Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

uccidevano sistematicamente, se la prendevano solo con quelli che non avevano documenti. Ma i generali hanno protestato e preteso dai loro uomini di vedere più sangue. Hanno perfino distribuito ad alcuni soldati delle bende, come se fossero feriti, e finto una sparatoria per far credere all'inizio di un'insurrezione e il giorno dopo hanno scatenato una strage terribile. Portavano le vittime sulle rive del Danubio, e le facevano svestire nella neve. Sulle rive avevano scavato una buca. Vi ammassarono cadaveri, e fino alla primavera si potevano vedere galleggiare sul fiume, a pelo d'acqua, corpi di assassinati. E avrebbe potuto andare anche peggio se, a Budapest, un parlamentare nazionalista ungherese non avesse fatto un'interrogazione al governo sulla strage di Novi Sad. Dentro il parlamento c'erano anche dei giornalisti stranieri, e il governo ha avuto paura di uno scandalo; così il terzo giorno, verso le 3 o le 4 del pomeriggio, si mise fine al macello. Mia nonna era già in mezzo ai prigionieri sulle rive del Danubio, è tornata dal fiume mezzo morta dopo una giornata nel la neve, a settant'anni di età. L'adunata degli ebrei nella sinagoga risale invece al maggio del 1944. La Germania aveva già occupato l'Ungheria, e i nazisti avevano appena saputo che il governo Horthy aveva tentato una pace separata con gli alleati. Così avevano deposto Horthy e l'avevano sostituito con Szalasi, un nazista ungherese, perfetto collaborazionaista del regime hitleriano nella purtroppo celebre "soluzione finale". Fu allora che Eichmann venne a Budapest per depottare a Auschwitz gli ebrei ungheresi. A Novi Sad tutti gli ebrei sono stati radunati nella sinagoga per essere avviati alla deportazione. Lei ha raccontato la storia dei cani di Novi Sad, che piangevano attorno alla sinagoga dove erano raccolti i loro padroni e poi li seguirono fino ai treni. Ha visto questa scena con i suoi occhi? L'ho vista e l'ho seppellita nella memoria, è stata una sopravvissuta ebrea ad avermela fatta ricordare. Era stata deportata, e al suo ritorno mi ha raccontato quanto aveva fatto il suo cane, che l'aveva seguita finché possibile. E allora quest'immagine di animali che ululano alla morte durante la razzia dei loro padroni mi è tornata vivissima alla memoria. Più tardi lei è stato reporter in un giornale di Belgrado. Quando lei parla dei quattro anni passati come giornalista, inparticolare in La ragazza bruna, dà un'idea della stampa jugoslava che non sembra davvero entusiasmante. Era un brutto periodo, in Jugoslavia. Dal 1945 al 1949 i tempi erano certo meno pericolosi che sotto il nazismo, ma forse erano più demoralizzanti. Durante la guerra eravamo convinti che gli alleati avrebbero vinto e che la Germania sarebbe stata sconfitta. Gli ufficiali tedeschi, i gauleiter, e i loro discepoli ungheresi ci sembravano in definitiva tante marionette di un film tragico che doveva pur finire. E noi aspettavamo la fine. Il comunismo invece era un regime più duraturo. Il potere era stato preso da gente giovane e nuova, che si proclamava detentrice di una scienza dell'avvenire in grado di garantire i diritti di tutte le nazioni. Si sentiva che si sarebbe trattato di un regime molto duraturo. Era cominciata la guerra fredda e c'era in ~ro la ~ens~zione di star 1is~hia~do un~ nuova catastrofe mondiale. Il regime Jugoslavo era m piena disputa con i sovietici e ci sentivamo come topi chiusi in un buco. Avevamo paura. Sono stato mobilitato due volte come soldato della riserva. Avevo l'ambizione di scrivere libri ma a quel tempo non potevo certo vivere della mia penna. Un professore del mio liceo lavorava a "La Vojvodina libera", il giornale di Novi Sad. È stato lui, dopo avermi incontrato per caso per strada, ad avermi proposto di fare il giornalista. Noi giornalisti godevamo di una condizione relativamente privilegiata, ci guadagnavamo correttamente la vita e venivamo considerati persone influenti. Fu allora che in Bosnia le brigate della Gioventù EST,LONTANO EVICINO 49 Internazionale si