26 CARAIBI/BERTINETTI E poi, nel 1949, la Hogarth Press pubblicò A Morning at the Office del guianese Edgar Mittelholzer e il diciannovenne Derek Walcott affidò a una casa editrice caraibica i suoi primi 25 Poems; e in quello stesso anno il giamaicano V.S. Reid diede alle stampe il romanzo New Day, che dava voce ai fermenti indipendentisti che percorrevano le Indie Occidentali. Non molto diversamente dagli altri paesi del Commonwealth una prima fase di imitazione e sudditanza culturale nei confronti dei modelli locali lasciò il posto alla scoperta di una prima, confusa, identità, tesa tra aspirazioni di indipendenza nazionale e consapevolezza dell'oppressione colonialistica, tra un'eredità culturale divisa traAfrica e Europa e una nuova realtà caraibica, tra una lingua colta e letterariamente ricchissima e le forme locali dell'inglese, con vocaboli, modi sintattici e ritmi linguistici propri delle diverse comunità "nazionali". Diversamente da quanto avvenne negli altri paesi che diedero vita alle "nuove" letterature in inglese, qui l'inglese non eraperò la lingua nazionale parlata da una popolazione quasi totalmente d'origine europea (e britannica inparticolare), come ad esempio in Australia; né era una seconda lingua, la lingua dei colonizzatori capita da molti ma scritta da un'élite, che si affianca a quelle parlate dalle popolazioni locali (come in Africa e in India). Nei Caraibi l'inglese era la lingua imposta dal dominio britannico agli schiavi africani prima e ai braccianti indiani poi; ma era al tempo stesso l'unica lingua parlata da genti di cultura e idiomi diversissimi, l'unica insegnata nelle scuole, usata nei tribunali e scritta sui giornali. Però, come si è accennato, l'inglese parlato dalle comunità a cui appartengono gli scrittori caraibici si scosta fortemente da quello standard, con delle varianti locali così accentuate da dare luogo a svariati "dialetti". La. tensione tra i diversi tipi d'inglese costituisce un aspetto centrale della loro scrittura e, soprattutto nei casifelici di Walcott e di Sam Selvon, ne determina la ricchezza. Più che gli studiosi e i critici letterari sono stati gli stessi autori caraibici a cercare di individuare l'essenza unitaria della letteratura delle loro isole. In un articolo apparso su "Presence Africaine" nel 1956 lo scrittore haitiano Jacques Alexis aveva proposto l'idea di un 'arte caraibica che nasceva dalla sintesi di forme europee, africane e amerindie e che fondeva insieme reale e fantastico, generando quel "real meravilloso" proclamato da Alejo Carpentier. In questo ambito (che quindi addirittura suggerisce l'idea di un 'unità caraibica al di là delle lingue e delle culture europee di riferimento) si colloca la poetica dello scrittore guianese Wilson Harris, il quale vede la ricchezza della scrittura caraibica nella sua multiculturalità, nell'incrocio fecondo tra culture diverse, che tiene sì conto del patrimonio ancestrale delle genti caraibiche, ma che individua il fattore creativo determinante_non nel recupero delle specifiche culture ma nel nuovo che si costruisce di volta in volta, superando e amalgamando le diverse componenti etnico-storico-culturali presenti nell'eterogeneo mondo delle Indie Occidentali: l 'immaginazione letteraria libera lo scrittore dalla "dialettica della storia" e si consolida in un "ibridismo" che scavalca la specificità dei suoi elementi costitutivi per giungere ai dati primari della società umana. C'è un punto di contatto tra le tesi di Harris e la posizione di Derek Walcott, il quale contrappone al "paesaggio" ingombro delle macerie della storia che il poeta europeo ha davanti a sé il paesaggio caraibico illuminato dalla bellezza della natura. Anche lo scrittore caraibico, diceva Walcott in un ormai lontano saggio del 1974, può essere ossessionato dalla distruzione che la storia ha attuato nei confronti del suo passato, ma ha lapossibilità di trascenderla, di