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LINEDA'OMBRA Uscite 1993 Luis Buiiuel I FIGLI DELLA VIOLENZA Un capolavoro della storia del cinema Lire 12.000 DALLE STELLE AL PENSIERO Conoscenze attuali sul passato e l'ambiente del genere ·umano. H. Reeves, A. M. Celan Sengor, J. Reisse, H. Tobien, Y. Coppens, E. Morin. Lire 12.000 Ramon Pérez de Ayala LA CADUTA DELLA CASA LIMONES. Seguito da LUCE DOMENICALE, due storie d'amore e di passione Lire 12.000 AA.VV LA SOCIETÀ DEGLI AMICI IL PENSIERO DEI QUACCHERI, dalla fine del Seicento ai giorni nostri Lire 12.000 Giustino Fortunato I GIUSTIZIATI DI NAPOLI DEL 1799 Persuasione etica nella politica: una rivoluzione e la sua sconfitta. A cura di Vittorio Dini Lire 12.000 Carmelo Bene A BOCCAPERTA Una partitura per il cinema Lire 12.000 Julio Cortdzar ULTIMO ROUND e altri scritti politici. A cura di A. Mariottini e E. Franco Lire 12.000 Rafael Sdnchez Ferlosio LA FRECCIA NELL'ARCO Contro gli alibi ideologici del nostro tempo. A cura di Danilo Manera. Lire 15.000 Giinther Anders e Claude Eatherly IL PILOTA DI IITROSHIMA Ovvero: La coscienza al bando Prefazione di Bertrand Russell e Robert Jungk Lire 12.000 Catalogo Lev N. Tolstoj DENARO FALSO Un racconto-pamphlet sulla potenza corruttrice del denaro. Lire 12.000 Aldo Capitini LE TECNICHE DELLA NONVIOLENZA Lire 12.000 "Voices" GLI SCRITTORI E LA POLITICA Nord e Sud, Est e Ovest, Guerra e Pace. Ne parlano: Boll, Chomsky, Eco, Gordùner, Grass, Hall, Halliday, Konrad, Rushdie, Sontag, Thompson, Vonnegut Lire 12.000 Giinther Anders I MORTI. DISCORSO SULLE TRE GUERRE MONDIALI Lire 12.000 Albrecht Goes LA VITTIMA Cristiani ed Ebrei al tempo di Hitler. Lire 12.000 A PROPOSITO DEI COMUNISTI A. Berardinelli, G. Bettin, L. Bobbio, M. Flores, G. Fofi, P. Giacchè, G. Lerner, L. Manconi, M. Sinibaldi,con il Piccolo Manifesto di Elsa Morante Lire 12.000 Heinrich Boll LEZIONI FRANCOFORTESI Poetica e morale, cultura e società Lire 12.000 "Voices 2" IL DISAGIO DELLA MODERNITÀ Amis, Beli, Bellow, Briefs, Castoriadis, Dahrendorf, Galtung, Gellner, Giddens, lgnatieff, Kolakowski, Lasch, Paz, Rothschild, Taylor, Touraine, Wallerstein Lire 12.000 Arno Schmidt IL LEVIATANO seguito da TINA O DELLA IMMORTALITÀ. A cura di Maria Teresa Mandatari Lire 12.000 Francesco Cicifaloni KANT E I PASTORI Identità e memoria, campagna e città, ieri e oggi, Italia e America, destra e sinistra Lire 12.000 UN LINGUAGGIO UNIVERSALE Le interviste di "Linea d'ombra" con gli scrittori di lingua inglese: Ballarci, Barnes, Ishiguro, Kureishi, McEwan, Rushdie, Swift (Gran Bretagna), Banville (Irlanda), Gallant, lgnatieff, Ondaatje (Canada), Breytenbach, Coetzee, Gordùner, Soyinka (Africa), Desai, Ghosh (India), Frame (Nuova Zelanda) Lire 15.000 VIOLENZA O NONVIOLENZA Engels, Tolstoj, Gandhi, Benjamin, Weil, Bonhoeffer, Caffi, Capitini, Fanon, Mazzolari, Arendt, Bobbio, Anders. Lire 15.000 Marco Lombardo Radice UNA CONCRETISSIMA UTOPIA Lavoro psichiatrico e politica. Lire 12.000 TRA DUE OCEANI Le interviste di Linea d'ombra con gli scrittori statunitensi: Barth, Bellow, Carver, De Lilla, Doctorow, Ford, Gass, Highsmith, Morrison, Ozick, H. Roth, Singer, Vonnegut.Lire 15.000 Aldo Capitini OPPOSIZIONE E LIBERAZIONE A cura di Piergiorgio Giacchè Lire 12.000 Friedrich Schiller IL DELINQUENTE PER INFAMIA A cura di Cesare Cases Lire 12.000 Goffredo Fofi I LIMITI DELLA SCENA Dal neorealismo all'omologazione Lire 12.000 "Voices" PRO E CONTRO LA PSICOANALISI Baker Miller, Bentovùn, Bettelheùn, Chasseguet-Smirgel, Glasser, Green, Griinbaum, Hartman, lgnatiefJ; Marcus, Mitchell, Pedder, Rieff, Segai, Spillius, Steiner, Turkle, Young. Lire 15.000 M. K. Gandhi SULLA VIOLENZA A cura di G. Pontara Lire 12.000 Mori Ogai L'INTENDENTE SANSHO Una antica cronaca ri-nainta da un grande scrittore. A cura di M. Mastrangelo e M. T. Orsi Lire 12.000 Unea d'•bra edizionsirl-ViaGaffuri4o, 20124Milantoel.6691132 DistribuzioGneiunt(iFirenze)
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Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Redazione: Lieselotte Longato Abbonamenti: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Pau·izia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Giovanna Busacca, Alessandra Dragone,· Barbara Galla, Michele Neri, Marco Antonio Sannella, Barbara Verduci, il Teatro Stabile di Torino, le agenzie fotografiche Contrasto e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl - Via Gaffurio 4 20124 Milano Tel. 02/669 I I32. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie POE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Tel. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data I8.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70%-Numero89- Lire 9.000 llNEA D'OMBRA anno XII febbraio 1994 numero 90 IL CONTESTO 5 7 9 16 60 Joaqu{n Sokolowicz Juan de la Cabada Juan Villoro Santina Mobiglia Francesco Sisci CONFRONTI 19 50 66 67 70 71 74 Guglielmo Forni Mario Barengh.i Francesco Ciafaloni Bruno Falcetto Federico Varese Giovanna Calabrò Mimmo Lombezzi Sul Messico Rivolta in Messico La pioggia. Racconto Paesaggio senza folclore Incontro con Maria Nadotti Uno strano movimento di normali studenti Cina: corruzione e burocrazia dopo Deng I Diari di Simone Weil Gene Gnocchi scrittore Boringhieri. Elogio di un editore Soldati, tra trasgressione e riconciliazione Il modello Westminster. La retorica dei riformatori Storia e romanzo di Francisco Franco Nicole Janigro dalla ex Jugoslavia DOSSIER CARAIBI 25 27 34 36 38 40 43 44 Paolo Bertinetti Derek Walcott Mutabaruka Marcello Lorrai Jamaica Kincaid Earl Lovelace Geoffrey Drayton RogerMais -----------------~--------...J Una nuova realtà Calypso Incontro con Luigi Sampietro Reggae in poesia a cura di Armando Pajalich Musica creola Quattro storie per niente strane Mia madre Fleurs Mister Dombey, lo zombie Coprifuoco MUSICA E SPEffACOLO 46 48 49 51 75 Yvonne Brewster Marco Restelli Peppo Delconte Renata Molinari Filippo La Porta SCIENZA 53 Emst Mayr Teatro "etnico" Incontro con Gabriella Giannachi Il Buddha fotomodello di Bertolucci Philip Glass, un americano a Parigi Ricordo di Antonio Neiwiller Caro Moretti ... La biologia evoluzionistica contemporanea a cura di Enrico Alleva La copertina di questo numero è di Andrea Pedrazzini. La vignetta a pag. 65 è di Franco Matticchio. Abbonamento annuale: ITALIA L. 85.000, ESTERO L. I00.000 a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra o tramite carta di credito SI. I manoscrilli non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo ingrado di rintracciare gli aventi dirillo, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi.