misero a costruire una ferrovia che avrebbe dovuto unire Samac a Serajevo. Un giornale doveva seguire l'iniziativa e sono stato inviato io. Il giornale si chiamava "Borba sul SamacSerajevo". Ho continuato lì il lavoro di giornalista. Ho potuto abbandonare la professione grazie a un periodo di servizio militare. A quel tempo i giornalisti erano considerati alla pari di quadri del partito e c'è voluto un periodo nell'esercito perché io potessi dare le mie dimissioni. Devo anche dire che la stampa era diretta da uomini politici che non sapevano niente di giornalismo o di scrittura. Era una specie di mafia formata soprattutto da ex prigionieri, che accettavano nelle loro fila solo quelli che avevano conosciuto la loro stessa sorte. Si combatteva in quei tempi contro i Korninforrnisti e ogni giorno i filo-sovietici venivano arrestati e deportati in un'isoletta al largo dell'Adriatico, che era un campo di concentramento terribile. Vi soffrirono condizioni di vita atroci, lavorando duramente sotto il sole e nutriti malissimo. Ma il peggio non era questo. li peggio era che dovevano fare autocritica: confessare di essere dei nemici e denunciare i loro ex compagni. Chi non denunciava i suoi con la dovuta convinzione veniva picchiato a morte. Situazione estrema, molto caratteristica dei Balcani. Quelli che hanno sofferto in quella situazione - e anche i loro aguzzini - hanno aperto un ciclo di violenza da cui non siamo affatto usciti sino a oggi. Si può capire quale fosse allora il mio desiderio di abbandonare questo tipo di mondo! Sono rientrato a Novi Sad e ho approfittato della parentesi professionale per abbandonare il giornalismo. Sono entrato nella casa editrice Matica Sprska occupandomi della pubblicazione di opere letterarie. Il mio lavoro di scrittore maturò lentamente. Non tutto era ancora chiaro nel mio passato, e il giornalismo fu forse un buon banco di prova tematico. La letteratura che lei praticava a quel tempo - poesia, teatro, romanzi d'amore - ha oggi, ai suoi occhi, qualche importanza? Abbiamo appena letto La ragazza bruna, un romanzo di gioventù che non è certamente della stessa pasta delle opere che conosciamo della sua maturità. Che posto le accorda? La ragazza bruna è stato il mio primo romanzo e credo che sia un buon romanzo. Ma, prima, ho fatto i primi passi in letteratura scrivendo per il teatro. Ho scritto nel 1950 Il prezzo delle bugie, una commedia che si svolgeva a Praga durante il processo contro un ministro in carica. Il partito premeva sul figlio perché testimoniasse contro il padre. Con successo, se possiamo dire così. E alla fine il figlio decideva di suicidarsi. Avevo letto questo fatto sulla stampa e ne feci un lavoro teatrale che venne rappresentato a Nis. Uno dei miei amici che aveva un passaporto, ed era dunque inodore di santità -non era il mio caso, io ho ottenuto il passaporto solo nel 1957 - mi aveva incoraggiato a spedire questo testo nella Ruhr, a Iserlohn, dove venne accettato. Mi sono recato dal capo della polizia della Vojvodina con l'invito che mi era anivato di recarmi nella Repubblica federale tedesca. Volevo ottenere un passaporto. Il funzionario che mi ha ricevuto aveva sotto gli occhi il mio dossier. Mi ha detto: "Lei è un Kominformista". Ho rispostochequestoeraassolutamente falso, ma ha ribattuto: "Lei si rifiuta di confessare. Non lascerà mai la Jugoslavia, mai". Dunque non sono andato a Iserlohn anche se alla prima era presente l'ambasciatore della Jugoslavia, il signor Cecinovic ... In quel tempo scrivevo anche poesie, ma il mio posto nella letteratura jugoslava me lo sono conquistato con la prosa, più tardi! Con il passare del tempo, i giudizi estetici possono cambiare e forse un giorno, chissà, verrò riconosciuto anche come poeta! Oggi vengono ristampati in Francia due suoi grandi libri, L'uso dell'uomo e Il librodi Blam. Lei ha sapulOtrovare leparole per dire il dolore, la tortura, la sofferenza. Anche se non ha subito queste estreme disgrazie, lei testimonia di una formidabile empatia per

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==