Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

VI Il ventinove, ridipintoe facile a leggersi,segnava un palazzettoa tre piani intonacatodi mattone scuro. Con un grande portone chiuso, una fila verticaledi lucidicampanellid'ottone, una filaparallela,pure d'ottone, di targhettecon i nomi.Paolo,che in pocopiùdi unagiornata aveva ormai imparato a guardare per prima cosa in alto, vide un graticciodi aggraziatelesenea spartire la facciata, un fregiodi volute e foglie che correva subito sotto il cornicione e, sotto al fregio, una scritta a grandi maiuscole che lesse senza capirla: come si fermava sempre a leggere,e non capiva, le iscrizionidi bronzo sul piedistallo delle statue grandi, non i busti del Gianicolo. Incorniciatedalle lesene, leordinatefinestreavevano tuttepersiane verdi strettamenteserrate, nella lucentegiornata estiva. Non una gabbia di canarino attaccata al davanzale, non un geranio: e naturalmente neppure un asciugamano o un lenzuolo steso, come ne sventolavano e sgocciolavano sempre dalle finestre di sua madre. Ma i signori il bucato non lo stendono mai, sapeva già distinguere Paolo: equellaera inconfondibilmenteunacasadi signori.Forse nonlo fanno neppure mai, il bucato, i signori, sapendo di non volerlo e di non poterlo stendere.Forse non hanno bisognodi farlo, non uscendoche eccezionalmentedalle lororialzate,ombreggiatestanze:noncucinando, mangiandoservitia tavola,nonarrampicandosimai suglialberiné lasciandositentareda altre impreseesposteallo strappoe allo sporco. O forsesdegnanoanche l'idea di rimettersiaddossoilgiornodopouna camicia già vista, una non nuovissima mutanda: e tornano tutte le mattine a scovarefresche, inamidatecose fra le pieghe dei loro bauli senza fondo. Pure senza bucati e canarini, strane, pensò, tante persiane chiuse a mezzogiorno.Non sembravanoneppure temporaneamentefermate contro il sole, o per un'assenza improvvisadella gente di casa: una visita, la messa.Comunque non la spesa: dovevano sapere bene che gliel'avrebbe portata lui nel cestino deUabicicletta, in tempo anche per le più fantasiose lavorazionidel pranzo. Parevano, invece,quelle persiane uguali,occupate a occultare anche la cicatricedelle regolari feriteche il progettista,non l'ultimo venuto,questoerachiaro,doveva pure aver praticato nell'armoniosa facciata. Parevano, quelle piene persiane,pensatedal primomomentosenzacardini, decorativecome le lesene, simboliche come il fogliame del fregio. Un trompe-l'oeil che non avrebbe mai rischiato di sbattere pericolosamente con la tramontana, scrostando fa vernice, lasciandocadere le stecche.Né di spalancarsi al momento meno opportuno: regalando ai dirimpettai una coppia sopra le lenzuola o un selvaggio litigio. Il ragazzino aveva appoggiato la bicicletta al muro e stava ora compitando, sulle targhette, i cognomi: ritrovandone due di quelli segnati in matita rossa sopra le buste di carta e, con un po' di fatica, anche il terzo: aggiunto a mano e a colla in fondo alla più alta delle dignitose lastrine d'ottone. Si studiò, tendendo insieme pollice, mignolo e medio, di suonare nello stesso momento i campanelli dei tre clienti ancoramaivisti in faccia:di cui nonconosceva dunqueancora la maggiore o minore importanza. E doveva essere riuscito a comunicare il suo diplomatico temporeggiamento, perché gli rispose un unico scatto della serratura. Come se i tre indici avessero premuto contemporaneamente,ognuno a casa sua, i tre pulsanti d'apertura. O come se due degli indici ritenessero di avere istituzionalmente di meglioda fare, edelegasserod'abitudine al terzo lefunzionicollettive di sorvegliantee di portiere. Dentroal grandf portonedipinto, indisaccordocon lepersiane,di marrone, si ritagliavaora la fessura rettangolaredi una porticina:non più alta di quanto permettesse, al tutt'altro che alto Paolo, di entrare senza curvarsi. Sollevò la bicicletta pesante per farle superare lo scalino della soglia, spinse, scavalcò per entrare anche lui. VII Lo strombo buio e profondissimodel portone mediava fra l'acSCRITTRICI 69 cecante mezzogiorno e una bizzarra, mescolata luminescenza interiore.Verdecomevenuta da un ventred'acquario, gialladi unmaturo giallo