No.... Fotodi HéctorGarda (do Escribircon luz, Fondode CulturaEcon6mico,Mexico 1985).
MESSICO 5 RIVOLTA IN MESSICO TRAGLIINDIOSDELCHIAPAS JoaquinSokolowicz È qualcosa di nuovo nella storia moderna dell'America Latina. Nuovo e importante, quali che siano gli sviluppi futuri della situazione scatenata, se non altro perché rappresenta già un simbolo per regioni anche distanti dal Sud messicano ma pur sempre appartenenti a quella vasta parte di terzo mondo che si trova nell'emisfero occidentale. Nel Chiapas sono esplose tutte insieme le bombe, piazzate da lunga data o introdotte recentemente, su cui si adagiavano le illusioni di una stabilità raggiunta o ricercata nell'insieme dei paesi situati tra il Rfo Grande e la Temi del Fuoco. La grande maggioranza degli abitanti vi sopravvive in condizioni di sottosviluppo mentre i provvedimenti governativi di macroeconomia non guariscono le malattie mortali tra loro diffuse né aggiungono qualcosa al poco che hanno da mangiare, politiche liberistiche e di difesa della moneta, le quali si assicura che produrranno benefici per tutti ma chissà quando, sistemi di governo basati sulla spartizione del potere tra piccole minoranze, sussistenza di sterminati latifondi in faccia a milioni di senzaterra, indios che ovunque occupano il gradino più basso della struttura sociale e subiscono in ogni aspetto della loro esistenza le discriminazioni dei rappresentanti dello Stato e di tutti gli altri settori del paese. Diverse circostanze fanno apparire come una novità quel che è successo nello Stato più povero del Messico. Salta innanzitutto alla vista il grado di preparazione militare dell'EZLN, l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i cui reparti sono rimasti in piedi nonostante i massicci bombardamenti aerei e gli attacchi dell'artiglieria di terra; stando a fonti giornalistiche attendibili, i ribelli rimasti uccisi nei pur intensi combattimenti sono meno di un centinaio. Restano - si calcola - tra 2.000 e 4.000. A dispetto dell'inseguimento di migliaia di soldati equipaggiati a dovere, gli zapatisti, ritiratisi da città e villaggi occupati nella fase iniziale, sono riusciti a rifugiarsi soprattutto nell'impenetrabile selva Locandona, al confine con il Guatemala. Possono quindi sferrare altre offensive in futuro, certo con i conseguenti bagni di sangue: il Chiapas è ora una regione militarizzata, con numerose nuove guarnigioni stabilite dal governo. A giudicare dal livello organizzativo e tattico dimostrato, l'EZLN dovrebbe aver addestrato i suoi uomini - pensano gli esperti - da circa dieci anni. Ecco un'altra novità, che si aggiunge alla sorpresa di aver saputo solo poche settimane fa (noi e anche le autorità messicane!) dell' esistenza di questa milizia: mai in passato nessun'altra organizzazione latinoamericana di guerriglia si era preparata così a lungo prima di uscire allo scoperto. Il presidente della repubblica, Carlo Salinas de Gortari, ha capito presto che sconfiggere gli zapatisti sul terreno militare avrebbe richiesto il pagamento di un prezzo troppo alto. Ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale e imboccato la via della trattativa, riconoscendo il nemico come "parte belligerante", cioè interlocutore di pari dignità. E anche questo successo ottenuto in tempi così brevi da un movimento ribelle latinoamericano rappresenta una novità. È difficile immaginare quale compromesso politico di largo respiro possa sfociare dai negoziati in corso mentre scriviamo. Evidentemente un'organizzazione che ci ha messo tanti anni e sforzi per essere pronta alla guerra non lascia la clandestinità perché il presidente ha fatto approvare in fretta dal Parlamento alcuni provvedimenti assistenziali per tamponare la drammatica situazione dei contadini meridionali; lo può fare in cambio di una contropartita che soddisfi la sua ragion d'essere. D'altra parte il governo certamente non si ritirerà dal Nafta, il Trattato di Libero Scambio con Stati Uniti e Canada la cui entrata in vigore, il primo gennaio, è stata presa come spunto dall'EZLN per dare inizio alla rivolta. Né rinnegherà gli impegni assunti con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che hanno consentito di bloccare l'inflazione e di rinegoziare il debito estero; sarebbe come seppellire i risultati dell'intera gestione di Salinas, che è alla fine del suo mandato, e legherebbe fin da adesso lemani al suo successore, sicuramente quel Luis Donaldo Colonio che è stato scelto dal presidente in carica come candidato del partito governativo proprio perché sostenitore acceso della sua politica economica. Anzi è probabile che la scelta di ricercare una pace negoziata con i protagonisti della rivolta obbedisca alla volontà di evitare una fase lunga di violenza destabilizzante, che comprometterebbe quanto fin qui ottenuto dalle autorità in economia sul piano internazionale. E allora? Non risulta che il movimento zapatista voglia partecipare al potere per condizionare la politica socioeconomica del governo; né alcun suo documento pubblico afferma che alla conquista del potere punti con la lotta armata, come sempre fatto dalle organizzazioni guerrigliere nel continente. Non chiarisce le cose la richiesta di "libere elezioni": può forse ottenere il governo, ammesso che lo volesse, se non in minima parte, che le consultazioni formalmente libere svolte con regolarità nel paese non siano inquinate e stravolte dalle frodi e dalla corruzione clientelare? Il Messico è retto da un sistema nato nel clima postrivoluzionario degli anni Venti. Democrazia imperfetta o perfetta dittatura di un partito. Da 65 anni governa ininterrottamente il PRI (Partito rivoluzionario istituzionale), che controlla le leve fondamentali del potere e anche le grandi organizzazioni nazionali come la federazione sindacale e l'associazione dei contadini. Il capo dello stato governa per sei anni quasi con le prerogative di un monarca. Sistema generalmente considerato di democrazia, siapure imperfetta, perché la Costituzione impone un termine all'esercizio asso!utistico del potere: il presidente non può essere mai più rieletto; la dinastia di fatto ammessa è quella del partito. Non è poi privo di significato, se si fa il confronto con il resto del!' America Latina il fatto che da parecchi anni i militari messicani siano tenuti fuori daÌle sfere governative. Ora, il PRI è, più che un partito politico, una macchina per gestire il potere sulla base di equilibri interni di ripartizione di fette di controllo in un conglomerato di correnti, sottocorrenti, signori di provincia, corporazioni. Che per governare si serve di una burocrazia smisurata, insensibile ai problemi reali
