all'età di diciotto anni. Ma in quello stesso regno del nulla, sullo sfondo di una natura paradisiaca e abbacinante in cui tutto era ancora da fare, Walcott sentì invece l'impulso prodigioso, come ha sempre affermato, che era stato anche di Adamo nel giardino dell'Eden. L'impulso a dare il nome alle cose perché potessero riempirsi di senso. L'ambizioso compito di Walcott e di altri scrittori della sua generazione - è nato nel 1930 nella piccola isola di Saint Lucia - fu quello di parlare dall'interno di una realtà che non era mai stata nominata in maniera adeguata. E cioè di parlarne in termini di partecipazione: con passione e compassione. Non più con sarcasmo e non più nel falsetto di chi aveva fino ad allora imitato gli scrittori continentali. Né attraverso la retorica stridula di chi aveva adottato idee nate altrove. Soprattutto perché, ha scritto Walcott, la forza di uno scrittore sta nella capacità di ri-conoscere la propria realtà, e nella convinzione e nell'orgoglio di saper resistere alle forze dell'odio. Lo scrittore, come l'uomo qualunque, può costruire se arriva a riconoscere il valore del nulla per quello che è davvero e non in teoria. La gente dei Caraibi sa tutto quello che c'è da sapere sul nulla, ben al di là del significato superficiale della parola. E quella gente sa che quello che può dare indietro ali' Europa, o al mondo dei colonizzatori in genere, è la vendetta o il nulla. Ed è meglio il nulla della vendetta, perché con la vendetta non si crea nulla. Detto questo su questo straordinario scrittore che ha rivelato un universo di valori e di significato non solo ai Caraibici ma all'umanità stessa che è al fondo di tutti gli uomini, e di cui è però futile parlare se non lo si è letto, rimangono in sospeso un paio di ovvie domande. Come mai, ci si chiede, quando è arrivato l'annuncio del Nobel, Walcott non figurava in nessuna enciclopedia letteraria del nostro paese, mentre già nel 1984 era stata pubblicata in America una bibliografia su di lui di centinaia e centinaia di voci? Come mai le persone che lo avevano letto a fondo, e che quindi erano in grado di valutarne l'importanza, si potevano da noi contare forse sulle dita di una mano, mentre nei paesi del vecchio Commonwealth, e anche negli Stati Uniti, Walcott era considerato invece da molti come il massimo poeta di lingua inglese? Che cosa non è funzionato all'interno del villaggio globale della comunicazione? La risposta è elementare ma richiede qualche precisazione. Walcott è stato pubblicato da editori importanti, come Faber & Faber in Inghilterrala casa per cui lavorava T.S. Eliot -, o come Farrar, Straus & Giroux negli Stati Uniti. Collabora da anni a riviste di grande circolazione come "TheNew York Review ofBooks" e "The New Republic", ma in genere sono lunghe recensioni quelle che scrive più che interventi di carattere ideologico. È stato uno scrittore precocissimo: il suo primo libro apparve, quando
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