Linea d'ombra - anno XII - n. 89 - gennaio 1994

46 EST,LONTANO EVICINO Mosco, fotodi PeterTurnley(BlockStor/G Neri) dizione in Africa per il safari superava i suoi guadagni (lamentela di provenienza scozzese). To make a long story short voleva cacciare l'orso in Russia e appagare così il suo annoso desiderio, e con la pelle dell'orso in casa sua a Cleveland innalzare il proprio socia/ status. Perché il suo genere di attività industriale non lo poneva molto in alto nell'opinione della gente della sua sfera. E aveva sentito, e anche letto, che di orsi in Russia ce n'è a profusione, che gli orsi bianchi a volte arrivano per la farne a Petersburg, che tutta la Russia è un solo grande orso. Ciò detto mi guardò interrogativo e supplichevole negli occhi. 'Pat', dissi senza riflettere, 'per te farò qualunque cosa. La nostrajoint venture è qualcosa di più che una impresa commerciale, è una fucina d'amicizia'. Era incantato dalla parola 'fucina'. A qualcosa servivano dunque i miei studi letterari. Avevo parlato senza riflettere, invece avrei dovuto pensarci su bene e a lungo. La caccia all'orso con una battuta nelle foreste centrali del la Russia non era cosa facile. Sarebbe stato più sernpl ice in Siberia, ma non avevamo né la voglia, né il coraggio di tirarci dietro un americano floscio e ciccione in Siberia, non aveva la forma fisica per rischiare una spedizione simile. Venni a sapere dell'esistenza di una azienda zoologica vicino Tuia, a poca distanza da Kaluga. Saltai dalla gioia, si apriva la po sibilità di prendere il Diavolo per la coda, o piutto to l'Orso russo per la gola. Purtroppo ero in ritardo di un mese: nell'ambito della predicata autosufficienza economica, un mese prima 'lawchoz aveva venduto a diversi circhi esteri (sebbene l'azienda zoologica avesse il compito di rifornire solo i circhi nostrani) tutte le acca ioni che aveva di re delle foreste e delle montagne russe, per settemila dollari l'orso. Ero vicino alla disperazione. In una ce1ta mi ura il futuro (roseo) della nostrajoint venture dipendeva dall'orso. Col pensiero lo maledicevo, gli strappavo il pelo, lo scudisciavo sul muso, cercando invano uno sbocco alla tensione nervosa. In Russia tuttavia, come sai, bez vodki nie razbieros, senza vodka, non se ne viene a capo. Così una sera feci un salto ad un vecchio spaccio alcoolico dove si riunivano quotidianamente i miei amici e colleghi. Lo avevamo chiamato, in onore di Yenedikt Erofeev, Moskva-Pietuski3. Era in realtà un circolo chiuso, esclusivo (sul modello inglese), accettavamo solo chi era capace di provare la conoscenza a memoria, dalla primaall'ultima pagina, di un capolavoro della nostra patria letteratura. Durante l'esame d'ammissione esaminato ed esaminatore erano tenuti a bere un litro di vodka. E difatti. Mentre raccontavo i miei affanni vuotando un bicchierino dietro l'altro, mi osservava sorridendo Petia, un collega leningradese dei tempi dell'università; specialista di affari sporchj e sotterranei, aveva fama di uno a cui non sfuggiva niente di quel che succedeva ai margini della soci età aMosca e dintorni. Fama esagerata naturalmente, ma non priva di una ce1tadose di verità. Uscimmo dalla bettola di Venedikt dopo mezzanotte, Petia mi accompagnò alla stazione del metrò, mi salutò con un abbraccio e mi sussurrò in un orecchio: 'Soncevo. Là troveremo la medicina per i tuoi grattacapi'. Di più non volle dire. A mezzogiorno dovevamo andare a Soncevo, quartiere piuttosto tetro alla periferia di Mosca. Al limite di Soncevo, dove ormai terminavano le stradine misere costeggiate da fabbricati ad un piano ai quali poco mancava a sprofondare, uno stretto sentiero conduceva, attraverso un campo seminato di rifiuti, fra l'abbaiare di magri cani randagi, ad un piccolo capannone visibile da un chilometro di distanza. Era piuttosto una grossa baracca di assi incrociate e inchiodate, rattoppata qui e là con lamiere arrugginite, cope1ta di bitume. Peti a bussò alla porta sconnessa. Gli rispose un rugatielstvo, un'imprecazione gonfia di vodka, con

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==