6 MESSICO della gente. Da sempre nel Chiapas, davanti agli occhi indifferenti di funzionari locali e senza che sentano gli orecchi delle autorità lontane, i contadini sono alle prese con le tragedie della miseria. Ultimamente la loro situazione è peggiorata a causa della crisi nel settore del caffè, che è la principale ricchezza della regione. Ma come mai all'improvviso le vittime di tale sottosviluppo sono state ingrado di sollevarsi con una forza che ha fatto tremare i palazzi governativi di Città del Messico? Piuttosto la domanda che più di altre attende risposta è: chi sono i promotori e capi della rivolta? È chiaro che la guida non può essere emersa dal l'interno della comunità indigena. Quel le che dovrebbero essere le conseguenze negative del nuovo mercato americano, il taglio delle sovvenzioni statali per i prodotti delle zone meridionali e la nuova disoccupazione che ci sarà in queste campagne quando cominci ad arrivare in Messico il mais dagli Stati Uniti, sono ancora da venire. A prevederlo e a spiegarlo all'opinione pubblica mondiale non possono essere gli indios, che a malapena sanno cosa sia ilNafta. Che i capi non siano indios, ma forse meticci, lo hanno riferito tutti i corrispondenti dopo aver visto il colore della pelle nelle parti scoperte degli uomini intervistati. E chi sarebbero questi uomini? Oggi non ci sono i referenti politici esterni di altri tempi per la lotta armata nel continente. Monsignor Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal de las Casas (la maggiore città del Chiapas), ha detto: "Sbaglia chi pensa che dietro la rivolta ci sia un'ideologia marxista ... Non ci sono radici ideologiche dietro questa rivolta degli indios". E lo stesso EZLN ha scritto in una lettera all'ambasciata degli USA in Messico: "Noi non abbiamo nulla a che vedere con il terrorismo internazionale", usando in questo caso un linguaggio gradito a Washington. Sono forse ex guerriglieri del Messico e di paesi vicini rimasti nascosti a progettare una rivoluzione dopo aver rinunciato agli ideali marxisti? Oppure intellettuali di sinistra che controcorrente hanno impugnato le armi quando tutti gli altri se ne sbarazzavano? Pochi anni fa scriveva Enrique Krauze: "Il Messico è forse l'unico paese al mondo in cui il '68 rimane in vita". Ma chi ha finanziato per una decina d'anni un esercito nascosto nella selva? Chi ha portato ad esso le armi, del resto reperibili facilmente sul mercato internazionale? Si deve immaginare l'esistenza di una vera e propria struttura di sostegno. Insospettata, perché altrimenti le autorità avrebbero provveduto tempestivamente ad affrontare i ribelli che si preparavano per futuri attacchi. Nel carcere le risposte a queste domande, non pare azzardato rivolgere l'attenzione ai numerosi preti che nel Messico meridionale sono molto attivi nella denuncia delle ingiustizie sociali. Tre anni fa è nato da quelle parti i I Movimento Popolo Credente, un nome che sembra confermare le imputazioni di Jean Meyer ai settori cattolici allineati alla Teologia della liberazione: "Rivendicano la missione profetica della Chiesa mentre il progetto politico rivoluzionario assume una dimensione messianica" (imputazioni che coincidono con la nostra diffidenza verso quei settori - a prescindere dalla legittimità delle loro proteste contro le cause del sottosviluppo-, posizione personale che però non ha alcuna importanza). I propositi enunciati dagli zapatisti in pubblico sembrano, piuttosto che ispirati dalla sinistra politica tradizionale, riflettere il linguaggio di quei sacerdoti. Bisogna attendere per saperne di più. Intanto, il nome del Chiapas ha cominciato a riecheggiare nelle regioni settentrionali della lontana Argentina, nel Venezuela instabile e violento, nel Nicaragua che non si risolleva dalla miseria. SanCristobalde lasCasas,gennaio1994 (fotoElExcelsior/Sygma/GraziaNeri)
MESSICO 7 Juan de la Cabada LA PIOGGIA traduzione di Marco Nifantani Juan de la Cabada (Messico 1903-1985), è noto soprattutto per i racconti che ha lasciato: Paseo de mentiras, 1940, Incidentes mel6dicos del mundo irracional, 1944, El brazo fuerte, 1963, Cuentos del camino, 1980, Ahora yen la hora, 1980, Corto circuito, 1982. Militante comunista dagli anni Venti, è una di quelle figure leggendarie, assieme al Dr. Atl, ]osé Revueltas, TinaModotti, Diego Rivera, cheanimaronolaculturamessicana a partire dagli anni Trenta. Si veda al proposito il romanzo di Elena Poniatowska, Tinfsima, ERA 1991, non ancora pubblicato in Italia. Oltre alla produzione scritta, Juande la Cabada, raggiunse prestigio epopolarità per la grande abilità di narratore orale, tantOche molte persone delle fasce sociali più basse, operai e contadini della metropoli messicana, che de la Cabada frequentò nel corso della sua vita, ricordano ancora storie e racconti che non sono mai apparsi in volume. Egli si occupò assiduamente, con reportages e racconti, del popolo indio. La pioggia (La, llovizna), che qui traduciamo, è uno di questi racconti, tra/lo da Mi primera mujer y otros cuentos ( Edito rial Arte y Literatura, l'Avana 1989). Da qualche tempo, da quando mi sono arricchito con la guerra mondiale e mi sono sposato e sono venuti i figli, non mi riesce più di raccontare una storia. Prima ci riuscivo bene: allora ero libero, ora invece ho i figli. E se poi gli do il cattivo esempio. Perché non riesco a decidermi? Forse gli affari mi hanno abituato alle attenzioni del signor prete, del notaio, di un giudice o di qualunque altra persona. "C'è qui don tal dei tali che ce lo racconta". Ebbene, una di queste notti di nebbia e di pioggia, me ne andavo solo, senza testimoni, lungo la strada buia. Sì, al volante della mia automobile, con gli occhi fissi a seguire i fasci di luce dei fanali; avevo fretta e una rabbia contenuta, un certo