48 EST,LONTANOEVICINO INCONTRO CON ALEKSANDAR TISMA A DIFFIDARE SIIMPARAPRESTO a curadi AntoineSpire traduzione di Saverio Esposito Aleksandar Tisma è nato in Vojvodina nel 1924 e ha studiato a Novi Sad e a Belgrado. Durante la guerra fu nel '44 in un campo di lavori forzati finché non poté raggiungere l'esercito jugoslavo di liberazione. A guerra finita fu giornalista a Novi Sacl e Belgrado, poi editore, scrittore, traduttore. Vive in Francia dal '92. Dei suoi sedici libri editi, in Italia sono stati tradotti Scuola di empietà (e/o 1988), L'uso dell'uomo (Jaca Book 1988) e il romanzo breve Pratiche d'amore (Garzanti 1993). L'intervista chepubblichiamo è stata realizzata nel quadro di un omaggio a Tisma realizzato dall'Office du Liv re en Poitou-Charentes, aNiort, pochi mesi fa. È apparsa in francese in un opuscolo dell'Office assieme a due interventi sull'autore di Laurand Kovacs e di Luba Jurgenson. È impossibile parlare di lei senza parlare della sua città, Novi Sad, luogo in cui si svolge la maggior parte dei suoi libri. Grosso borgo relativamente facoltoso, a 75 chilometri da Belgrado, si adagia sulle rive del Danubio ed è la capitale della Vojvodina; vi vivono serbi, ungheresi e tedeschi, ortodossi, cattolici ed ebrei, mescolati in passato in un impressionante mosaico etnico e religioso. Lei, per esempio, èfiglio di un padre serbo e una madre ebrea. Novi Sad rappresenta ai suoi occhi il microcosmo delle identità jugoslave oggi sul punto di scomparire? In Jugoslavia ci sono molte città come Novi Sad: Subotica, con un maggior numero di ungheresi e croati, Zemun, ancora in Vojvodina, la tristemente famosa Vukovar, o Osijek, e perfino Serajevo o Skopje erano tutte città molto composite dal punto di vista etnico e religioso. Quanto a Novi Sad, c'era persino una chiesa armena. Venne purtroppo distrutta vent'anni fa, in pieno socialismo, fu un'idea folle degli ingegneri e tecnocrati titini quella di distruggere questa chiesa ottocentesca. Quanto agli ebrei, a Novi Sad avevano una grande sinagoga dove milleottocento di loro vennero radunati nel 1944 per essere deportati. Oggi c'è una sala da concerti in cui uno dei miei eroi si reca ad ascoltare musica. A Novi Sad sono rimasti solo centocinquanta ebrei e neanche un rabbino. La città fa oggi duecentoventimila abitanti. Prima della guerra tre o quattromila ebrei formavano una comunità ben viva, in una città di sessantamila abitanti. Rimpiange nwlto la Novi Sad di prima della guerra "oggi precipitata nel baratro del tempo"? Lei ha scritto di essere stato "travolto" e superato dagli avvenimenti successivi. Ho dedicato molti dei miei libri a questo passato, anche se subito dopo la guerra ho prima voluto esplorare altre zone della letteratura. Di fatto, uscivo da due guerre, la prima condotta nel 194 l contro i tedeschi che erano venuti a occupare e distruggere la Jugoslavia, e l'altra, la seconda, condotta nel 1944-45 dai sovietici perappropriarsi del nostro paese. Ho voluto che rimanesse una traccia di tutte queste ferite. La traccia dell'occupazione tedesca nei suoi libri è ben chiara, ma non ho mai letto nulla su questa guerra sovietica. L'ho rievocata inun Iibro non ancora tradotto infrancese, Laporta larga, dove i partigiani combattono a fianco dei sovietici che hanno liberato Novi Sad. Sono stato membro io stesso di questo esercito nel '44- '45 e ho voluto raccontare la storia di una traiettoria personale seguita in quei precisi momenti. Dove si trovava durante la famosa razzia di ebrei del gennaio '42? La città era chiusa, non avevamo il diritto di uscire di casa. I fascisti ungheresi andavano di casa in casa per chiedere i nostri documenti e terrorizzare ebrei e serbi.L'esercito regolare ungherese del tempo, passato al fascismo, operava in Vojvodina una repressione tanto più forte in quanto aveva detto ai tedeschi che, avendo molto da fare nella ex Jugoslavia, non poteva distratTe le sue forze per accompagnare l'esercito nazista sul fronte orientale. Quando ci fu la razzia, abitavamo di fronte all'appartamento di un barbiere ungherese e della sua famiglia. Quattro soldati ungheresi sono entrati da noi, ci hanno ordinato di tenere le mani in alto, ci hanno chiesto dove avevamo le armi. Vedendo le nostre carte di ortodossi ci hanno minacciato, ma i vicini ungheresi (faceva freddo, meno venti gradi di temperatura) hanno dato loro da bere, credo, senza dir niente contro di noi, e questa è stata la nostra fortuna. Quel giorno hanno assassinato millecinquecento persone tra ebrei e serbi. I terribili gendarmi ungheresi, i soldati e i poliziotti magiari (che erano però meno duri) ci si sono buttati con entusiasmo. Nella strada vicino alla nostra i gendarmi hanno fatto sdraiare nella neve dozzine di persone e la mattina dopo la neve era rossa del loro sangue. Dei camion avevano portato via i cadaveri buttandoli nel Danubio. A cento metri da noi il dottor Satler, un ebreo, era in casa con la moglie. La figlia, anche lei medico, era di guardia nell'ospedale cittadino. TI dottor Satler curava gli ungheresi e si faceva pagare solo dai ricchi. Nonostante la sua popolarità, è stato ucciso a sangue freddo e lo stesso hanno fatto con la moglie. Hanno mandato a chiamare la figlia all'ospedale e una pattuglia l'ha riportata a casa dove l'hanno uccisa. All'inizio della razzia, si attenevano ai regolamenti e non
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