SCRITTRICI 67 ~------------------------- Ludovica Koch LA GRAN VETRATA a cura di PaolaSplendore Con la pubblicazione di queste pagine inedite di Ludovica Koch, la redazione di "Linea d'ombra" vuole ricordarla a pochi mesi dalla sua improvvisa scomparsa rivelando ai lettori un 'altra faccia della sua già ricchissima fisionomia intelleauale, quella di scrittrice. Sono le pagine iniziali di un romanzo scritto tra il 1988 e il 1989, La gran vetrata, che solo pochissimi tra gli amici avevano lei/o. Non è un'opera prima; un precedente romanzo, Lo scavo, dolorosa e beffarda metafora dell'esistenza, era stato finalista al Premio Calvino 1988. Avevo letto ambedue i romanzi e mi erano Folo di RobertoKoch. molto piaciuti; era sorprendente vedere come la sua reticenza, la sua difficoltà del dire si scioglievano per annullarsi, sulla pagina, nelle voci e nei toni più diversi. Mi era parso che la qualità della scrittura, il senso dell'intreccio e della caratterizzazione, lo spessore metaforico di questi suoi scritti fossero ben superiori a quelli di tanta narrativa pubblicata in Italia, ma capivo il suo riserbo a parlarne, /'in.certezza tra il volerli tenere per sé e il vederli pubblicati. Sono romanzi pieni di dolore, della difficoltà di esistere. Ludovica Koch aveva saltuaria mente collaborato a "Linea d'ombra", traducendo recentemente un racconto del poeta e scrillore Erik Stinus (n. 76). Rileggendo ora la sua introduzione all'autore danese, mi colpiscono in particolare le parole di Stinus, da lei citate, secondo cui "la le11eratura è un viaggio di scoperta" che procede per metaforiche "spedizioni" nel 1e111poe nello spazio, e mi sembra di trovarvi i/filo che lega insieme l'opera così eterogenea di Ludovica, la sua produzione scientifica, i suoi versi, la narrativa, le lraduzioni di tesli mai prima tradoui, fui/i "viaggi" e esplorazioni di luoghi pocoji-equen1c11iche voleva rendercifàm.iliari: dalla poesia degli scaldi ( 1984) a Beowulf ( 1987) a Sassone Grammalico ( 1993), e poi Byron, Poe, Goe1he, Strindberg, Kierkegaard, Ovidio. La passione e /'avidi1à con cui Ludovica si avventurava in imprese difficili le facevano valicare i confini degli specialismi, quei gusci /HOlellivi en1ro cui ci nascondiamo un po' tu/li. Una voce e un ta/en/0 co111rocorrente,sempre, che si /rasformavano in lei in conlinuo impegno nei confronli degli ailri, che si 1rc111assedi lavoro inte/le11ua/e, lavoro polilico, rapporti personali e amicizie. Forse l'aspeno più rivoluzionario della sua personalità era proprio il suo modo d'essere al mondo, il suo slancio spesso impeluoso verso gli allri, e sopra/lul/o verso chi soffi-e, la sua capacità di dare e la sua a//enzione all'asco/IO, la propensione a valorizzare sempre l'altro, cancellando se s1essa. Le pagine che seguono sullo smilzo ragazzo di bo11egaPaolo, il suo sguardo che si posa sulle cose, le case, le s/atue del Gianicolo sono il modo di Ludovica di reinventare la realtà a/traverso occhi diversi, occhi che appartengono a chi è destinato a soccom.bere, a chi è "senza potere", sono il suo modo di diventare tutt'uno con loro. l giri in bicicletta del garzone per le slrade di Roma, la scoperta delle sotterranee simmetrie, sono il "ponte gellato dallo sguardo" sulla disperazione e le speranze dell'umanità, per citare le parole con cui lei descrive il progello poetico di Stinus. Nella scrillura narrativa Ludovica. Koch cercava di dar voce a tutto questo attraverso un uso ricchissimo della lingua cui portava la sottigliezza della grande traduttrice abituala a usare le parole, la scioltezza di chi traffica con i versi, laforza di una lingua che non è mai convenzionale. È anche questo che si impara, leggendola, è anche questo che dà piacere nelle sue pagine. Grazie, Lucia e Tommaso, per averne consentito la pubblicazione. I Paolino per sua madre, l'ultimo figlio, e Paolo a scuola. Paoletto per iIdroghiere mal inconico e obeso, il droghiere della madre, che era diventato di recente anche il suo padrone. Il ragazzo era magro, invece, e assai più basso della sua età. Di quella bassezza, quando se ne ricordava, umiliato. Ma non adesso, che caricava con importanza a cavallo del manubrio il cestino di fildiferTo, che si dava la spinta per i suoi giri di consegne. Già per la quarta volta in meno di un giorno e mezzo. Istruito, ripetuto, ripetendosi, cercando di tenere a mente. Solo per la qumta volta: e faticava a farci l'abitudine. Era eccitato, incerto, iI ragazzo Paolo. Soprattutto smarrito, disperso e, come dire, dissipato. Per via di tutto quel traversare e ripassare in una sola mattina iIquartiere dove era nato. In versi capovolti e sbiechi, rispetto al non molto che ne aveva fino allora toccato. Il quartiere era fatto per lui di fili e di nodi, e ordinato secondo un'irregolare ellisse con qualche polo di troppo. Pendeva, nella sua mente, come quelle rade e rotte reti che gli era capitato di vedere ad asciugare nei porti, sospese a due o tre chiodi non allineati. Pochi e ciechi erano i percorsi della sua ubbidiente esistenza. Calcolati non a cinquanta o a cento metri, e neppure per segmenti spezzati, come si fa per indicare la strada a chi ci arriva per accidente, per sbaglio, straniero di un altro rione, e non si ritrova. li secondo vicolo a sinistra, gli spiega allora chi lo vede girm·e a vuoto; poi tutto dritto, fino alla piazza con le panchine e i tre tigli. E allora subito a destra, la prima? la seconda traversa. Calcolati a tempo, erano i percorsi di Paolo e secondo assai modeste scadenze. Prima che bollisse l'acqua, doveva andare e tornare con la pasta corta come la voleva suo padre, con la pasta rotta che rendeva di più. Dentro alla solita indivia, nei soliti broccoli. Con due minuti in più, arrivava a comprare la frutta. Il fruttivendolo gli regalava sempre, vedendogli così poco dritte le gambe, così grossa la testa, due nespole e un esotico cachi. E non si scordava di caricarli poi di buon peso, il cachi e le nespole, sopra le gialle mele di tutti i giorni. Stranivano dunque Paolo le storture di un itinerario sempre diverso. Ma anche la difficile mattinata tutta senza scuola. Non era invece imbarazzato a mantenere dritto il corso della bicicletta, pesantemente sbilanciata dai pacchi. li campanello, i freni, li manovrava bene. C'erano anche dei vantaggi, in quelle giornate storte e strane, meditava. Aveva ragione sua madre. Sempre le madri hanno
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