inesplicabile timore e pessimi pensieri al vedere le luci opache di certe lanterne che oscillavano coprendo il cammino per tutta la sua larghezza, come fossero mosse da gente che bloccava la strada. Né fischi né sirene, né voci, nulla sembrava indicare che sul posto fosse successo qualche maledetto incidente. "Non vorranno per caso derubarmi? E chi dice che siano solo sulla strada? Avranno complici, nascosti ai due lati. Allora vediamo, se non mi fermo e li investo, gli altri mi sparano alle spalle. Però, che saranno mai questi dubbi, iJ revolver ce l'ho carico. Perché tanta paura? Prima o poi dovrò pure usarlo" pensavo; preparai l'arma e fermai la macchina. "Cosa succede?" dissi brusco e ad alta voce. Quelli delle lanterne si avvicinarono. Mi sembrarono quattro indios disgraziati, di quelli che uno riconosce subito come i prototipi dei nostri muratori, metà operai d'industria e metà contadini. Sotto lalucedei fari vidigli otto paia di sandali che si avvicinavano. Il resto degli indumenti erano delle tute azzurre, dei cappelli di paglia e un medaglione colorato al collo. "Cosa è successo" gridai. Mentre si avvicinavano, con le lanterne in alto, infilai la pistola nei pantaloni e per avere più facilità di movimento al momento desiderato, sbottonai i tre bottoni inferiori del gilè, nel caso ne avessi avuto bisogno. "Cosa è successo" gridai un'altra volta quando erano vicini e potevo vederli in faccia .. Uno di loro, quello più vecchio, aveva grandi baffi cadenti; due dimostravano una trentina d'anni e l'ultimo, il più giovane, meno di venti. "Padrone - disse il vecchio - dobbiamo arrivare a Città del Messico, perché dobbiamo entrare presto, domani di lunedì, al lavoro." Forse mi sono dimenticato. Non ho detto che quella notte di marzo, mentre tornavo dal fine settimana, era di domenica? Credo di sì oppure no? Alle parole del vecchio, furioso per la paura che mi avevano fatto passare e animato da un puntiglioso desiderio di vendetta, sorrisi con il necessario disdegno mentre muovevo la testa in segno di negazione. "Si è fatto tardi, capo" aggiunse uno degli altri indios. Era meglio prendersi un po' di tempo per pensarci e allo tempo stesso tormentarli un po', così che né accettavo né negavo. "Per favore padrone, è che già non passano i bus e lei va nella stessa direzione." Intervenne il più giovane: "Siamo muratori" e sorrise con innocenza dissimulando però una certa malizia. Osservai il suo sguardo astuto su un volto troppo sveglio, e fu così chiaro ciò che insinuava, che se mi fossi negato sarebbe stato come dimostrargli di avere paura e tirarmi indietro. E questo mai! "Voi tre sedetevi qua dietro" ordinai. "Tu vecchio davanti con me." Spensero le lanterne e fecero di corsa quelJo che gli avevo detto. Non smetteva, la pioggia. Tolsi il freno a mano, accelerai, e proseguii. Quelli dietro dissero soltanto quattro frasi che ricordo molto bene. "Come starà Eusebita?" "Si sa." "Così bella!" "Così splendenti i suoi sette anni!" Da lì in avanti si chiusero in un silenzio ostinato. Né una risata, un tentativo di attaccare discorso, solo un mutismo di quelli che inquietano, che suscitano sfiducia, sospetti o che intimidiscono, deprimono. E poi l'oscuritàafilodei continui precipizi, le circostanze, quella pioggerella tenace e il ricordo delle lanterne ancora negli occhi. Da lontano, l'alito del vecchio appestava di alcool di terza categoria, tanto che, quando si voltò per parlarmi, provai uno schifo insoppo1tabile. "Indio alcolizzato." "Questa acqua non entrerà neppure quattro dita sotto la terra, vero padrone?" "Uhh" risposi, contenendo il fiato. Dopo un breve silenzio, insistette. "Né due dita, neppure due dita, non crede padrone?" "Indio alcolizzato" pensai di nuovo e non gli risposi.
8 MESSICO "Vero, padrone?" "Sì, certo" dissi. Bisognava essere pazienti. Altro intervallo e di nuovo: "Neppure un dito, vero padrone?". E di nuovo, ad ogni momento: "Neppure così, neppure un dito, vero signore?". La macchina correva a tutta velocità e cominciai ad avere di nuovo paura. Una specie di sesto senso. Si sa cosa sono gli indios con il loro linguaggio incomprensibile e con la loro cantilena. Cosa voleva dire, cosa voleva dare ad intendere agli altri, che continuavano imperterriti nel loro mutismo? Almeno fossero davvero pietre, pietre inoffensive, ma sono esseri umani! Intanto continuava a piovere e la strada era deserta, avvolta nell'oscurità fredda della nebbia spessa. I timori mi ritornavano a folate: solo il pensiero del revolver riusciva a dissiparli in parte. "Neppure due dita, vero capo?" "Ah, ah!" "Neppure uno..." "Già." E continuava: "Neppure uno, neppure un dito, neppure tanto così..." "Certo." "Perché quest'acqua la manda Dio per rinfrescare la semina." "Naturalmente." "Per rinfrescare la semina e non per entrare nella terra, vero?" "Vero." "Non è vero padrone, vero padrone?" SonCristobolde losCosos,gennaio 1994 (fotoElExcelsior/Sygmo/GrozioNeri) D'improvviso ilmotore cominciò adare segni di surriscaldamento. Arrivati al primo villaggio, mi fermai e dissi agli uomini quel che succedeva. TIvecchio si offri per andare al primo negozio e farsi dare un secchio d'acqua. E allora, mentre una luce forte inquadrava la sua lontana figura, di fronte all'entrata del negozio, il più giovane dei tre che erano rimasti in macchina si avvicinò alla mia schiena e disse, da dietro: "Padrone". Voltai la testa. "È mio padre, padrone." Si fermò come fanno gli indios, per riprendere fiato e un altro disse: "Ha bevuto". Il più giovane continuò: "Lo perdoni, dice queste cose perché veniamo dal nostro villaggio dove siamo andati a seppellire la mia sorellina. È la pura verità, padrone, che siamo muratori". lo non chiedevo nessuna spiegazione, ma il terzo aggiunse ancora: "Non vuole che la piccola anima si bagni, là sotto, dentro il corpicino". Continuarono l'oscurità, il mistero e la pioggia, la pioggia, il mistero e l'oscurità lungo il cammino. Ho detto che avevo due figli: una figlia e un figlio? Ebbene, la figlia si ammalò. E adesso, duro di cuore come sono, mi sento triste a volte in macchina. Piove e ricordo come un soffio: "Come starà Eusebita?" "Si sa." "Così bella." "Così splendenti i suoi sette anni!" Copyright Juan de la Cabada 1970.