abitare un mondo "senza storia" che egli stesso, grazie al rapporto diretto con la natura, ricrea nella sua visione; e in questo nuovo mondo il poeta, novello Adamo del linguaggio, "dà un nome alle cose", lefa sue con la lingua in cui c'è "il ricordo amaro" del passato e lo slancio del presente. Ideologicamente lontana da Walcott, ma non così lontana sul piano letterario, è la posizione di Edward Kamau Brathwaite, che, in Jazz and the Westlndian Nove), delinea il nucleo della sua tesi sulla "creolization ". In quel saggio egli sottolinea soprattutto l'analogia tra romanzo ejazz in termini di improvvisazione, dove l'improvvisazione è vista come un allontanamento dalle forme letterarie tradizionali a favore di forme "indigene". Queste, come Brathwaite meglio precisò in scritti successivi, consentono di mettere l'accento sul passato africano e amerindio delle genti caraibiche come fonte della loro identità culturale. La "creolization" è il prodotto di un rapporto "stimolo-risposta", rispetto al passato schiavista, rispetto alle differenze etniche e rispetto alle presenti condizioni ambientali. (Ma accanto a questi contributi teorici degli scrittori caraibici è doveroso ricordare il saggio del critico britannico Gerald Moore, The Chosen Tongue, che già nel 1969 proponeva la visione di un 'unica comunità letteraria caraibica il cui retroterra vedeva collegato a quello degli scrittori africani.) Di fronte a quei mari sognati, quelli che Salgari chiamava delle Antille epopolava di corsari multicolori, si è sviluppata una letteratura di splendida vitalità, nuova e antica per le sue radici, nuovissima per la suaforma. Dei suoi autori alcuni li conosciamo. Jean Rhys e V.S. Naipaul, ovviamente, e, seppur meno, Wilson Harris (ma è comprensibile che sia così: Harris èmolto apprezzato dalla critica anglosassone che non conosce CarpentiereArguedas, ma la sua opera, raffinata e colta, non ha la forza narrativa di quella degli altri due autori). Recentemente, grazie al Nobel, abbiamo potuto conoscere Derek Walcott, il maggior poeta vivente di lingua inglese, e grazie all'industria culturale americana, la più modesta Jamaica Kincaid. Ma altri ancora meriterebbero di arrivare da noi. Tra i poeti, Brathwaite innanzitutto, e poi un altro giamaicano, Andrew Salkey. Tra i narratori il Mittelholzer di My Bones and My Flute ( 1955), e il George La.mmingdi In the Castle ofMy Skin ( 1953), i due romanzi chiave dell'affermazione letteraria dell'identità caraibica; ma anche fohn Hearne, Earl Love/ace, Michael Antony; e poi cento autori di racconti che costituiscono il settore più vivace epraticato della letteratura delle Indie Occidentali. Forse, invece, non arriverà mai Sam Selvon, per tre quarti indiano e per un quarto scozzese, nato a Trinidad nel 1923 e apparso sulla scena letteraria con A Brighter Sun nel 1952. Selvon è autore di alcuni romanzi deliziosi (a partire dal bellissimo The Lonely Londoners del 1956), che raccontano con travolgente sense of humour le avventure e le sventure degli immigrati neri di Trinidad a Londra, nel cuore dell'Impero. Formidabile è l'invenzione linguistica che affida la narrazione a una forma modificata della parlata caraibica, un inglese caraibico letterario che supera la distanza di prospettiva tra il narratore del racconto e il racconto stesso. Ci vorrebbe un editore coraggioso e un traduttore geniale. Ma per chi sa bene l'inglese è un libro da leggere assolutamente. La, letteratura dei Caraibi è una realtà multiforme e affascinante, come le isole di quel mare. I materiali qui raccolti vogliono offrirne unpiccolo esempio, nei limiti consentiti a una rivista; ma questi non sono che frammenti di un mondo culturale che per la varietà delle sue radici, dei suoi intrecci, delle sue sovrapposizioni è quanto di più fisicamente universale la cultura di lingua inglese abbia prodotto.
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