l'insegna dell'efficienza, della managerialità, della concorrenza, misure di modesta e opinabile portata, dettate da elementari ragioni di risparmio. Il caso della scuola non offre in fondo che un campione in piccolo dei tanti "idola fori" che affollano lo scenario nebuloso dell'attuale transizione italiana. Non ci stiamo abituando, nel grottesco talk-show che è la forma assunta dal · dibattito politico-elettorale, a vedere esibite, brandite come totem o tabù, categorie quali "liberismo" e "statalismo", "federalismo" e "mercato", come se per giunta denotassero entità univoche e autoevidenti? (Per non parlare degli agghiaccianti figuri non solo nostrani che, nella deriva del linguaggio, si fregiano indisturbati del marchio di "liberaldemocratici"). Anche l'autonomia, che non scardina ma si incrosta sui vecchi ordinamenti e apparati, sembra replicare uno dei vizi strutturali della scuola italiana degli ultimj decenni: quello delle innovazioni "per aggiunta", e non per ripensamento e semplificazione del preesistente, come tasse I li di un mosaico disordinato di cui non si riesce più a cogliere il disegno. La scuola italiana è certo molto cambiata negli ultimi vent'anni, ma è un impasto di arretratezza e modernità, di pratiche didattiche raffinate e routine di bassa cucina, oscilla tra austeri rigori e cinica clemenza verso gli allievi. Se venti o venticinque anni fa era una scuola di élite che subiva convulsamente l'impatto di una crescita di massa, oggi è una scuola compiutamente di massa che stenta a darsi un'identità coerente, ovvero a garantire una qualità media adeguata e diffusa (basta pensare ai giri di consultazione diventati quasi ossessivi fra i genitori al momento delle iscrizioni dei figli), carattere comune peraltro anche ad altre formative, contenuti culturali, educazioSCUOLA17 ne civile, forme di disagio giovanile cui è chiamata da ogni parte a far fronte. I vari governi succedutisi hanno adottato una politica improntata al più limpido bifrontismo: da un lato non togliere nulla ai vecchi e arretrati piani di studio enciclopedici, evitando accuratamente scelte sempre sgradevoli a qualcuno, dall'altro aprire brecce improvvisate alle multiformi istanze del nuovo, soprattutto se avvalorate dal favore dei media, possibilmente creando appositi apparati preposti a gestirle. Ecco dunque il Progetto Giovani, i Referenti Sanitari, gli Istituti di aggiornamento, le strabordanti offerte di iniziative, pubbliche e private, i mille input sensati o assurdi, raccolti o ignorati, che scivolano comunque ai margini e negli interstizi di una didattica largamente impermeabile, in un ciclo perverso di risposte aggiuntive a problemi reali di cui non sfiorano le cause. È vero che nelle scuole italiane hanno ormai piena cittadinanza iniziative su mafia, antisemitismo, razzismo e altri temi di serissima attualità, che tutti promuoviamo con tenace convinzione. Ma non possiamo illuderci che la loro funzione rappresenti qualcosa di molto diverso da una serie di spot, nobili ed edificanti, proiettati nelle pause del solito serial che poi si riprende lo schermo. Utili soprattutto a tener vive alcune discriminanti di civiltà e a offrire occasioni di confronto su temj e fatti altrimenti assorbiti solo attraverso i frammenti dell'informazione quotidiana. Continua a destare sempre troppo poco scandalo, nell'opinione pubblica di un paese che si ritiene avanzato, il fatto che nelle scuole italiane la storia del Novecento nella sua globalità sia praticamente esclusa da quello studio critico con Siracusa,scuolaautogestita(fotodi Antonio Parrinello/Contrasto).
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