MESSICO 9 Juan Villoro PAESAGGIO SENZA FOLCLORE IncontroconMariaNadotti traduzione di Jaime Riera Rehren Luglio '93. Città del Messico. Sono qui per tutt'altro, ma non vedo l'ora di dare una faccia, un corpo e una voce a un "giovane" scrittore messicano, Juan Villoro, di cui la casa editrice Il Vascello di Roma pubblicherà nei prossimi mesi Palmeras de la brisa rapida, un viaje a Yucatan (1989). Ci siamo scritti nell'ultimo periodo e, soprattutto, ho letto alcune delle sue tante, interessantissime, opere. In particolare un romanzo, El disparo de argon, uscito in Messico nel 1991 e subito premiato da un grosso successo di pubblico e di critica oltre che dalla pubblicazione in altre lingue. Lo chiamo dunque e, nel mese che passo a Città del Messico, ci incontrerem? spesso: Travolta e un po' sbalordita, io, dalla generosità e dalla semphc1ta con cui J uan mi mette a disposizione il suo tempo, i suoi amici, quell'incredibile rete di rapporti intellettuali, politici, artistici, di pura quo~idianità che definisc~ la vita culturale della capitale del distretto federale. V1lloro, trentasette anni, "bianco, alto e chiaro di capelli in un paese sostanzialmente meticcio", come dice lui stesso con divertita autoironia, parla un ottimo italiano. L'intervista che presentiamo si è svolta però in spagnolo, una lingua che lo scri_ttoreparla a raffica, divertendosi a giocare con le parole, a slittare su accenti e toni, ad attingere con piacere evidente al repertorio dei neologismi e soprattutto ~el gergo giovanile messicano. Alcune pagine tratte d~ Palmeras de la bnsa rapida, un viaje a Yucatan sono state tradotte da Ja1me R1eraRehren per il numero 67 di "Linea d'ombra", nel gennaio del 1992. Cominciamo dalla figura sociale dello scrittore in Messico. Pacheco mi diceva che lui per vivere deve insegnare ... In Messico non è possibile vivere facendo lo scrittore, perciò bisogna fare lavori paralleli come insegnare, tradurre, scrivere sceneggiature per il cinema, lavorare per la radio e la televisione, tenere conferenze, fare il giornalista o occuparsi di pubblicità. Io credo che questo abbia dei vantaggi: lo scrittore non si trova isolato come succede in alcuni paesi. Negli Stati Uniti, per esempio, esiste la carriera universitaria del creative writing e c'è tutto un genere letterario che descrive soltanto la vita nei campus. Ciò isola lo scrittore rendendogli difficile acquisire esperienze vitali come quelle di Faulkner che si guadagnava da vivere scrivendo per il cinema, cosa che lo costringeva a fare la spola tra Hollywood e il Sud degli Stati Uniti. Certo noi ci lamentiamo di dover svolgere troppe attività, però in qualche modo ciò ci mette in contatto con altre esperienze e questo mi sembra positivo. Parlami del tuo caso. Come molti altri, anch'io svolgo molteplici attività. Quale potrebbe essere l'alternativa? Essere un funzionario pubblico. Infatti in questo senso lo stato messicano assomiglia molto agli ex stati socialisti e, nel bene e nel male, ha svolto un ruolo diretto nella politica culturale, è stato il grande patrocinatore della cultura messicana. Grazie a ciò si sono sviluppati alcuni importanti movimenti che richiedevano comunque l'appoggio statale, come ad esempio il muralismo. Lo stato mise a disposizione degli artisti i muri della città; giocò un ruolo importante il ministro e scrittore José Vasconcelos. Allora molti scrittori e intellettuali hanno scelto di diventare funzionari pubblici al fme di ottenere un buon posto ali' interno di questo enorme apparato culturale. Io personalmente ho scelto di non farlo perché da un lato mi toglierebbe molto tempo e dall'altro mi condizionerebbe, togliendomi la libertà di scrivere criticamente. Anche se si può essere soltanto un tecnico nell'apparato, il fatto stesso di lavorare per il governo fa sì che il suo modo di pensare ne sia in certa misura vincolato. Perciò ho scelto di vivere facendo molti lavori e vivo abbastanza bene, non mi lamento per niente. Lavoro in una rivista, "Biblioteca de Mexico", insegno letteratura comparata ali' università (mi sono occupato di Italo Calvino, di Julio Cortazar e adesso tengo corsi su Kafka e Borges); sono anche opinionista in una radio, ABC Radio; traduco dal tedesco e dall'inglese. Uno dei miei lavori più importanti di traduzione dal tedesco è stato Los aforismos di Christoph Lichtenberg classico del Settecento che non era mai stato tradotto in spagnolo. Ho tradotto racconti di Schnitzler e Memoria di un antisemita, un libro di Von Rezzori, un autore nato nell'estremo lembo orientale dell'Impero austroungarico, che attualmente vive a Roma. Ho tradotto anche un libretto d'opera di Hugo Von Hofmannsthal, Arianna a Nassa. Dall'inglese ho tradotto Graham Greene e alcuni racconti di Truman Capote. Come e quando hai cominciato a scrivere? Ho avuto un'infanzia poco libresca, leggevo poco da bambino. Come a tutti i bambini anche a me interessavano la tv, il cinema e i fumetti. Non pensavo che i lib1i avessero qualcosa da dire, cioè che fossero un'occasione di godimento, pensavo che fossero solo uno strumento di studio. Alle medie- avevo dodici anni -1' insegnante ci portò una serie di classici perché ne scegliessimo uno. Il pri°!odella classe scelse l'Eneide di Virgilio, mentre la grande maggioranza preferì il Lazarillo de Tormes perché era un volume piccolissimo; io scelsi il Cid perché avevo appena visto il film con Sofia Loren e Charlton Heston, che mi era talmente piaciuto che avevo chiesto a mia nonna di cucirmi il costume del Cid Campeador. In quell'epoca era normale che i bambini giocassero nelle strade in costume, soprattutto travestiti da indiani e cowboys, da Batman e Superman, generalmente imitando i film nordamericani. Io invece ero vestito da Cid, il che appariva stravagante, di sicuro. Questa mia ridicola comparsa nella strada obbediva alla mia passione per il film sul Cid. Quando seppi che c'era anche il libro lo lessi. Il libro, come si sa, è scritto in spagnolo antico e io ci restai male: mi sembrava incredibile che un film così bello fosse stato tratto da una sceneggiatura così brutta. Non riuscivo a trovare rapporto tra l'uno e l'altro. Questo
