GLI ANNI '60. ARBASINO RIVISITANTE PaoloSoraci Era dal 1976 che la letteratura aspettava al varco Alberto Arbasino. Appariva in definùiva paradossale che uno dei più felici sperimentatori della narrativa italiana di questa seconda metà di secolo scegliesse il silenzio creativo affidandosi esclusivamente a un giornalismo culturale (e anche qui, arte e musica e teatro, ma mai, ormai da anni, letteratura) curioso, onnivoro e cosmopolita ma in un certo Fotodi l. Cendamo(G. Neri). modo ripiegato, anche stilisticamente, su se stesso. O, come alternativa, a un notismo, politico e di costume, risentito e acido, impietoso nell'additare agli italiani le proprie patetiche ipocrisie, le false coscienze, l'irresistibile propensione per un onirismo ideologico giusto contraltare alla genetica vocazione al cinismo e ali' opportunismo più spudorati. · Arbasino si era congedato dalla letteratura in due tempi: nel 1974 con gli ultimi due titoli "originali" della sua produzione creativa: il super-pastiche Specchio delle mie brame e il musical da camera Amate sponde, e due anni dopo con la terza versione di Fratelli d'Italia, romanzo summa uscito una prima volta nel 1963 da Feltrinelli, riedito nel 1967 con decisivi affinamenti stilistici e riproposto, previa riscrittura, da Einaudi, appunto, nel '76. Diventa allora davvero rivelatore che, per il suo ritorno alla narrativa, Arbasino invece di cimentarsi con un romanzo tutto nuovo si rivolga ancora a Fratelli d'ltalia, che riprenda per la quarta volta, risc1ivendola da capo a piedi, fino ad aggiungervi qualcosa come settecento pagine, la non-vicenda del Grand Tour di quattro giovani intellettuali europei su e giù per la Penisola del boom economico, alternando implausibili conversazioni fiume sull'estetica e il destino del romanzo a scorribande per musei, mostre, concerti, ad agguati a militari in libera uscita, a puntate extra italiane, dalla Baviera di Ludwig alla swinging London, per terminare rivelando, con un'unica impossibile mossa, la natura fittile, metanarrativa, di quanto letto fino allora e la scoperta dell'orrore e del dolore giusto nelle sei righe finali. Nelle recensioni uscite a ridosso di questa quarta edizione (targata Adelphi, pp.1372, lire 68.000) è stato giustamente messo in rilievo l'immane, quasi maniacale lavoro di riscrittura condotto GIRI D'ITALIA 53 da Arbasino sul testo del romanzo. E in effetti, a un'analisi anche sommaria delle varianti non si può che rimanere impressionati: in alcuni capitoli si arrivano a contare fino a venti interventi in una sola pagina. E non si tratta perlopiù di varianti di sostituzione, ma di zeppe, aggiunte e inserzioni che si incuneano tra un periodo e l'altro, tra una parola e l'altra dell'edizione precedente, forzando e frantumando il discorso con un'accentuazione parossistica di quel puntilismo sintattico e stilistico che è diventato la cifra dell' Arbasino critico degli ultimi decenni; un lavoro di intarsio che giunge a mettere sempre più a rischio la caratteristica mimesi del parlato che fino a Fratelli d'Italia prima edizione era stata invece al centro delle attenzioni dell'autore. Come il periodo venga letteralmente minato e fatto saltare, scardinato in ogni sua parte, lo dimostra il semplice raffronto di due paragrafi, presi quasi a caso, subito, ad apertura di libro: Edizione 1976: "Per tornare, poi, il solito avanti-e-indietro selvaggio sull' Autobahn, tutto sull'imprevisto e sul caso, anche perché è così oppure niente che si vedono una volta per tutte Wi.irzburg o Bayreuth o Mannheim; magari anche qualche deviazione Amsterdam-Copenhagen, secondo gli autostoppisti e gli Olandesi Volanti e_leFiglie del Reno e il bel tempo". Edizione 1993: "E per tornare, quel solito avanti-e-indietro selvaggio sull' Autobahn, sull'occasione e sul caso, anche perché è così oppure niente che si vedono una volta per tutte Wi.irzburg o Mannheim, o ci si trova alla biglietteria di Bayreuth con posti disponibili perché è appena morto qualche prenotato ... E si scoprono nei musei vuoti gli animali di Franz Mare, e Macke, e Kirchner, e Otto Dix, di cui nessuno a scuola ci ha mai parlato, fra quei coglioni mai usciti da Utrillo e Rouault e Chagall come tops nell'arte del Novecento ... E sempre più volentieri, on the road, la deviazione Varsavia-Amsterdam o viceversa passando per Copenhagen secondo gli autostoppisti e i soldi rimasti, mettendo in pratica 'le droit des peuples à disposerd'eux-memes' ... Olandesi volanti in sacco a pelo, o figli del Reno inquella delicatissima fase della muta quando angiolini e angioloni si vanno trasformando in trichechi ... O secondo il bel tempo" ecc. Oltre a queste microvarianti, Arbasino ha inserito nel corpo del romanzo numerosi passi della lunghezza di alcune pagine, varianti insomma più corpose, alle quali ha spesso affidato l'inserimento in Fratelli d'Italia di quella vena civile-risentita tipica dei suoi più recenti interventi giornalistici, ma non particolarmente presente nelle vecchie edizioni del romanzo. Eppure, l'importanza del ritorno di Alberto Arbasino a Fratelli d'Italia non sembra tanto dipendere dalla qualità delle varianti, dalla riuscita o meno della riscrittura. Tutto sommato, e nonostante le settecento pagine in più, Fratelli d' ltalia 1imane se stesso. Ha ragione Maria Corti, molti interventi sono decisamente migliorativi, ma si tratta sempre di ritocchi, e non sempre l'esito è pienamente felice: si percepisce a volte un passaggio di tono, un'accentuazione del grottesco che nelle precedenti versioni non era certo la caratteristica dominante dei quattro personaggi (ce,ti "divina" che diventano "diviiina" e via premendo sul tasto del birignao). In ogni caso, quel che conta è piuttosto la 1iscrittw-ain sé come prassi e come poetica, e soprattutto la riscrittura applicata proprio a questo romanzo, che si riconferma l'opera centrale, più rischiosa e per questo più proficua, di tutta la produzione arbasiniana. Quel che conta è il ritorno, scandito nei decenni, a questo immane deposito di riflessioni e suggestioni, a quest'opera la-
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