di foglie:ancoraasciutte,che sichiamasserofra lorogalleggiandoattraversoimarezzi.Una lucesicuramentenonartificiale,e tuttavia filtrata, preziosa, abbaziale, asfittica. Spingendo avanti la bicicletta, che costituiva allo stesso tempo la sua scusa per avere penetrato la chiusa vescica di pietra e la sua presentazione, Paolino si trovò al centro di una piccola corte quadrata, lastricata, pulita. La faccia interna,dove si apriva la grande gola del portone, era tutta occupata, più in alto, da incroci pretenziosi di scale a vista: difese da balaustre florealidi ghisae di legno, aperte sullacorte con un sistema regolare di arcate. Sulla parete di fronte, le stesse arcate, attraversate da sempliciparapettidi ferro,definivanoinveceunasul!'altra duegrandi terrazze coperte. Logge piuttosto, altane. E sotto, a pianterreno, un gradevole portico: ingombro,come le logge, di tavoli, sedie e vasidi fiori difficili. Non certamente gerani né rose, questo Paolino lo distinguevabene:ma invecegrappolidicuriosi fioricolor bronzo,con una tasca, che aveva visto allevati in serra all'Orto Botanico e gli sembrava che si chiamassero orchidee. E cespugli foltissimi di fogliame scuro e grandi corolle rosse. E slanciati rampicanti di un viola intenso. E cadite di sottili ramoscelli curvi coperti di stelle bianche, che dovevano essere responsabili interamente del pesante profumo. Logge e portico, divisi ognuno a metà fra due appartamenti di fronte, sembravano dunque destinati a luogo eminente delle espansioni, delle manifestazioni.Un luogo che compensasse in parte, e in parte senza scusarsene smentisse, l'arcigna politicadi tante persiane chiuse, la rigida reticenza esterna della casa. Dove fosse lecito, e praticamente doveroso, vedere e farsi vedere, ragionare con le personee lavorarele cose, leggere,dondolarsi, stendere,tutte levolte che fosse necessario, l'esecrabile bucato. E insomma commerciare col mondo, e ricordareal mondo lacontinuità, piùomeno volontaria, della propria sussistenza. Guardando meglio, Paolino si accorse tuttavia che la mezza loggiadestra superiore non ne mostravanessuno, di simiIi estroversi segni di vita; e che, girando l'angolo, anche le tre finestre che le venivanodietroerano immobilie cieche.Aperte, invece, spalancate, qua e là con bianche tendine buttate fuori che non chiedevano chedi potere svolazzare, se solo ci fosse stato un filo di vento, tutte le altre simmetrichefinestre.Accanto, sotto,quattrofile a rispondersi di baie ombrose, di sospirosi, forse umidi anfratti rettangolari. La corte assumeva così d'improvviso l'aria di unaminuscola piazza mediterranea, deserta di giorno, corale di sera, animata ancora a tarda notte; e Paolo, che avevaun'amata nonna pugliese,e che l'aveva accompagnata un'estate a ritrovare il suo paese pitturato di calce, alzò senza riflettere la testa. A cercare l'alta quercia da sughero che ricordava così bene, e forse le stesse stelle delle Puglie. ~ E in questo modo fu irrimediabilmente soggiogato e preso. Perchénon si aprivaverso l'alto, iJpiccolocortilequadrato, e delcielo non era possibile intravvedere neppure un lontano balenamento.Ma lequattrofacciates'intonavano, invece,cantavano, trionfavano nella volta a spicchi di un meraviglioso lucernario. Un intero giardinodi aranci, foglie scure più fitte e foglie chiare, e ogni albero con una propria apertura di rami, piccoli radi fiori e grandi frutti, la nera profilatura del piombo a scandire e a legarecentinaiadi vetrini tondi colorati in innumerevoli gradazioni di giallorosso, migliaia di allungati vetrini verdemuschio,verdebandiera, verdeerba, verderame, verderana, verdemarcio, verdelago, verdeblu, verdeverde. E trasparenze e opacità capricciose per calcari e muffe esterne; effetti lenticolari,striature,bolle nel vetro lavorato,anche sapientemente,a mano; illusione di profondità variabile, di rami mossi, per via forse di qualche irregolareo volutoorientamentodelle tessere; oscillazioni, marezzi, iridi,riverberi ad allargarsi,a stringersi sulle pareti e sul pavimento; e su tutto, dall'alto, la spezzata, alterata violenza del mezzogiorno inoltrato.

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