10 MESSICO Fotodi Graciela!turbide(da Suenosde pope/, Fondode Cultura Econòmica,México 1988). aneddoto la dice lunga su come si insegnava la letteratura a scuola. Ci davano da leggere i classici convinti che iJresto non avesse valore. Dopo, nella scuola superiore, abbiamo dovuto leggere Cuore di Edmondo De Amicis, un libro che ci fece piangere tutti, è chiaro. A me sembrava che fosse uno dei sacrifici richiesti per andare avanti a scuola. Non mi veniva in mente che qualcuno potesse piangere per scelta, che qualcuno leggesse De Amicis per il piacere di piangere a casa sua. In quel periodo i libri rappresentavano ancora le tappe necessarie del percorso scolastico. A un certo punto lessi Il capitano Hatteras di Giulio Veme, che mi sembrò un libro straordinario, pieno di poesia. Lo lessi fuori della scuola perché mio padre era un patito di Veme, ma fu un'esperienza irripetibile. Fu come aver partecipato all'epopea del ghiaccio. Ecco cos'erano i libri, ci parlavano di cose molto lontane, di epopee estreme. Non riuscivo a pensare che le avventure di un capitano fanatico avessero qualcosa in comune con la mia esperienza e la mia vita. Poi, una volta, durante le vacanze - avevo quindici anni - un amico mi disse di aver letto un libro straordinario, De Perfil di José Agustin, uno scrittore messicano. Questo libro parlava di un ragazzo di Città del Messico che si trovava in vacanza, cioè parlava di una situazione identica alla mia: c'è un narratore in prima persona che non sa cosa fare della propria vita. Il mio amico e io ignoravamo che si potesse scrivere narrativa in prima persona. Pensavamo che si trattasse delle confessioni di un adolescente che riusciva a sedurre una star della musica rock e allora lo leggevamo anche come manuale pratico per imparare a sedurre una donna. Comunque quella lettura rappresentò una svolta, da quel momento mi resi conto che la letteratura poteva far parte delle mie esperienze personali, includermi nel suo mondo: sentii che in quel romanzo si parlava anche della mia vita. L'identificazione fu tale che dopo aver letto quel libro scrissi subito un racconto. Ero lo scrittore più incolto della storia della letteratura, perché avevo letto un solo libro e avevo scritto un racconto. In precedenza, col mi01amico Jaime Nualart, avevo fatto parte di un gruppo di teatro. Mi interessava il teatro, ma soprattutto mi interessava ciò che lo circondava, l'ambiente hippie, la musica. Componemmo un'opera chiamata canonicamenteAmory paz ( 1969), opera pacifista. Un'altra esperienza scolastica fu il giornaletto che facevo a scuola e vendevo ai compagni per guadagnare un po' di soldi. Si chiamava "La tropa loca" e io tenevo una rubrica di pettegolezzi. Ero un pettegolo dotato. Tuttavia certamente non ho mai pensato che quello avesse a che vedere con la letteratura. Più tardi, quando cominciai a leggere e scrivere sul serio, mi occupai dei pettegolezzi a un altro livello. Tu vieni da una famiglia di intellettuali. .. Sì, mio padre è filosofo e la mia vita è stata sempre circondata dai libri, che io non leggevo, forse per rifiuto della figura patema. Sono sempre stato un ragazzo ribelle. L'opera principale di mio padre si intitola La significacion del silencio e il mio primo lavoro fu un programma di rock, esattamente l'opposto del silenzio. Adesso ho buoni rapporti con mio padre però ci è voluto molto tempo prima di trovare un accordo. Io volevo scoprire le cose coi miei mezzi. Forse quel rifiuto dei libri esprimeva una mia ribellione di fronte a un mondo che consideravo astratto e inutile. A sei anni non serve a niente avere un padre filosofo. Una mia cugina si è dedicata alla filosofia e suo padre è un cacciatore di professione. Questo zio era la figura che più mi attraeva, da bambino, perché era un avventuriero e molto affettuoso coi ragazzi. Ci raccontava delle sue scorrerie e ci parlava della battuta di caccia che un giorno o l'altro avrebbe fatto in Africa. Per me, la sua era una vita perfetta. Quando io chiedevo a mio padre cos'è un filosofo Iui rispondeva: "Uno che s'interroga sul senso del le cose". E a me tutto quel mondo fatto di astrazioni non piaceva per niente. Volevo essere un avventuriero, non un professore. Il mio
accesso al mondo della letteratura passava attraverso l'avventura. Passava attraverso l'utilità immediata che poteva avere un libro. Un autore assolutamente decisivo per me e la mia generazione è stato Julio Cortazar. Ebbi la fortuna di cominciare a leggere Cortazar da giovanissimo. ... e tua madre? Lei è psicoanalista e si occupa anche molto di letteratura. Come vedi, la mia famiglia è un caso raro in Messico, è composta quasi solo da intellettuali. Tu sei rimasto a lungo a casa tua? No. I miei genitori divorziarono quando avevo undici anni e ho vissuto con mia madre fino a diciannove. A quell'età ottenni un lavoro stabile come DJ di rock e andai a vivere con un amico, il che determinò un piccolo scandalo familiare perché mia nonna non voleva assolutamente lasciarmi andare. Qual è il tuo rapporto con la psicoanalisi? A casa mia la psicoanalisi era molto importante. Come si fa il servizio militare, a diciotto anni dovevi passare per la psicoanalisi. Fui costretto a sottomettermi perché altrimenti non avrei potuto vivere in casa. In effetti quando me ne sono andato di casa, ho smesso. Mia madre e mia sorella sono psicoanaliste freudiane e per me tutto ciò rappresentava una specie di obbligo snobistico. Ti è servito il tuo anno e mezzo di psicoanalisi? No, nel mio caso non penso, perché - avevo molte resistenze e prendevo la cosa come un obbligo familiare con cui era importante rompere. In seguito non sono più tornato all'analisi. Dunque, poi hai cominciato a scrivere ... Sì, dopo i quindici anni e quasi senza accorgermene. Le vocazioni fanno la loro comparsa sotto forma di pretesti. Mi resi conto che mi piaceva narrare, che mi piaceva fare quel giornaletto e raccontare partite di calcio (imitavo con grande successo i cronisti del calcio). Mi accorsi che mi piaceva giocare con la lingua ed entrai in un gruppo di scrittura creativa organizzato da Miguel Donoso Pareja, uno scrittore equatoriano. Poi in un altro, organizzato da Augusto Monterroso. Fu un periodo molto importante. Mi dicevi del rapporto tra lo spagnolo e il tedesco: come ha influito sulla tua scrittura questo tuo rapporto con le due lingue? Ho studiato alla scuola tedesca, con compagni tedeschi, ho imparato a scrivere in tedesco così come tutte le materie le ho imparate prima in quella lingua, usando una mentalità tedesca e rapportandomi a situazioni tedesche. Questo ha fatto sì che il mio rapporto con Io spagnolo presupponesse fin dall'inizio l'esistenza di un campo di enorme libertà: era la lingua che si parlava nelle strade, a me vietata durante la giornata a scuola. In questo senso la scuola tedesca mi è stata molto utile, non tanto in relazione al tedesco ma per coltivare questa passione per lo spagnolo. Quando ho cominciato a leggere ho cominciato a recuperare lo spagnolo letterario. Rifiutavo il tedesco, quando ho finito la scuola. Mi proibivo di parlarlo e, come una punizione dell'inconscio, questa lingua mi tornava nei sogni. li problema si è risolto quando ho scoperto alcuni straordinari scrittori di lingua tedesca, Kafka, Mann, Grass, eccetera. Me ne andai a vivere a Berlino e recuperai il tedesco come lingua letteraria. Da allora smisi di sognare in tedesco e adesso sogno solo in spagnolo. Ho vissuto a Berlino tra il 1981 e il 1984. Ero addetto culturale all'ambasciata messicana. In quel periodo ilMessico attraversava un impressionante boom economico, era il quarto produttore mondiale di petrolio e nessuno in questo paese voleva andarsene all'estero. Mi offrirono MESSICO11 quel posto e io ne approfittai benché lo stipendio fosse molto basso. Non ho una vocazione diplomatica però quella è stata una buona esperienza dal punto di vista letterario. Dopo Berlino hai abbandonato definitivamente ogni ipotesi di carriera diplomatica? Sì. Quando mi è stato offerto di andare a Berlino ho accettato perché avevo molto interesse per quella realtà. In Messico c'è tutta una tradizione di scrittori diplomatici: Octavio Paz, Carlos Fuentes, Jaime Garcia, Sergio Pit61, eccetera. Però io, come ti ho detto prima, preferisco essere solo uno scrittore. Tu mi