accesso al mondo della letteratura passava attraverso l'avventura. Passava attraverso l'utilità immediata che poteva avere un libro. Un autore assolutamente decisivo per me e la mia generazione è stato Julio Cortazar. Ebbi la fortuna di cominciare a leggere Cortazar da giovanissimo. ... e tua madre? Lei è psicoanalista e si occupa anche molto di letteratura. Come vedi, la mia famiglia è un caso raro in Messico, è composta quasi solo da intellettuali. Tu sei rimasto a lungo a casa tua? No. I miei genitori divorziarono quando avevo undici anni e ho vissuto con mia madre fino a diciannove. A quell'età ottenni un lavoro stabile come DJ di rock e andai a vivere con un amico, il che determinò un piccolo scandalo familiare perché mia nonna non voleva assolutamente lasciarmi andare. Qual è il tuo rapporto con la psicoanalisi? A casa mia la psicoanalisi era molto importante. Come si fa il servizio militare, a diciotto anni dovevi passare per la psicoanalisi. Fui costretto a sottomettermi perché altrimenti non avrei potuto vivere in casa. In effetti quando me ne sono andato di casa, ho smesso. Mia madre e mia sorella sono psicoanaliste freudiane e per me tutto ciò rappresentava una specie di obbligo snobistico. Ti è servito il tuo anno e mezzo di psicoanalisi? No, nel mio caso non penso, perché - avevo molte resistenze e prendevo la cosa come un obbligo familiare con cui era importante rompere. In seguito non sono più tornato all'analisi. Dunque, poi hai cominciato a scrivere ... Sì, dopo i quindici anni e quasi senza accorgermene. Le vocazioni fanno la loro comparsa sotto forma di pretesti. Mi resi conto che mi piaceva narrare, che mi piaceva fare quel giornaletto e raccontare partite di calcio (imitavo con grande successo i cronisti del calcio). Mi accorsi che mi piaceva giocare con la lingua ed entrai in un gruppo di scrittura creativa organizzato da Miguel Donoso Pareja, uno scrittore equatoriano. Poi in un altro, organizzato da Augusto Monterroso. Fu un periodo molto importante. Mi dicevi del rapporto tra lo spagnolo e il tedesco: come ha influito sulla tua scrittura questo tuo rapporto con le due lingue? Ho studiato alla scuola tedesca, con compagni tedeschi, ho imparato a scrivere in tedesco così come tutte le materie le ho imparate prima in quella lingua, usando una mentalità tedesca e rapportandomi a situazioni tedesche. Questo ha fatto sì che il mio rapporto con Io spagnolo presupponesse fin dall'inizio l'esistenza di un campo di enorme libertà: era la lingua che si parlava nelle strade, a me vietata durante la giornata a scuola. In questo senso la scuola tedesca mi è stata molto utile, non tanto in relazione al tedesco ma per coltivare questa passione per lo spagnolo. Quando ho cominciato a leggere ho cominciato a recuperare lo spagnolo letterario. Rifiutavo il tedesco, quando ho finito la scuola. Mi proibivo di parlarlo e, come una punizione dell'inconscio, questa lingua mi tornava nei sogni. li problema si è risolto quando ho scoperto alcuni straordinari scrittori di lingua tedesca, Kafka, Mann, Grass, eccetera. Me ne andai a vivere a Berlino e recuperai il tedesco come lingua letteraria. Da allora smisi di sognare in tedesco e adesso sogno solo in spagnolo. Ho vissuto a Berlino tra il 1981 e il 1984. Ero addetto culturale all'ambasciata messicana. In quel periodo ilMessico attraversava un impressionante boom economico, era il quarto produttore mondiale di petrolio e nessuno in questo paese voleva andarsene all'estero. Mi offrirono MESSICO11 quel posto e io ne approfittai benché lo stipendio fosse molto basso. Non ho una vocazione diplomatica però quella è stata una buona esperienza dal punto di vista letterario. Dopo Berlino hai abbandonato definitivamente ogni ipotesi di carriera diplomatica? Sì. Quando mi è stato offerto di andare a Berlino ho accettato perché avevo molto interesse per quella realtà. In Messico c'è tutta una tradizione di scrittori diplomatici: Octavio Paz, Carlos Fuentes, Jaime Garcia, Sergio Pit61, eccetera. Però io, come ti ho detto prima, preferisco essere solo uno scrittore. Tu mi dicevi prima che il Messico è un caso di socialismo reale. Beh, ho esagerato un po', ma ci sono molti elementi in comune. Dopo la caduta dei regimi comunisti, il PRI (Partido Revolucionario lnstitutional) è il partito da più lungo tempo al potere nel mondo. Il fatto di aver creato una società organizzata intorno a un partito unico, concepito come una gigantesca agenzia del lavoro, come una forza di integrazione nazionale, deve molto all'idea di socialismo. Nei paesi ex socialisti, praticamente, il partito stabiliva la vita di ciascuno, era uno strumento rettore. In Messico succede qualcosa di analogo. Adesso c'è una tendenza a rompere questo rapporto stretto tra economia e stato; fino a qualche tempo fa, l'economia dipendeva esclusivamente dallo stato e per moltissimo tempo i capitalisti messicani hanno goduto di tutti i vantaggi del capitalismo e del socialismo. Questa situazione comincia a cambiare nella sfera economica, però deve cambiare anche nella sfera poi itica, mentre non c'è ancora un'alternanza politica. È in questo senso che parlo di somiglianza con i paesi ex socialisti, non certo per ciò che riguarda la distribuzione della ricchezza o la giustizia sociale.L'unico elemento che rompe la monotonia del potere è il fatto che ogni sei anni si rinnova la famiglia, cambiano i nomi di alcune persone, dopo le elezioni, e questo stimola una certa mobilità sociale, il che non ha niente a che vedere con la giustizia sociale. Parlami di Città del Messico. Mia madre viene dallo Yucatan, mio padre da Barcellona, Catalufia. Io sono nato e cresciuto a Città del Messico. Questa città è come la donna barbuta del circo. Ogni volta che si parla di lei, soprattutto nella stampa internazionale, si sottolineano i suoi incredibili difetti: la città più inquinata, la più estesa, la meno sicura, la città che ha più topi e cani randagi, eccetera. Tuttavia noi, forse per un gusto perverso, siamo innamorati della donna barbuta. Credo che sia una città affascinante in più di un senso, una città che sfida ogni equilibrio ecologico, dove è molto difficile la convivenza. Ma allo stesso tempo una città dove si incrociano molte epoche: è la città sepolta degli Aztechi, la città coloniale, è anche la città futurista. Qui hanno girato, per esempio, un film come Tota[ Recall di Schwarzenegger, nel quale si dà l'idea di un futuro già in decadenza. Idea che corrisponde molto a Città del Messico perché le sue zone più moderne danno l'immagine di un futuro già degradato. Tutto questo è molto complesso, ma allo stesso tempo molto interessante. Quando, nel 1958, Carlos Fuentes scrisse La regi6n mds transparente, cercò di disegnare un affresco globale della città, di fare della città il suo personaggio, alla maniera di John Dos Passos con Manhattan. Adesso questo sarebbe assolutamente impossibile, perché Città del Messico contiene molte città, la capitale federale è una somma infinita di città: dalla città invisibile che sta laggiù fino a queste città periferiche che noi chiamiamo ciudades perdidas. Tale fusione genera qualcosa di molto interessante. lo credo che a Città del Messico ci sia una mentalità postapocalittica: chi vede la città dall'esterno si chiede come facciano a soprav.vivere le persone. Per vivere in .una città come questa ci vuole una grande capacità di autoinganno, che è
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