56 GIRI D'ITALIA una volta, "tipi". In realtà di qualche monsù Travet o di madame Bovary di riferimento si ha sempre bisogno, le culture di massa ne hanno bisogno, hanno bisogno di eroi (preferibilmente di carta o di schermo) ma anche di non-eroi, di anti-eroi cui riferirsi per idealizzarsi e pensarsi. Pontiggia lo sa molto bene e si muove con estrema destrezza all'interno di una scelta di staticità. Queste vite sco1Tono,certo, ma è come se non scorressero. Recita la frase di un filosofo malamente dimenticato, che apre a tutto il progetto: "Tutto in natura ha una essenza litica, un destino tragico, una esistenza comica". Nella sintesi di Santayana c'è una saggezza alta, ma immobile, il senso di una 1ipetitività, di una qualche fissità: si è scritti e non si scrive, si è vissuti e non si vive; un comune gioco di limiti, un percorso obbligato costringe tutti su piste consuete. Semmai, a Pontiggia si potrebbe rimproverare la sovrabbondanza, nel suo progetto (nel suo guardare a queste vite inventate ed estremamente plausibili) di una "esistenza comica". L'essenza lirica non rifulge particolarmente, e il destino tragico è così comune e così rapidamente enunciato nei finali da non esplicitarsi nelle varie vite, essi restano insomma più nel progetto che nella realizzazione, e questo è probabilmente il limite che si può riconoscere al libro, e su questo ritorneremo. Si tratta bensì di limite se prendiamo troppo per buona la bella citazione di Santayana e non il libro, dominato e pervaso da una "essenza comica" evidentemente più congeniale del lirico e del tragico alla natura e alle convinzioni dell'autore. Si possono fare (genericamente) alcuni nomi di autori italiani "affini", se consideriamo le Vite come ve1i e propri racconti: e possono venire in mente certi racconti romani di Moravia, i più fulminanti, e certi di Brancati, ce1ti schizzi e ritratti di Flaiano e perfino Piero Chiara (per l'ambiente, per i caratteri "locali") ... Ma, come per costoro (non per Chiara) i maestri di Pontiggia 1isulterebbero, a ben guardare, più alti e lontani che quelli di Weimar: i russi, per esempio, e la loro grande scuola realisticogrottesca sul quotidiano o sull'esasperazione del quotidiano. La qualità di Pontiggia è di riferire-inventare queste vite non illustri (alcune delle quali possono aspirare al titolo di non-vite illustii) con una distanza tutta contemporanea, e contemporanea in quanto necessaria, in quanto critica della non-vita. Panorama vario e mosso di vite statiche e monocordi, il libro trova le sue punte là dove l'autore, prendendo un elemento a centro di una vita, una passione, una defonnazione psichica, un'accentuazione del carattere, accentua il taglio del racconto, e si sofferma su una parte o su un tono dominante della vita 1iferita. Qui gli apici del grottesco hanno però senso perché circondati dalla palude della "normalità". Ecco allora Premoli Giovanna (Iside) pazza ossessiva, o Buti Umberto (Incontrarsi) uomo macchina senz'ombra d'anima, o Bertelli Claudia (Una goccia nell'oceano divino) stupida post-'68 o Mari noni Roberta(/ piaceri furtivi) assolutamente cattiva, o Cuomo Ferdinando (Precocità) pe1fetto mammista, eccetera. Forse è qui - nella scelta e accentuazione grottesca e comica "a freddo" - la vena nùgliore di Pontiggia, menti·e altrove si ha come la sensazione di un eccesso di distanza per questi piccoli mostri che ci attorniano e della cui schiera continuiamo a far parte. Non c'è pietà nel suo sguardo, c'è · semmai, quando c'è, una sorta di compassione lontana e "nordica", forse troppo serrata e inespressa. E non c'è, d'altra parte, abbastanza odio. Pontiggia non s'indigna abbastanza contro i suoi personaggi né soffre abbastanza per loro. Fi1ùsce per essere, forse, un po' troppo saggio, e un po' troppo distante, ma che libro insolito e stimolante ha saputo darci! LEGGERESCRIVERE. ILPERCORSODI LUZIEFORTINI CristinaNesi Mario Luzi(fotodi G. Giovannetti) La biografia, genere tipicamente anglosassone, riscontra in Italia da anni un grande successo editoriale e i crescenti 1isultati di gradimento continueranno presumibilmente a incrementare ancor più questo, per certi versi cannibalistico, interesse per le vite altrui, peri riti·atti o le confessioni di scrittmi e grandi intellettuali. Diverso è il discorso quando la scrittura non asseconda il voyerismo del lettore, ma punta a fargli capire "come" un grande personaggio della cultura sia arrivato ad essere tale, quali letture lo abbiano fonnato e ne abbiano indi1izzato il percorso, quali luoghi, amici, voci e vicende abbiano impresso la loro ti·accia indelebile nella sua mente. La collana "Leggere e scrivere" dell'editore Marco Nardi sembra voler colmare questa lacuna editoriale, perché privilegia, come leggiamo nella Premess~, la storia del pensiero, della creazione artistica e dell'attività scientifica del nostro tempo, vista attraverso la storia della formazione di una serie di protagonisti di vatie nazionalità e discipline. Formazione culturale, dunque, non biografia. Ora, che i primi due protagonisti della collana, Franco Fo1tini (F. Fortini, P. Jachia, Fortini: leggere e scrivere, 1993,pp.126,L.14.000)eMa1ioLuzi (M. Luzi, M. Specchio, Luzi: leggere e scrivere, 1993, pp. 192, L. 16.000), siano poeti è forse un caso, ciò non toglie ci torni in mente che prop1io "i poeti - come diceva Octavio Paz - non hanno biografia" perché la loro opera è la loro vera storia personale. In effetti per una puntuale ricostruzione biografica questi libri
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