dicevi prima che il Messico è un caso di socialismo reale. Beh, ho esagerato un po', ma ci sono molti elementi in comune. Dopo la caduta dei regimi comunisti, il PRI (Partido Revolucionario lnstitutional) è il partito da più lungo tempo al potere nel mondo. Il fatto di aver creato una società organizzata intorno a un partito unico, concepito come una gigantesca agenzia del lavoro, come una forza di integrazione nazionale, deve molto all'idea di socialismo. Nei paesi ex socialisti, praticamente, il partito stabiliva la vita di ciascuno, era uno strumento rettore. In Messico succede qualcosa di analogo. Adesso c'è una tendenza a rompere questo rapporto stretto tra economia e stato; fino a qualche tempo fa, l'economia dipendeva esclusivamente dallo stato e per moltissimo tempo i capitalisti messicani hanno goduto di tutti i vantaggi del capitalismo e del socialismo. Questa situazione comincia a cambiare nella sfera economica, però deve cambiare anche nella sfera poi itica, mentre non c'è ancora un'alternanza politica. È in questo senso che parlo di somiglianza con i paesi ex socialisti, non certo per ciò che riguarda la distribuzione della ricchezza o la giustizia sociale.L'unico elemento che rompe la monotonia del potere è il fatto che ogni sei anni si rinnova la famiglia, cambiano i nomi di alcune persone, dopo le elezioni, e questo stimola una certa mobilità sociale, il che non ha niente a che vedere con la giustizia sociale. Parlami di Città del Messico. Mia madre viene dallo Yucatan, mio padre da Barcellona, Catalufia. Io sono nato e cresciuto a Città del Messico. Questa città è come la donna barbuta del circo. Ogni volta che si parla di lei, soprattutto nella stampa internazionale, si sottolineano i suoi incredibili difetti: la città più inquinata, la più estesa, la meno sicura, la città che ha più topi e cani randagi, eccetera. Tuttavia noi, forse per un gusto perverso, siamo innamorati della donna barbuta. Credo che sia una città affascinante in più di un senso, una città che sfida ogni equilibrio ecologico, dove è molto difficile la convivenza. Ma allo stesso tempo una città dove si incrociano molte epoche: è la città sepolta degli Aztechi, la città coloniale, è anche la città futurista. Qui hanno girato, per esempio, un film come Tota[ Recall di Schwarzenegger, nel quale si dà l'idea di un futuro già in decadenza. Idea che corrisponde molto a Città del Messico perché le sue zone più moderne danno l'immagine di un futuro già degradato. Tutto questo è molto complesso, ma allo stesso tempo molto interessante. Quando, nel 1958, Carlos Fuentes scrisse La regi6n mds transparente, cercò di disegnare un affresco globale della città, di fare della città il suo personaggio, alla maniera di John Dos Passos con Manhattan. Adesso questo sarebbe assolutamente impossibile, perché Città del Messico contiene molte città, la capitale federale è una somma infinita di città: dalla città invisibile che sta laggiù fino a queste città periferiche che noi chiamiamo ciudades perdidas. Tale fusione genera qualcosa di molto interessante. lo credo che a Città del Messico ci sia una mentalità postapocalittica: chi vede la città dall'esterno si chiede come facciano a soprav.vivere le persone. Per vivere in .una città come questa ci vuole una grande capacità di autoinganno, che è
12 MESSICO Foto di Mariana Yampolsky (da Estancias del 0/vido, ABB 1988). molto comune in noi. C'è la sensazione che il peggio sia già passato, che tutte le inondazioni, terremoti ed eruzioni siano già avvenuti. Cosa del tutto irrazionale, perché ognuna di queste tragedie si può ripetere in qualunque momento, i segni dell'apocalisse sono qui davanti a noi. Però la cultura della sopravvivenza resiste a tutto, basta pensare che il peggio ormai è passato. Questo dà un'enorme forza, come dice il proverbio, quello che non ti ammazza ti fortifica. Noi allora pensiamo di essere oltre la catastrofe, il che ci trasmette un'energia molto particolare. Non si tratta di credere di essere invincibili, però quelli che hanno vissuto il terremoto del 1985 e hanno visto il centro della città totalmente devastato, non sono stati neppure sfiorati dall'idea di andarsene. Tu che cos'hai fatto in quell'occasione? In un primo momento siamo rimasti isolati nelle nostre case, senza luce e senza telefono. Io allora abitavo con un amico che lavorava per la televisione. Siamo usciti per strada e ci hanno informati che il palazzo della tv era completamente distrutto. Io mi sono unito a un gruppo di soccorso dell'università e siamo rimasti due giorni in strada. In quell'occasione il governo prese una delle sue tipiche decisioni sbagliate, respingendo per ventiquattro ore gli aiuti internazionali, mentre la società civile si riversò per le strade e le piazze rivelando in modo inaspettato il lato solidale della gente. Si aveva l'impressione che la città fosse diventata un quartiere dove si conoscevano tutti. Io penso che in quell'occasione ci sia stato un risveglio della coscienza sociale collettiva. Molti spiegano la grande avanzata delJa sinistra di tre anni dopo come una conseguenza del rilancio della solidarietà dopo la catastrofe. Perché ci sono tanti problemi nella ricostruzione del centro storico? Beh, è molto costoso e difficile ricostruire una città. E poi bisogna considerare che quello del 1985 è stato l'ultimo di una lunga serie di terremoti che avevano provocato un progressivp abbandono del centro storico. Ultimamente, con le piogge, si è verificato il crollo di alcune case del XVII secolo. Il che dà l'idea della fragilità imperante. Si tratta di un processo di deterioramento di lunga data. Ci vorrà molto, molto tempo per rimediare a questa situazione. Dicevi l'altro giorno che uno degli ideali messicani è essere maschi, bianchi, alti e possibilmente biondi. Come in tutti i paesi anche qui ci sono degli archetipi ingiustamente dominanti. Diciamo che il Messico è stato un paese machista e razzista, con un razzismo silenzioso, non molto esplicito. Però se consideriamo che siamo un paese essenzialmente meticcio e indigeno, è veramente incredibile che tutti i posti importanti siano occupati da bianchi. Anche le donne hanno svolto un ruolo completamente secondario nella vita messicana. Penso che quasi solo nella letteratura la donna abbia avuto un posto di primo piano. Mi piace l'idea di essere una minoranza rispetto alle donne, in campo letterario, non solo perché ci sono molte buone scrittrici, ma anche perché il pubblico dei lettori è composto nella sua stragrande maggioranza da donne. Un recente sondaggio ha appurato che ogni otto lettori sette sono donne. Qual è oggi la condizione delle donne in Messico? Preferirei non essere io a parlare delle donne, comunque Elena Poniatowska ed io abbiamo fatto lunghe discussioni in pubblico e in
