6 TRA UN'ELEZIONE E L'ALTRA La sinistra deve in sostanza prepararsi agestire ladifficile transizione dal vecchio Stato sociale a un nuovo assetto in cui ci sarà un po' meno Stato, un po' più di autonomie (non solo territoriali m_a nche sociali e istituzionali), un po' più di competizione anche all'interno degli apparati pubblici. E soprattutto a avviare un miglioramento dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini (questa è, non dimentichiamolo, ladomanda numero uno della rivo]uzione italiana). Tutto questo potrà costare posti di lavoro e bruciare vecchie identità. La sinistra ha gli strumenti culturali per promuovere e governare questo processo? È in grado di resistere alle pressioni di segno opposto che verranno dai gruppi sociali colpiti? E soprattutto di rispondere alle loro domande con strumenti politici compatibili con il nuovo scenario? Su questo aspetto è veramente difficile rispondere alla vechhia domanda di LLoyd Geroge ("Are you ready for power?"). La situazione richiede una grande capacità di invenzione, mentre il fronte progressista è formato prevalentemente da conservatori sia perragioni sociali facilmente comprensibili, sia per ragioni culturali. Ho trovato per esempio sorprendente che gli studenti, nelle bellissime lotte dello scorso dicembre, non abbiano sentito il bisogno di chiedere "più autonomia", ma abbiano preferito presentarsi come un movimento "contro l'autonomia". Ci sono indubbiamente stridenti contraddizioni nella sinistra. È difficile dire se ce lafarà. Sappiamo soltanto che se questa transizione fosse guidata dalla destra le conseguenze sociali sarebbero assai più terribili e devastanti (oltretutto non ci sarebbe più l'ombrello protettivo-mediatori o della democrazia cristiana). Se la sinistra non è ancora pronta, si prepari in fretta. Per fortuna ora tocca a lei. ALNEGATIVO. CONFLITTOESPETTACOLO AldoBonomi Per professione faccio il ricercatore sociale. Osservo la società italiana oggi nel suo dispiegarsi o dal basso, attraverso la dinamica del farsi di una società dei diritti o di incontro tra moltitudini, come svela il processo migratorio, o dall'alto, osservando i mutamenti della tecnica e del suo impatto sulle dinamiche del produrre e sulla composizione sociale. Molto spesso, nel passare da processi di osservazione a percorsi di interpretazione politica, mi capita di trovarmi isolato, voce fuori dal coro, tra tutti coloro che definiscono l'attuale fase che attraversa la società italiana o con l'aggettivo "nuovo" o con la parola "rivoluzione". Io, al termine nuovo, preferisco ed uso la definizione di "la contingenza che ci sopravvanza" e non uso la parola pesante rivoluzione, forse perché l'ho fortemente voluta, desiderata e sono uscito da questo processo con una sconfitta collettiva, sociale e generazionale, su cui in questo paese non si è ancora fatta riflessione ma solo cronaca sussunta dentro le interpretazioni quotate al mercato quotidiano dei media e della politica. Mi rendo conto che a questa mia schizofrenia di linguaggio necessita dare una risposta che vada oltre il semplice constatare il mio sentirmi isolato. Chi parla di nuovo e di rivoluzione oggi osserva soprattutto la punta della piramide dell'organizzazione sociale ed individua come processi del nuovo e della rivoluzione il dibattito e. lo scontro intorno alle riforme istituzionali ed i mutamenti che riguardano il passaggio ormai avvenuto dal partito di massa al partito di opinione. A me pare che il cambiamento profondo avvenuto negli anni Ottanta e-sancito dagli anni Novanta non riguardi tanto la punta della piramide, le riforme istituzionali e la crisi della politica, di cui tutti parlano e ove tutti si azzuffano, ma vi è un cambiamento ben più profondo e radicale che sta alla base dei mutamenti di vertice, che è avvenuto nel corpo sociale e che riguarda il mutamento pro~ondo della composizione sociale e del processo di rappresentanza. Schematicamente, mi pare si possa dire che il contingente che ci sopravvanza è in primo luogo dato dal mutamento della composizione sociale, delle forme di convivenza, della rappresentanza degli interessi, che avevano caratterizzato l'agire sociale sino ad oggi. Credo che mentre tutti pensiamo che il cambiamento e la rivoluzione stanno avvenendo nella "piazza della Bastiglia", ho l'impressione che il mutamento radicale, con ritmi da tempi lunghi, sta avvenendo nel "salone della Pallacorda". Fuor di metafora, più che entusiasmarsi rispetto al "cambiamento di regime", se questo è effettivamente un cambiamento di regime lo si capirà prestando attenzione al mutamento delle dinamiche degli interessi e dei processi di rappresentanza degli stessi. li grande mutamento epocale riguarda il mutamento della composizione sociale. Nel sociale prende corpo e si sedimenta il passaggio da una società dotata di mezzi scarsi e orientata al conseguimento di fini certi, le appartenenze colletti vee le ideologie, ad una società in cui ad un'abbondanza dei mezzi corrisponde una incertezza dei fini, la paura e l'incapacità di disegnare percorsi collettivi di futuro. Prima dell'apparire del linguaggio del nuovo, nella fase del partito di massa, il conflitto era percepito come centrale per la redistribuzione delle risorse e delle opportunità e come regolatore di assetti normativi, il welfare state, che compensava la scarsità con un più possibile di integrazione e comunicazione sociale. La condivisione dei fini era la forma attraverso cui la scarsità dei mezzi si faceva voce, rappresentanza sociale, movimento collettivo. Oggi questo processo si è rotto soprattutto per il mutamento di pelle subìto dal lavoro. Un duplice processo va segnalato al riguardo. Il primo è rappresentato dall'erosione che il lavoro dipendente ha subìto a seguito della dilatazione del lavoro autonomo. L'ingresso sulla scena di questa nuova "classe" ha innestato nel corpo sociale valori, aspirazioni, modelli di realizzazione che configurano un mondo di individui isolati e mossi dalla utilizzazione delle proprie opportunità. Il secondo è dato dalla crescita della funzione di autoregolazione e produzione di senso, in definitiva, dall'incremento del contenuto di intelligenza e di interdipendenza che il lavoro ha richiesto. Ne è derivato uno spostamento in avanti del rapporto tra autonomia individuale e solidarietà collettiva, poiché l'autonomia non è più concepibile come uno spazio franco di prerogative proprie e la solidarietà non può più essere la coesione che veniva garantita dall'appartenenza alla comunità del lavoro o dall'egemonia espressa dal riscatto della comunità operaia. È questione dell'oggi la ricerca di una solidarietà, di forme di rappresentanza, che abbiano non più l'omogeneità della condizione materiale come riferimento, ma la diversità, il molteplice, il
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