privato sulla questione del ruolo delle donne nella letteratura. Lei sostiene che, pur essendo vero che ci sono molte scrittrici brave, però nessuna è stata importante come alcuni uomini. Sono d'accordo, però è necessaria una prospettiva storica per valorizzare l'evoluzione attualmente in corso. Per quanto riguarda la vita quotidiana penso che le donne continuino a essere sostanzialmente sottomesse, inMessico. Ad esempio, non possono decidere niente riguardo al proprio corpo. L'aborto è illegale e ci sono gravi difficoltà nella diffusione della contraccezione. Cosa stai scrivendo adesso? Come avvii un progetto? Ho appena finito un romanzo per bambini - sono un grande ammiratore di Gianni Rodari. E adesso sono impegnato in un romanzo più lungo, per adulti spero. Il Disparo de Argon è nato in modo casuale, però sono affascinato dal fenomeno della vista. La letteratura è un fenomeno visuale, come dice Calvino. Anni addietro, ho avuto un incidente a un occhio a Barcellona e sono finito nella clinica di Barraquer. Questa famosissima clinica è costruita con marmi neri, a differenza di tutti i posti del genere, che sono bianchi. I muri sono pieni di segni zodiacali e altri simboli magici. È un posto davvero sorprendente. Sette anni più tardi, ho concepito un racconto nel quale un oculista che sta diventando cieco fonda una confraternita di discepoli che vedono in sua vece. Mentre lo stavo scrivendo sono tornato a Barcellona e, di nuovo, ho avuto un incidente all'occhio. Così mi sono di nuovo ritrovato da Barraquer. Tornando per la seconda volta nella sua clinica, mi sono reso conto che l'atmosfera e i muri avevano continuato ad agitarsi nella mia mente - come le sottolineature che facciamo nei libri - inmodo silenzioso. Riflettendo su questa serie di coincidenze - io sono superstizioso - il racconto è diventato un progetto di romanzo. Ecco l'origine archeologica del Disparo de Argon, anche se io in realtà intendevo scrivere un romanzo simbolico su Città del Messico. Qual è il tuo vero rapporto con il giomalismo? Negli Stati Uniti e anche in Messico i giornalisti sognano di ritirarsi dalla professione e mettersi a scrivere romanzi in posti fuori del mondo. Per me il percorso è stato inverso: all'inizio scrivevo solo fiction, e solo più tardi, molto gradualmente, mi sono avvicinato al giornalismo, che mi ha aiutato moltissimo a continuare a scrivere fiction. È per questo che ho potuto scrivere cose che non hanno nulla achevedereconlemieesperienzedirette-comeilDisparodeArgon, che si svolge in ambiente medico. Il fatto di avere imparato alcune tecniche del giornalismo mi è stato di grande utilità per l'elaborazione del r<_>manzo. l dovevo entrare nella mentalità dei medici, nel mondo del traffico illegale di organi, per questa ragione ho intervistato molti medici, i quali trovavano che esageravo, ma poi tutto si è rivelato vero. Mi piace anche fare interviste, perché così posso uscire dalle quattro mura della mia stanza. In Messico il giornalismo è assai mal pagato, il che spiega perché molti giornalisti siano corrotti, persino molti critici di cinema e di teatro. A volte lavoro solo per piacere, senza guadagno. Qualche tempo fa, per esempio, ho realizzato un servizio su un incontro di pugilato che ha richiamato allo stadio Azteca centotrentamila persone. E l'ho fatto per il solo piacere di farlo e di andare allo stadio con un biglietto di ring-side. In un'altra occasione ho seguito i mondiali di calcio in Italia per un compenso bassissimo. Lavoro per vari giornali, così è più facile mantenersi indipendenti. Comunque pagano pochissimo. Ho appena fatto una lunga intervista - quindici pagine - a Gi.inther Grass, che mi ha fruttato settanta dollari. Lavorando per la tv si guadagna molto di più. Però a me la televisione interessa poco, e non credo troppo all'efficacia dei programmi culturali televisivi. C'è molto analfabetismo in Messico? MESSICO13 Sì, molto. Si stima che degli ottanta milioni di messicani, venti milioni non sappiano né leggere né scrivere. È difficile calcolare la cifra esatta perché molta gente è in grado di leggere i nomi delle strade, ma in realtà non sanno leggere. Ci sono solo cinquecentomila persone che comprano libri. In Messico, un buon libro di letteratura, se ha successo, vende settemila copie. E un bestseller può arrivare a cinquantamila. Quali sono i tuoi scrittori di riferimento? Beh, Borges ha reinventato la prosa in lingua castigliana di questo secolo. E quasi superfluo parlarne, ma senza di lui non esisteremmo. Mi piacciono anche molto Bioy Casares, Cortazar, Onetti, Faulkner, Philip Roth, Tom Wolff, e fra gli italiani Svevo, Gadda, Calvino, Tabucchi. Che tipo di reportage letterario sifa in Messico? Alla fine degli anni Sessanta, sorse in Messico un movimento letterario chiamato La Onda. Quel movimento voleva recuperare alla cultura il linguaggio dei mass media e del la cultura di massa. La figura più significativa del movimento-che è diventato una specie di punto di riferimento obbligato negli anni successi vi - è stato lo scrittore José Agustfn. La principale caratteristica del giornalista letterario messicano è quella di non aver mai letto un libro, quindi le domande, durante le interviste, sono del tipo: "Cosa significa essere scrittore?" oppure si limitano a girare intorno ai battibecchi locali, "Cosa pensa di Octavio Paz?" Naturalmente ci sono delle eccezioni, come Elena Poniatowska, una bravissima giornalista letteraria. Ho notato due tipi di atteggiamento tra gli intellettuali messicani: quelli che sognano l'Europa e si sentono qui come in esilio, e quelli che la rifiutano e si identificano con gli elementi autoctoni. Dove ti collochi tu? In nessuno dei due. Mi sento una persona che è di qui e solo di qui, ma che cerca di percepire questa condizione attraverso uno sguardo obliquo. In questo senso non sono affatto contento di stare qui, però so che posso stare solo qui. La distinzione cui tu accenni esiste in termini generali, però non bisogna schematizzare. C'è parecchia gente che ha trovato modo di star qui, che non può essere ricondotta a un simile schema polarizzato. La cultura messicana è sempre stata attraversata dalla polemica tra cosmopolitismo e nazionalismo. Molti scrittori, per esempio Octavio Paz, sono stati ingiustamente accusati di essere europeizzanti, eppure sono tra quelli che più si sono occupati della cultura e dell'arte messicana. Cosa pensi degli effetti della cultura statunitense su Città del Messico? Beh, Città del Messico è stata distrutta non solo dalla cultura statunitense, c'è stata una distruzione sistematica. È una città che vive una dissoluzione perpetua. I luoghi simbolici della mia infanzia sono andati crollando uno dopo l'altro. Tuttavia sarebbe pericoloso coltivare solo una nostalgia di altre epoche e pensare che ogni tempo passato sia stato migliore. Il costante mutamento, costruzione e distruzione, è sempre stato una caratteristica essenziale di questa città. Abbiamo un paesaggio urbano orrendo, ma cambierà, perché cambia sempre. Kundera parla di bellezza per errore, per esempio le scale antincendio dei palazzi di New York. Qui scopriamo qualche volta bellezze casuali in mezzo alle brutture. Ci abbiamo fatto l'abitudine. C'è un altissimo livello di sincretismo e rimescolamento.D'altra parte Città del Messico non rappresenta il Messico. Siamo molto odiati in provincia, grazie anche alla fortissima tradizione centralista di questo paese. A causa della concentrazione di attività e risorse nella capitale, i borghesi di Città del Messico pensano di vivere in un'epoca diversa 1ispetto alla provincia.
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